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Vestiti da Vallanzasca

Lavoro intenso e mesi di ricerca, Roberto Chiocchi racconta la preparazione e dove ha scovato i costumi del film.
di Roberto Chiocchi

A Milano in quel periodo c'erano delle vere e proprie leggi sull'abbigliamento, soprattutto per l'abbigliamento femminile: le donne dovevano vestirsi di beige e marrone, avere una pelliccia. Le scarpe non dovevano avere le zeppe perché quelle le indossavano cantanti e artiste.Il trucco come l'abbigliamento, contrariamente a quanto si possa pensare, doveva essere sobrio, ma il mascara non era mai abbastanza e in bagno bisognava avere almeno una parrucca, ovviamente cotonata.

giovedì 20 gennaio 2011 - News

La preparazione e ricerca dei costumi di Vallanzasca - Gli angeli del male è iniziata circa tre mesi e mezzo prima dell'inizio riprese. In fase di preparazione io (Roberto Chiocchi ndr) e le mie due assistenti, Ingrid Pastore e Luciana Malacarne, abbiamo passato due mesi e mezzo, nella Biblioteca Comunale Sormani di Milano, consultando quotidiani e vari periodici d'attualità e cronaca, dal 1969 al 1986. Inoltre, abbiamo visionato anche filmati dell'archivio Rai sulla vicenda della banda Vallanzasca, e l'archivio storico fotografico Condenast per l'aspetto di vita mondana-sociale dell'epoca.

Io sono nato nel 1967 a Milano e ho vissuto in un quartiere vicino a quello del Giambellino, il nome di Vallanzasca in casa mia, come del resto in tutte le case milanesi, spesso era pronunciato. Quel periodo, seppur bambino me lo ricordo molto bene; ma quello che cercavo in quei due mesi di ricerca era di assorbire pienamente lo stile e lo spirito degli anni settanta in Italia, per poi scegliere la linea dei costumi del film senza cadere in un esercizio di stile o fare una lezione di storia del costume. Abbiamo visto e studiate migliaia di foto e articoli di moda e cronaca sulla criminalità milanese e nello specifico su quella della banda Vallanzasca. Gli spunti più interessanti li abbiamo trovati tra le foto e gli articoli pubblicati su Gente, l'Europeo, L'illustrazione Italiana, Amica e Annabella. Queste foto ci mostrarono quanto lo stile di Milano differiva dallo stile del resto d'Italia. Se negli anni '60 la gente guardava a Roma, "la dolce vita", gli anni '70 erano tutti milanesi.

A Milano in quel periodo c'erano delle vere e proprie leggi sull'abbigliamento, soprattutto per l'abbigliamento femminile: le donne dovevano vestirsi di beige e marrone, avere una pelliccia. Le scarpe non dovevano avere le zeppe perché quelle le indossavano cantanti e artiste. Il trucco come l'abbigliamento, contrariamente a quanto si possa pensare, doveva essere sobrio, ma il mascara non era mai abbastanza e in bagno bisognava avere almeno una parrucca, ovviamente cotonata. Lo stile anni '70 a cui noi siamo più abituati è quello straniero dei colori accesi, urlati, dagli accostamenti azzardati, delle fantasie optical e floreali, dei jeans a zampa di elefante e degli eskimo. Ma tutto questo non apparteneva alla banda Vallanzasca e soprattutto non rifletteva l'identità di quella Milano che si preparava a diventare la capitale della moda e degli aperitivi alla Terrazza Martini o al bar Basso che Renato Vallanzasca frequentava nei primi anni '70 e che Michele Placido ed io volevamo raccontare.

Renato Vallanzasca era un giovane molto bello a cui piacevano gli abiti eleganti che si faceva confezionare da un sarto come anche le camicie. Prima di entrare in una banca per rapinarla si aggiustava la cravatta e si metteva ironicamente un fiore all'occhiello. Lo stile per la narrazione di questi fatti era duplice: da una parte la Milano degli aperitivi alla moda, del glamour, del lusso dall'altra quella della Milano delle periferie degradate e del carcere. Per lo stile di questo film decisi che nessun degli attori, piccolo ruolo o comparsa avrebbe indossato jeans e giacche di pelle se non nelle scene girate nelle carceri o per caratterizzare un preciso ambiente o un particolare personaggio. Io e le mie assistenti, Ingrid e Luciana, ci mettemmo alla ricerca di fondi di magazzino delle boutique milanesi, sperando di incappare in capi di Pancaldi, Roberta di Camerino, Loro Piana, è stato difficilissimo. Normalmente nei negozi di vintage si trovano solo abiti che provengono dalla Germania, dall'Inghilterra o dall'America e io volevo solo abiti italiani tranne rare eccezioni come alcuni accessori di Pierre Cardin, Yves Saint Laurent e Christian Dior. Dovemmo estendere le ricerche fino a Torino, poi Bologna, poi Roma...alla fine ovunque!

A Milano trovammo un enorme stock di abiti da uomo da un grossista: Telerie Buonfanti aveva anche delle pezze di tessuto originale con cui realizzammo alcuni capi di Kim Rossi Stuart e di Paz Vega. Ma non bastava; oltre a tutti gli attori nel film c'erano 1500 comparse che dovevamo vestire dalla testa ai piedi per ben due volte… quindi tremila costumi. A Torino trovammo un fornitore specializzato in abiti nuovi originali sessanta e settanta: La Magnifica Preda, qui trovammo anche tantissimi capi per i bambini presenti nel film. Il fornitore che in assoluto ci fece svoltare fu il negozio vintage Superfly a Milano, i loro proprietari avevano un archivio incredibile; gli abiti avevano ancora il cartellino, non erano mai stati indossati provenivano da stock di vere boutique milanesi! Alla fine riuscimmo nel nostro intento, avevamo messo insieme un repertorio in cui non mancava nulla, non solo vestiti ma reggiseni, mutande, collant, borse, cappelli, guanti foulard, occhiali da vista e non, orologi, pellicce, insomma tutto.

Oltre alla connotazione stilistica storica generale dei costumi, tutti i personaggi andavano caratterizzati. Decisi di far realizzare gli abiti di Kim Rossi Stuart da un sarto di scuola siciliana, Tonino Sapienza, le camicie da una storica camiciaia di quegli anni e così anche i maglioni. Kim è un uomo alto un metro e novanta, porta il 46 di scarpe, ed è veramente allergico alle fibre sintetiche, quindi non facile da vestire con abiti anni '70. La scelta di un sarto si rese necessaria. I colori dominanti dei suoi abiti furono ovviamente il blu, l'azzurro e il grigio che risaltavano l'azzurro degli occhi e quindi l'espressione da matto che spesso Kim usava. Nel taglio degli abiti modificai alcune linee del periodo per sottolineare il carattere adolescenziale di Vallanzasca: i revers sono a lancia larghi ma con le punte molto vicine alle spalle che sono a sella in modo da conferire allo stile elegante dell'abito anche uno spirito leggerezza. I polsini delle giacche e l'orlo dei pantaloni sono più corti della norma così come i colletti delle camicie più corti del normale e un po' sfuggenti. Renato era elegante, ma era un ragazzino...in tutti i sensi. Volevo che Kim indossasse abiti da uomo eleganti ma che li portasse come li porterebbe un adolescente scanzonato.

Filippo Timi, che interpreta Enzo nel film, il "fratello" di Vallanzasca, è un cocainomane invasato. Per lui abbiamo scelto delle gamme cromatiche più acide (giallo limone, verde pistacchio) e meno classiche di quelle di Kim-Vallanzasca. Filippo-Enzo è il più infantile della banda, quello che più subisce la fascinazione della moda per lui abbiamo deciso di utilizzare un giaccone di pelle lucidissimo per renderlo più glamour e gli abbiamo dato in dotazione alcuni accessori un po' improbabili come cravatte di pelliccia che lui usava come foulard spacciandoli per pelo di panda!

Paz Vega interpreta il ruolo di Antonella l'attuale moglie di Renato Vallanzasca. Ai tempi lavorava come parrucchiera in via Montenapoleone, lei è stata una preziosissima consulente per l'abbigliamento dei personaggi del film. Michele Placido voleva che Paz-Antonella rappresentasse il glamour milanese per eccellenza, come se fosse una stilista, un'artista dell'acconciatura. I colori scelti per lei sono stati il verde, l'arancione e il marrone. Paz-Antonella nel film indossa sempre parrucche di colore e taglio diverso tra loro e soprattutto abiti molto alla moda, per lei abbiamo deciso un sapore quasi londinese: e cosi la vediamo con hot pants, mantella e stivali alti prendere l'aperitivo al bar Basso, o in mini abito nero e lamè oro alla Terrazza Martini.

Valeria Solarino interpreta Consuelo, la donna che diede un figlio a Vallanzasca. È una donna del sud che sa il fatto suo. Attraverso i suoi abiti ho voluto raccontare ciò che accadde a molte donne immigrate al nord. Da uno stile più sanguigno e verace Valeria–Consuelo diventerà sempre più elegante e raffinata assorbendo completamente le leggi uno stile e comportamento milanese-borghese.

Fracis Turatello era un uomo colto e intelligente delinquente da generazioni aveva costruito a Milano un vero impero. Lui era il re a Milano, rispettato e temuto da tutti. Era un uomo alto e possente, ho chiesto a Francesco Scianna se era disposto a cambiare il suo fisico con delle imbottiture, in modo da avere un aspetto più possente, e di cotonare i capelli e laccarli in modo che ricordasse la criniera di un leone. Rispetto a Kim-Vallanzasca, Scianna-Turatello doveva apparire più potente ed essendo lui più basso di qualche centimetro abbiamo deciso di rialzare i suoi tacchi. Come un aristocratico, Scianna indossa degli abiti gessati, uno di Yves Saint Laurent, originale dell'epoca, la cintura è di Dior e i maglioni sono in cachemire. Come cravatta usa foulard a disegni chachemire con doppio nodo Winsor tutto in lui e ricercato anche i calzini in tinta con la pochette. Mi sembrò di esagerare quando gli buttai sopra le spalle una pelliccia di Lupo. Poi vidi una foto di Francis Turatello dell'epoca in cui ricordava Helmut Berger in vacanza sulle Dolomiti… Ero nella direzione giusta.

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