Looper e le leggi del tempo.
di Roy Menarini
A voler essere sbrigativi, si potrebbe affermare che tutto il cinema americano ruota intorno alle secondo possibilità. Dal western al noir, dal melodramma alla commedia, tante storie riguardano personaggi che - inseguendo un amore, una salvezza, una redenzione, una meta agognata - finiscono col trovare la felicità anche se hanno sprecato la prima occasione. La fantascienza inscrive il concetto nella storia stessa, e lo fa utilizzando le proprie armi: sovvertire l'ordine naturale delle cose e immaginare futuri alternativi a quelli più ovvi. Looper, ben lungi dal contenere elementi di per sé originali (basta essere un discreto lettore di fantascienza letteraria per trovare decine di romanzi e autori che hanno declinato la medesima materia in tanti modi diversi), intriga e convince proprio grazie all'atteggiamento ingegnoso nel declinare i temi arcinoti della science fiction. Il libero arbitrio ne è in fondo solamente l'orizzonte: a contare sono piuttosto i continui rimodellamenti a cui il presente ci costringe nel costruire il nostro futuro.
Pensiamoci bene: se Looper non fosse stato un film di fantascienza, e dunque eliminando il tema del viaggio nel tempo, avremmo potuto assistere a un racconto drammatico basato sulle possibilità offerte dal caso o dalle scelte che compiamo, un po' come Sliding Doors o, in maniera più raffinata, Smoking/No Smoking. Il paradosso temporale per cui ciò che accade nel futuro è modificabile, con il rischio di scoprire che siamo noi stessi a costruire il loop (l'eterno ritorno), è poi anche una metafora - se non del cinema - della creazione romanzesca. Tutte le possibilità narrative sono compresenti fino a che non scegliamo quale attualizzare. Di suo, Looper possiede una dimensione adulta che va ammirata, con i protagonisti che conducono vite violente, uccidono per guadagnare, e sono pronti a scelte estreme per scopi superiori. Emergono qua e là riferimenti cinematografici, da La zona morta a L'esercito delle dodici scimmie (e non solo per la presenza di Bruce Willis), ma ad entusiasmare maggiormente è la presenza ormai acclarata di un gruppo di registi americani, lontani sia dal blockbuster sia dal cinema in stile Sundance (in cui pure Rian Johnson si è formato con l'ottimo Brick), che guardano a una fantascienza adulta, senza budget stratosferici, segnata dal presente economico e bellico degli Stati Uniti e capaci di film di genere senza fronzoli, dall'ampia enciclopedia letteraria e dalle soluzioni sempre sorprendenti. Parliamo di Duncan Jones, con i suoi Moon e Source Code, per esempio, di George Nolfi (I guardiani del destino) o di Andrew Niccol (Gattaca, In Time), forse il primo e il più ostinato nell'insistere su questo modello. Si conferma dunque la sensazione che la fantascienza, dopo la crisi del post-11 settembre dovuta a una sorta di "infarto dell'immaginario", stia riconquistando il posto che le spetta nell'analisi del presente attraverso la messa in scena dei futuri possibili.