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La politica degli autori: Saverio Costanzo

Un talento non comune. Il regista italiano dalla poetica più apolide.
di Mauro Gervasini

In foto il regista Saverio Costanzo sul red carpet della 71a Mostra del Cinema di Venezia, dove ha partecipato con Hungry Hearts (Coppa Volpi ai due attori protagonisti Alba Rohrwacher e Adam Driver).
Saverio Costanzo (49 anni) 28 settembre 1975, Roma (Italia) - Bilancia. Regista del film Hungry Hearts.

martedì 13 gennaio 2015 - Approfondimenti

Sognerà in inglese, arabo, ebraico o francese Saverio Costanzo? Classe 1975, è oggi il regista italiano dalla poetica più apolide. Il suo cinema non diventa internazionale perché di successo, come invece è accaduto ad altri colleghi magari più blasonati, ma nasce così.
Esordio con un documenatario poco ricordato, ma molto bello, Sala rossa (2002), ambientato nel pronto soccorso del Policlinico di Roma. Una specie di "stargate" che però si spalanca non su un mondo immaginario ma su quello reale di un ospedale, a contatto con una equipe medico-infermieristica di quattro persone che accoglie i ricoverati in codice rosso. Quelli, per intenderci, più di là che di qua. Costanzo trascorre cinque mesi al Policlinico, adotta un metodo di "mimetizzazione" alla Gianfranco Rosi (Sacro GRA) e soprattutto pensa a uno sviluppo seriale del documentario, che infatti viene concepito in più episodi. Un approccio moderno e originale, molto poco "italiano". Diversa internazionalità nel suo esordio a soggetto, Private (2004). Un film low budget scritto con la sorella sceneggiatrice Camilla e Alessio Cremonini (poi regista di Border, ambientato in Siria) girato nella casa di una famiglia palestinese costretta a ospitare alcuni soldati israeliani. I protagonisti non se ne vogliono andare dalla loro abitazione, vengono rinchiusi in alcune stanze mentre il loro spazio più intimo è letteralmente invaso. Immagine sgranata, stile secco, un lavoro con e sugli attori che fa pensare all'Amos Gitai più ispirato, Private è un ufo nel panorama italiano e infatti vince subito un premio internazionale, il Pardo d'oro a Locarno. Quando lo vidi la prima volta pensai a Il silenzio del mare di Melville, che per me è puro Vangelo. Il film va in altre direzioni ma il silenzio è protagonista di In memoria di me (2007), storia della tormentata vocazione di un uomo che sceglie il noviziato tra dubbi e tentativi di fuga. Il rigore di una regia che non concede nulla né in termini di ritmo né in termini emotivi, tra inquadrature fisse e mistici silenzi, pare a volte un po' ostentato, ma il film è ancora una volta una rarità nella nostra produzione. E arriviamo a La solitudine dei numeri primi (2010), tratto dall'omonimo romanzo mid-cult di Paolo Giordano. Mai nascosto di considerarlo uno dei cinque/sei titoli italiani migliori del millennio, assolutamente incompreso dalla critica e sottostimato dal pubblico. Una grande riflessione sugli archetipi della fiaba. Un horror tra il Kubrick di Shining e L'uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento (di cui torna, angosciante, la musica). L'horror come genere politico, il solo che possa rappresentare la levatrice per antonomasia di traumi e fobie, vale a dire la famiglia, quella che costringe Pollicino e i suoi fratellini a perdersi nel bosco. Ed è lo stesso impianto ideologico, poetico, persino estetico del nuovo film Hungry Hearts, nelle sale dal 15 gennaio. Alba Rohrwacher e Adam Driver si conoscono, si amano, hanno un bambino che lei accudisce ossessivamente cercando di evitargli contaminazioni alimentari o fotosensibilità. Quando il piccolo accusa sintomi chiari di malnutrizione, il padre reagisce. La claustrofobia di un dramma familiare raccontata attraverso il linguaggio, che fa tesoro di una produzione low budget e sin dalla prima sequenza nel cesso del ristorante cinese imprigiona i personaggi, e lo sguardo. Inquilini di un terzo piano polanskiano, l'uomo, la donna e un bambino mai nominato in tutto il film diventano variabili di un thriller dall'energia prima di tutto visiva. Ennesima conferma del talento non comune di Costanzo.

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