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Alle origini della fantascienza

Prometheus e il titanismo di Ridley Scott.
di Roy Menarini

In foto Michael Fassbender in una scena di Prometheus.
Michael Fassbender (47 anni) 2 aprile 1977, Heidelberg (Germania) - Ariete. Interpreta David nel film di Ridley Scott Prometheus.

domenica 16 settembre 2012 - Approfondimenti

La fantascienza è ancora in grado di rispondere alle grandi domande dell’uomo? Questa semplice – ma ovviamente impegnativa – domanda sta alla base del Prometheus di Ridley Scott. Che il film, gravato da così tante attese, abbia in parte deluso gli appassionati, sembra francamente fuori di dubbio. Eppure, bisognerebbe capire i motivi per i quali la domanda e l’offerta di fantascienza oggi sembrano non incontrarsi. Dopo alcuni anni di silenzio, infatti, il genere fantascientifico è tornato a farsi sentire, a cominciare dalle grandi saghe – come Hunger Games, destinato a sostituire Twilight presso il pubblico adolescenziale nei prossimi anni – dove Avatar guida una schiera, per il momento non particolarmente folta, di film ad altissimo budget dall’afflato mistico e universale. Il ritorno in forze degli alieni crudeli (quelli di Battleship, Skyline, World Invasion ecc., senza dimenticare lo scontro tra robot extraterrestri del franchise Transformers) sembra un corollario destinato a un eterno ritorno, mentre la fantascienza “impegnata” (quella di film come Moon o In Time) continua a immaginare mondi molto vicini al nostro, segnato dalla crisi economica.
Ecco, questo è il punto. Sembra quasi che la fantascienza abbia esaurito il serbatoio delle grandi configurazioni immaginarie, delle visioni del futuro, delle fantasie più estreme. Da una parte la tecnologia applicata al film è divenuta nel tempo il soggetto stesso del discorso, dall’altra il mondo dei social network, dei new media, delle tecnologie mobili non pare suscitare altro che piccole riflessioni a breve raggio. Tornano gli alieni invasori, tornano gli androidi, tornano i viaggi nel tempo, tutto torna tranne i conti, che invece non tornano più. L’ambizione di Scott, condivisibile, è quella di ripartire da qualcosa di ambizioso, enorme, titanico, ovvero l’origine dell’uomo, la scoperta di nuove civiltà, il confine tra creazione e distruzione. Di contro – e al di là dei difetti narrativi della pellicola – per fare questo il regista di Alien è costretto ancora una volta a guardare indietro invece che in avanti: Prometheus non a caso è un prequel, il che di per sé non è un male, ma lo diventa se la sua necessità sta nel debito di immaginario con un capostipite evidentemente irraggiungibile. E all’indietro, in fondo, si guarda anche cercando le origini dell’uomo, quasi che un suo futuro sia impossibile da pensare, da dire. Tutto deve somigliare a qualcosa: l’androide interpretato da Michael Fassbender, del resto, impara a memoria un film del passato (Lawrence D’Arabia) per modellare su se stesso acconciature, discorsi, atteggiamenti. Magari Scott aveva proprio questo come progetto, dimostrare che non c’è più nulla da inventare nel cinema, tranne l’uomo.
La fantascienza pone ancora le stesse domande, ma per avere risposta non guarda più avanti. Contraddizione quanto meno sorprendente, per un genere nato apposta per interpretare i mutamenti indotti dalle scoperte tecnico-scientifiche.

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