This Must Be the Place |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Sean Penn, Frances McDormand, Eve Hewson, Harry Dean Stanton, Joyce Van Patten.
continua»
Drammatico,
durata 118 min.
- Italia, Francia, Irlanda 2011.
- Medusa
uscita venerdì 14 ottobre 2011.
MYMONETRO
This Must Be the Place
valutazione media:
3,62
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il fulminante incontro con l’inventore del trolleydi desgiFeedback: 716 | altri commenti e recensioni di desgi |
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lunedì 17 ottobre 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Sorrentino propone una storia complessa, probabilmente troppo per essere trattata come materia da fumetto alla maniera di Tarantino. E’ un problema di registro linguistico quello che affligge il film, per cui la forma di discosta non poco dal contenuto. Manca, come è invece accaduto per i film precedenti, quel legame inscindibile tra le immagini e il significato di fondo della storia che è costituito dalla poesia. Sorrentino è un maestro nella rappresentazione del vuoto esistenziale, dell’incomunicabilità, del disagio dell’uomo contemporaneo di viere in una società globalizzata e devitalizzata che pure ha creato ma in cui non si ritrova, anzi, per l’esattezza, in cui si sente inadeguato. Le inquadrature sono perciò sempre essenziali, fatte di architetture geometriche e vuote, iperrealiste e quasi metafisiche; ecco allora il susseguirsi di supermercati, di centri commerciali, di scale mobili, di cavalcavia futuristi che volano sulle teste degli uomini e sulle case. Si spiega così la predilezione per i luoghi asettici e privi di anima come l’ incolore Svizzera ne “Le conseguenza dell’amore”, le repulsive architetture fasciste di Latina in “L’amico di famiglia”, l’insignificante realtà provinciale di Ascoli nel romanzo ”Hanno tutti ragione”, gli agghiaccianti motel anonimi dell’entroterra statunitense e via di questo passo. Anche il protagonista di “This must be the place” si muove in luoghi simili, tanto è vero che l’Irlanda e gli Stati Uniti non hanno un'identità riconoscibile: i luoghi dell’azione non appartengono a nessun posto particolare e il centro commerciale, come pure il paese stravolto da svincoli e cavalcavia autostradali, potrebbero trovarsi indifferentemente in una qualsiasi periferia del mondo. La rockstar del film si chiama Cheyenne, ,ma in realtà è Robert Smith, il leader dei Cure anche se Sorrentino utilizza il personaggio in quanto figura dell’immaginario collettivo e lo adatta ai a suoi scopi rendendolo protagonista di un'avventura come un qualsiasi eroe dei fumetti. Certamente il regista può essere stato attratto dalla figura di Smith per la stretta relazione di questi con alcuni film di di David Lynch come “Twin Peaks” e “Muholland Drive” in cui si prefigurava la scena dark. Cheyenne conduce un’esistenza vuota, sull’orlo della disperazione resa più cupa dal senso di colpa, simboleggiato dal trolley che l’accompagna in qualsiasi sua attività, fosse quella di fare la spesa al supermercato o più propriamente di viaggiare. Quando incontrerà l’inventore del trolley, troverà anche l'indizio giusto che lo porterà a scovare il nascondiglio del nazista aguzzino di suo padre e il film si avvia alla sua conclusione. Durante la confessione del tedesco emerge che anche quest’uomo trascina un suo peso, il suo senso di colpa da espiare. La storia acquista allora un significato universale, con riferimenti anche biblici sulla condizione umana: ciascuno trascina il suo peso, ciascuno è sull’orlo del precipizio e per salvarsi bisogna perseverare nella ricerca, quindi espiare la propria colpa. Solo così la catarsi può compiersi ed iniziare la rigenerazione. E’ evidente che tanta carne a cuocere richiede una maestria eccelsa per essere degnamente rappresentata senza correre il rischio di scivolare e cadere nel banale. Sorrentino fa del suo meglio, ma alla fine resta una certa sensazione di scollatura e di freddezza. Tuttavia, i soli tre minuti in cui compare sulla scena David Byrne rendono imprescindibile la visione del film.
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