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Horror Frames: Penny Dreadful e gli autostoppisti horror

Fobia dell'automobile e autostoppisti perversi.
di Rudy Salvagnini

L'autostop nel genere horror

giovedì 1 aprile 2010 - News

L'autostop nel genere horror L’autostop, grande mito di libertà degli anni ‘60 e ‘70 per la possibilità di spostamento a costo zero che consentiva, è sempre stato visto da thriller e horror come qualcosa di sinistro o comunque pericoloso. A volte per gli autostoppisti, più spesso per chi si fermava a farli salire. In diversi casi l’autostoppista è cruciale per lo sviluppo narrativo (il curioso Il segreto del vampiro con la vampira che adesca con l’autostop, La casa dei 1000 corpi, Non aprite quella porta, Octane e molti altri ancora), ma altrove (Creepshow 2 e, soprattutto, il fondamentale The Hitcher - La lunga strada della paura con il suo seguito e il suo remake) è metafora fondamentale e sinistra dell’ignoto, una presenza spossessata da caratteristiche umane per assumerne altre, sovrannaturali, diventando immagine del contrappasso morale in Creepshow 2 e del male assoluto in The Hitcher.
L’autostoppista di Penny Dreadful di Richard Brandes (già autore del vampiresco Out for Blood - La paura dilaga) ricade sicuramente in questa seconda categoria, con qualche curiosa variante, relativa soprattutto alla caratterizzazione della sua vittima designata. Le malattie infatti, come si sa, sono purtroppo molte, ma chi va al cinema ha la possibilità di conoscerne alcune delle meno note. L’amaxofobia, per esempio, vale a dire la paura di guidare un’auto (o di essere comunque a bordo). La protagonista di questo film ne soffre e questo è un elemento caratterizzante della trama. Penny (Rachel Miner) ha una terribile paura delle auto a causa di un terribile incidente in cui è stata coinvolta da bambina e nel quale i suoi genitori hanno perso la vita. Ora è una ragazza e per vincere la sua fobia si è affidata alle cure della psichiatra Orianna Volkes (Mimi Rogers), secondo la quale la cura migliore è tornare dove tutto è cominciato. Durante il lungo viaggio in auto per arrivarci, Orianna - che ha da tempo in cura Penny - scopre che la ragazza ha preso dei sedativi per vincere la sua paura e perciò la rimprovera. Nel farlo, si distrae e prende in pieno un autostoppista fermo a bordo strada. Il minimo che Orianna può fare è offrire un passaggio all’autostoppista, che sembra non aver subito danni dall’incidente. Il cappuccio del giaccone gli copre il viso e il fatto che non parli aumenta il mistero. Penny, che già è terrorizzata di suo, si terrorizza ancora di più. Quando il silenzioso autostoppista offre loro della carne infilata in uno spiedo e poi si mette a mangiarla, comincia a essere chiaro che la gita in macchina non sarà delle più tranquille. Seguendo una stradina sterrata nel bosco, Orianna porta l’autostoppista nel campeggio dove lui le aveva detto di voler andare. Il luogo è deserto. Lui scende. Le donne se ne vanno. Penny però è sconvolta e dopo poco si ferma a vomitare. Così facendo, scopre lo spiedo conficcato in una ruota. Le due donne si ritrovano così da sole nel bosco, sapendo che qualcuno le cercherà e non certo per aiutarle.

Suspense e gioco
La premessa è interessante e l’atmosfera è creata con attenzione. La gestione della storia è interamente finalizzata a montare la suspense. I vari incidenti hanno tutti lo scopo di isolare, anche tra loro, le due protagoniste e di confinare Penny da sola proprio all’interno di un’auto ferma nel bosco, cioè all’interno della cosa che teme di più e che paradossalmente sembra diventare un guscio salvifico. Sembra soltanto, perché dopo una breve fase in cui Penny esce dall’auto per cercare una difficile salvezza, è costretta a rientrarvi e stavolta ne è sostanzialmente prigioniera. Per quasi tutto il film, Penny si ritrova infatti intrappolata nell’auto, impossibilitata a uscire, con il cadavere di Orianna seduto al suo fianco. L’idea di tenere la ragazza prigioniera dell’auto è interessante e funziona, proprio come elemento di esasperazione.
Il misterioso autostoppista sembra usare quasi per caso alcune delle tattiche perverse di Jigsaw (il genio criminale protagonista della saga di Saw), giocando come il gatto col topo, dando alcuni elementi utili a Penny per stimolare i suoi tentativi di liberarsi e rendere più interessante il gioco.
Questo elemento di “alienità” dell’assassino è aumentato dal fatto che non lo sentiamo sostanzialmente mai parlare: le poche parole che dice a Orianna subito dopo l’incidente le sente solo lei perché l’inquadratura è dall’interno dell’auto, dal punto di vista di Penny, senza che si sentano i rumori esterni.
E che il gioco al massacro sia incentrato su Penny e l’autostoppista risulta evidente dalla circostanza che i personaggi minori via via introdotti sono sostanzialmente solo dei diversivi con una funzione narrativa limitata.
La scommessa di girare quasi tutto un film all’interno dell’abitacolo di un’auto ricorda quella, analoga, di girare un film incentrato su una cabina telefonica (In linea con l’assassino). Il risultato non è disprezzabile, pur se ogni tanto l’espediente mostra la corda. Soprattutto nella parte finale, che conclude senza fantasia la vicenda sprecando, almeno in parte, il lavoro di preparazione svolto nel resto del film.
Brandes dirige con buona padronanza, aiutato da un discreto cast. Rachel Miner dà accenti di verità alla terrorizzata protagonista, mentre Mimi Rogers è come sempre molto professionale. Mickey Jones, ormai pienamente concentrato sulla sua carriera d’attore, è stato il batterista di Bob Dylan nel famoso tour mondiale del 1966: qui interpreta con umorismo la parte di un rustico montanaro. Una particina anche per Michael Berryman, indimenticabile protagonista di Le colline hanno gli occhi e tanti altri film (horror e non), nel ruolo di un benzinaio.
Coautrice del copione è Diane Doniol-Valcroze, figlia di Jacques Doniol-Valcroze (critico e regista francese) e autrice della sceneggiatura di un altro horror nel quale un incidente d’auto ha un’importanza cruciale (Hit and Run).

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