Abel Ferrara presenta in concorso il suo 4:44 Last Day on Earth.
di Ilaria Ravarino
Tutta colpa del buco nell'ozono. E stavolta, a dar retta ad Abel Ferrara, è proprio vero. In concorso con l'apocalittico 4:44 Last Day on Earth, proiettato ieri notte con oltre un'ora di ritardo e salutato da un misto di applausi e fischi, l'eccentrico regista ha partecipato stamattina a un animato incontro con la stampa. Accanto a lui gli attori Willem Dafoe e Shanine Leigh, ex di Ferrara, insieme a un nutrito gruppo di amici e collaboratori seduti in platea e salutati uno per uno dal regista, particolarmente bendisposto e piuttosto incline alla risata: «E poi... poi ci dovrebbero essere anche i miei finanziatori – ha aperto l'incontro indicando la platea - ci sono i miei finanziatori? Li vedete? Ok, evidentemente sono scappati». In concorso con un film sulla fine del mondo, e noto per il carattere indomito che più volte ha dato scandalo, in una mattina particolarmente serena il regista ha scongiurato il rischio più grande: diventare, suo malgrado, il Von Trier di Venezia.
«Quando sei un poeta sei sempre maledetto – ha detto di lui il produttore - la maledizione di Abel è il suo essere eccessivamente sensibile, e la sua fortuna è nella capacità di fare film così personali. È un vero autore, nel senso pieno della parola».
Questa non è la prima volta che l'Apocalisse si affaccia nei suoi film. Ma qui lei prende il tema di petto: com'è nata l'idea?
Ferrara: Adesso non vorrei ficcarmi in una battaglia legale con Al Gore, però ricordo che lui qualche anno fa pagò dei registi per lavorare a un film sul tema del riscaldamento globale. Ecco, quando un'idea diventa pubblica tende a diffondersi: direi che c'era nell'aria questa idea di possibile catastrofe, e io l'ho colta. Però la prima volta che ho pensato di fare questo film è stata due anni fa, quando durante un viaggio per venire al Festival di Venezia il mio aereo incontrò in volo delle turbolenze. Dal soffitto si staccarono le maschere per l'ossigeno, e io pensai che non volevo morire. E soprattutto non volevo sapere di dover morire.
Eppure nel suo film si respira una certa serenità nei confronti della fine del mondo...
Leigh: Il punto è che nel film tutti i personaggi sanno già che il mondo sta per finire. E alcuni di loro sono convinti che avere un forte credo spirituale possa essere d'aiuto.
Dafoe: Io tutta questa serenità non la vedo. La fine del mondo, semmai, in questo film non è che una scusa che permette ai personaggi di affrontare i quesiti più elementari sul loro passato, sui rapporti reciproci, sulle loro responsabilità. Tutto dipende da una scelta: quanto si vuole essere svegli nella vita? Perché lo sappiamo che la vita può essere molto dolorosa, e allora si può anche scegliere di non affrontarle, certe cose. Avevo la sensazione che il mio personaggio fosse come un tossicomane: voi vorreste essere svegli o sedati quando arriverà la fine?
Ferrara: Avrò risposto centinaia di volte a questa domanda. Non siamo partiti dall'idea di fare un film in cui c'è della gente che dice "Oddio, sta per finire il mondo". No. Ci siamo detti: ok, il mondo finirà. E allora? Allora abbiamo pensato che i nostri personaggi avrebbero immediatamente trovato la motivazione giusta per affrontare i loro problemi. Due cose sono sicure nella vita: le tasse e la morte. Il fisco si occupa delle tasse, ma della morte non si sa chi se ne debba occupare. Sappiamo che dobbiamo morire, e intanto viviamo cercando di mettere da parte quell'idea. Non mi pare una prospettiva poi così serena.
Perché si è immaginato la fine del mondo sotto forma di una nube verde?
Ferrara: Ottima domanda. Abbiamo consultato degli esperti e parlato con loro del problema dell'ozono. Non è un effetto al computer, l'aurora boreale è stata filmata per davvero.
Il film è autobiografico?
Ferrara: Me lo chiedono spesso, se i miei film sono autobiografici. Ma insomma, il film è definito dalla luce e dalla recitazione, dai personaggi e dalla musica. Io sono la mia musica? Quel che vedete è il risultato del lavoro comune di una troupe.
Che rapporto ha con la multimedialità?
Ferrara: Credo sia qualcosa che appartiene ai ragazzi di oggi. Hanno il telefonino, internet, Google Earth, non sanno se stanno guardando la tv o fuori dalla finestra. È così che ormai funziona il mondo: ovunque si vada, si è ripresi.... abbiamo persino la webcam sul computer. I ragazzi sono nati in questo mondo, e la multimedialità gli appartiene completamente. Basta guardare come volano le loro mani sulle tastiere dei cellulari.
Lei si ritiene un poeta maledetto?
Ferrara: Maledetto da chi? Avrei potuto fare film per un altro tipo di pubblico, volendo. Ma i miei film parlano di persone, qualunque sia il genere che ho scelto, parlano dell'incubo o della gioia o della bellezza del vivere. Parlano di individui in situazioni in cui finiscono per ritrovare se stessi o gli altri.
Considera Dafoe il suo alter ego?
Ferrara: (ride)
Dafoe: Io so soltanto che nel copione Abel era ovunque, in ogni riga del testo: era un film molto personale. E lui, che è il regista, ha chiesto a me di raccontare questa storia in quanto attore. Sono solo un agente della sua creatività, io costruisco mondi per lui. Che ne dici Abel, va bene così?
Ferrara: Bravo, ti ho scelto proprio perché parli così bene. Non ho detto a Dafoe di interpretare me, gli ho detto di recitare il suo personaggio. E lui è stato in grado di farlo.
Se la Terra scomparirà sarà per colpa dell'umanità? Di Dio? Degli alieni?
Ferrara: Il film tratta proprio di questo, dell'uomo che distrugge la Terra e se stesso. Di un'umanità che non riesce a capire come ridurre il suo impatto sul mondo, e finisce per ucciderlo. La colpa è tutta nostra, non è un atto di Dio, non è un incidente. È una cruda realtà, che i miei personaggi devono accettare.