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La politica degli autori: Stephen Daldry

Un regista "accademico" adatto a un pubblico vasto.
di Mauro Gervasini

In foto il regista Stephen Daldry con il Premio del Pubblico BNL vinto grazie a Trash allo scorso Festival Internazionale del film di Roma.
Stephen Daldry (64 anni) 2 maggio 1960, Dorset (Gran Bretagna) - Toro. Regista del film Trash.

mercoledì 26 novembre 2014 - Approfondimenti

Il fatto che Stephen Daldry, inglese di Dorset, appena ventenne abbia girato in lungo e in largo l'Italia come artista di strada e clown lo rende particolarmente simpatico. Per il resto, cinematograficamente parlando, va ascritto alla categoria degli "accademici", quei registi capaci, sofisticati, dal tocco elegante, buoni per tutte le stagioni. Un maestro del cinema medio, adatto a un pubblico vasto, perfettamente collocabile nelle rassegne di ogni latitudine, pronto a valorizzare interpretazioni importanti e belle fotografie.
Non a caso, i suoi primi tre film (su cinque, ma lavora molto anche in teatro), vale a dire Billy Elliot (2000), The Hours (2002) e The Reader - A voce alta (2008), sono stati successi al botteghino nominati all'Oscar. Il marchio di una natura ecumenica e rassicurante. Non fingiamo una imparzialità che non abbiamo: parliamo di produzioni che non sono «la nostra tazza di tè», come direbbero dalle sue parti. Proprio per la patina un po' calligrafica che smussa qualunque (salutare, in certi casi) imperfezione. Con una eccezione, la prima. Billy Elliot è il classico esempio di racconto popolare che non cerca di evitare i conflitti ma anzi li narrativizza con intelligenza. La scena delle cariche ai minatori con "London Calling" dei Clash sparata dura sarà magari non originalissima ma recupera alla perfezione lo spirito del tempo. Vedemmo il film alla Quinzaine di Cannes quando ancora aveva il titolo di lavorazione Dancer, e ricordiamo severi militanti della critica rapiti dall'energia del giovane ballerino proletario. Purtroppo la magia non si replica con Trash, vincitore del premio del pubblico al Festival di Roma dal 27 novembre nelle sale. Rio de Janeiro, favelas, tre ragazzini trovano nella rumenta un portafoglio contenente segreti pericolosi. Minacciati e braccati da un poliziotto corrotto, si inventano una via d'uscita anche con l'aiuto (non del tutto consapevole) del prete americano Martin Sheen e dell'intrepida volontaria Rooney Mara.
Produzione internazionale, confezione un po' troppo patinata per le miseria che mette in scena, facilmente empatica per un pubblico occidentale. Magari anche in questo caso i giurati dell'Academy dimostreranno il loro apprezzamento, ma l'operazione "fusion" crea più di un dubbio. Una cosa però è interessante, e si lega ai lavori precedenti di Daldry creando quindi un denominatore comune, quasi un sigillo autoriale. L'origine letteraria. Trash ha alle spalle un best seller, il libro omonimo di Andy Mulligan, così come The Hours era tratto da Michael Cunningham e The Reader da Bernhard Schlink. Una matrice letteraria importante che prepara l'aspettativa positiva del pubblico (ma anche della critica più paludata), riveste la produzione di una certa nobiltà intellettuale senza rinunciare al richiamo commerciale. I giovani turchi dei "Cahiers" pre Nouvelle Vague avrebbero definito un cinema siffatto «di qualità». Ma la definizione non inganni, perché l'accezione non sarebbe stata automaticamente positiva.

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