Non solo "linea di sangue", come a definire il rapporto di parentela che lega i vari personaggi, ma anche "linea insanguinata", con riferimento diretto ad un trauma a monte che ne dischiude mille altri.

Bloodline, titolo secco che circoscrive in maniera esemplare un'intensità da teatro greco, apriva la prima serie con una voce off capace di inquadrare perfettamente il tutto.

A parlare è John Rayburn, poliziotto, figlio degli agiati (e anziani) Robert e Sally, coppia che ha costruito una fortuna mettendo in piedi un resort lungo le coste della Florida decenni prima. John ha due fratelli, Meg e Kevin, con i quali è sempre stato unito, e un terzo, il primogenito Danny, il cui ritorno a casa preoccupa ogni membro della famiglia: "Una voce nella tua testa ti dice che qualcosa andrà terribilmente storto e non c'è niente che tu possa fare per impedirlo. È quello che ho provato quando mio fratello è tornato a casa". Sembra Eschilo, eppure è una serie Netflix.

Nonostante le colpe dei padri qui ricadano sui figli come non mai, Bloodline non ha bisogno di prologhi classici alla maniera di ogni tragedia che si rispetti. Tutt'altro, nella serie creata da Todd A. Kessler, Glenn Kessler e Daniel Zelman si fa l'esatto contrario, giocando di anticipazione, mostrando ciò che sarà (e che è già stato) per rendere più attraente la linea di racconto di un presente già ingabbiato. E non c'è da stupirsi, dal momento che il terzetto creatore è il medesimo del troppo dimenticato Damages, serie in cui il flashforward era il meccanismo base.

Proprio come nella tragedia greca, salti al capoverso successivo chi non sopporta le pedanterie, l'attenzione dello spettatore in Bloodline si concentra non tanto su ciò che accadrà quanto sulle modalità attraverso le quali si giunge a ciò che necessariamente deve accadere, a ciò che abbiamo visto fin dall'inizio.

Tutto comincia da uno yacht che prende fuoco in acque paludose, da un uomo che (forse) cerca di aiutarne un altro ad emergere: una girandola di segreti e tradimenti delle "leggi morali" che si svela in 13 episodi alla fine dei quali tutto potrebbe ricominciare. Il sangue, del resto, può essere lavato soltanto col sangue. Questa seconda stagione della serie prodotta da Sony Pictures Television, attesissima dai palati più fini, comincia laddove avevamo lasciato, e cioè con un luogo fondante del tragico, sviluppato in maniera particolarissima per il suo essere contemporaneo e ugualmente classico.

Saremo ancora alle prese con la famiglia intesa come ricettacolo di tutti i mali, con la salvaguardia del nome (e del territorio, che sia un resort sulla spiaggia o Tebe poco cambia) a dispetto della tutela della salvezza del proprio stesso sangue, con intrighi polizieschi, traffici di droga, raggiri e twist di personalità come nello Shakespeare più sanguinario: da brivido l'evoluzione di Danny nel corso della prima serie che anticipa il carattere centrale di questa seconda.

Il punto di forza di Bloodline continua a stare in quel senso di minaccia incombente che si respira in ogni puntata, nella reazione a catena innescata da un errore, che qui si dà insito nell'uomo, a cui non è più possibile rimediare.

Anche se soltanto per un pugno di puntate, nella parte del patriarca Robert Rayburn, giganteggiava Sam Shepard, perfetto accanto a Sissy Spacek, non da meno gli è Kyle Chandler, volto buono da manuale, corpo appesantito e un fuoco dentro che non sa da dove viene. Fate un gioco. Provate a traslare la tagline di lancio "Non siamo brutte persone, ma abbiamo fatto una brutta cosa" in "L'uomo non è cattivo, ma fa cose cattive": esiste uno pseudo-Sofocle più credibile?