Titolo originale | Foxtrot |
Anno | 2017 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Israele, Germania, Francia |
Durata | 113 minuti |
Regia di | Samuel Maoz |
Attori | Lior Ashkenazi, Sarah Adler, Yonatan Shiray, Gefen Barkai, Dekel Adin Shaul Amir, Itay Exlroad, Yehuda Almagor, Ran Buxenbaum, Rami Buzaglo, Aryeh Cherner, Karin Ugowski, Shira Haas, Itamar Rotschild, Roy Miller (II), Danny Isserles, Yael Eisenberg, Sabine Hellstorff, Imani Reiser, Ilia Grosz, Nimrod Levy, Gony Lidror, Sapir Cohen, Mussa Zhalka, Ruti Tamir, Yaakov Zada Daniel, Irit Kaplan, Firas Nassar, Noam Lugasy, Eden Gamliel, Eden Daniel, Lumpi. |
Uscita | giovedì 22 marzo 2018 |
Tag | Da vedere 2017 |
Distribuzione | Academy Two |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 2,88 su 10 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 26 marzo 2018
Una famiglia si trova ad affrontare una delicata situazione che mette alla prova la sua già scarsa coesione. Il film è stato premiato al Festival di Venezia, ha ottenuto 1 candidatura agli European Film Awards, In Italia al Box Office Foxtrot - La Danza del Destino ha incassato 75,1 mila euro .
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Quando tre ragazzi in divisa suonano alla sua porta, Dafna capisce subito cosa sono venute a dirle, e cade a terra priva di sensi. Sedata lei, per qualche ora, con un sonnifero, tocca al marito Michael sopportare sveglio il peso indicibile della notizia della morte del figlio Jonathan. Tutto appare incredibile. Non può essere vero, e forse non lo è: forse il destino ha in serbo una beffa ancora peggiore.
Strutturato in tre momenti che rievocano quelli della tragedia greca, il film di Samuel Maoz vorrebbe mettere in relazione l'assurdità del fato, che supera il volere e il potere degli uomini, con quella, umana e disumana, delle logiche militari israeliane.
Ma la perdita di un figlio è uno di quegli argomenti la cui natura intollerabile ne mette inevitabilmente in discussione la filmabilità stessa, tanto che il buon cinema, quando lo ha approcciato, ne ha sempre fatto materia di un'interrogazione, in primis su se stesso, sui propri limiti e la propria natura fantasmatica. L'approccio di Maoz è invece un altro: un approccio narcisistico, ai limiti del fastidioso, che non affranca mai il film da un effetto complessivo di inopportunità.
Nella prima parte, l'interesse del regista è tutto concentrato sulla recitazione del protagonista e si muove su un terreno scivolosissimo. Eppure non è l'attore, che pure finge per mestiere, anche nel contesto dell'interpretazione più naturalistica, a produrre la finzione che si avverte e disturba: è la regia stessa di Maoz a farlo, con inquadrature fuori tono e movimenti esagerati, che s'impongono come un sovra-racconto e falsificano immediatamente il racconto sottostante. Il film procede per la gran parte del tempo in questo modo, effettato e sovraccarico, differenziandosi soltanto nel secondo capitolo -di gran lunga il migliore-, dedicato alla vita dei ragazzi nel container.
Sbattuti a presidiare un posto di blocco in un letterale deserto dei Tartari, inchiodati ad un'ansiosa attesa dell'occasione accidentale, che viaggia tra terrore e desiderio, Jonathan e i suoi compagni rappresentano un'oasi di verità all'interno del film, e, come spesso accade, questa verità emerge proprio laddove la messa in scena è più costruita. Mentre il loro container s'inclina sempre più nel fango, infatti, s'incrina e comincia a cedere anche la fede dei ragazzi nel significato del loro stare in quel posto, ed è qui, molto più che nel dramma da camera dei due genitori, che Maoz dà ragione al titolo e al senso del film, descrivendo un balletto che riporta continuamente al punto di partenza, contraddicendo ogni proposito di movimento e libertà.
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Un film intenso ed emotivamente impegnativo che parla della casualità delle vite e delle morti e dell’ineluttabilità del fato. Il film presenta tre episodi della vita di una famiglia israeliana a Tel Haviv. O meglio una tragedia in tre atti. Lui è Michael Feldman, un architetto di successo che ha sposato Dafna (Sarah Adler), una donna più giovane.
Per Samuel Maoz la scelta del punto di vista non è soltanto una questione stilistica. Le frequenti inquadrature dell’azione dall’alto implicano lo sforzo di assumere uno sguardo altro da quello comune, forse il desiderio di vedere il mondo con l’occhio di Dio. La digressione filmica nel fumetto introduce un’ulteriore punto di vista, inusuale nella narrazione, quello innocente per definizione del bambino. [...] Vai alla recensione »
Genius is not enough. It takes courage to change the people’s soul. Quando c'è bellezza, sensibilità, eleganza, ironia, professionalità, cultura, simpatia e un pò di umanità allora si toccano i vertici. E' questo il caso del film Green book. Per chi non lo sapesse il Green book era in realtà una sorta di atlante per gli [...] Vai alla recensione »
"Foxtrot" simboleggia, come i passi dell'omonimo ballo, l'andamento della vita che, facendo percorrere diverse direzioni, poi conduce sempre al fine stabilito. Da qui l'impotenza dell'uomo di fronte al Fato. Ad una famiglia viene annunciata la morte del proprio figlio militare stanziato in un posto di blocco posto al confine del Paese.
El director Samuel Maoz, israelita, con una producción cinematográfica realizada entre Israel, Alemania, y Francia, produce este film premiado en el último festival de Venecia, Italia. Ya había ganado en el 2009 el León de Oro en el mismo festival, por su “Lebanon”. & [...] Vai alla recensione »
C'è un mezzo che si muove arrancando su una strada dissestata in mezzo a un deserto, sotto un cielo torvo. è un mezzo militare, ma ancora non si sa. Qualcuno poi suona a una porta, apre una donna, chi ha suonato, fuoori campo, chiede con tono greve: "Signora Feldmann?". Per tutta risposta, dopo un attimo di smarrimento, Daphna Feldmann sviene.
Film dall'incipit fulminante: qualcuno che non vediamo suona ad una porta, apre una donna, la voce fuori campo chiede: "Signora Feldmann?" e la donna sviene. Resta in primo piano un quadro appeso al muro, il disegno in bianco e nero di un tunnel angoscioso. Lo spettatore si chiede perché, e lo scopre vedendo che le persone che hanno suonato alla porta sono militari: la donna ha [...] Vai alla recensione »
Foxtrot - La danza del destinoOppure La vanità della volpeQuesto modello di scrittura è diffuso da decine di anni nei paesi in cui la libertà d’espressione è oppressa. Siamo davanti ad una fiction che sembra narrare di gente senza etnie dichiarate, senza tempo, senza spazio. È la lingua parlata che allude ad una comunità ebraica. Il tempo è suggerito dalle generazioni, dalla nonna ai nipoti dei componenti [...] Vai alla recensione »
E' risaputo che nella situazione di guerra perenne fra Israele e gli arabi, la cosa più pericolosa per i militari della stella di Davide sono i Dromedari palestinesi. Scherzi a parte, film profondo ed introspettivo, ottimi attori e l'atmosfera. Mi ha sorpreso e glie ne sono grato. Non esagero nel voto per questione di gusto personale.
Non funziona: troppo lento specialmente all'inizio, migliora nella parte dei commilitoni ma non decolla mai. Il dolore, la tragedia, le colpe: tutto annacquato in sequenze deboli, che non hanno nulla di visionario. Tutto sommato: un film inutile che non riesce mai ad andare oltre il gusto per l'immagine.
Un pò altanelante tra i drammatico estremo, e melodrammatico, poi nel secondo tempo mi sono perso un pezzo, in conclusione non ho capito.
Non direi narcisistico, piuttosto l'ho trovato in qualche punto tendente verso un compiaciuto manierismo, ma il film è comunque potente, e anche se la ricerca dell'effetto talora appare troppo scopertamente voluta, è notevole la commistione fra crudo realismo e simbolismo, fra distacco e partecipazione.
#Venezia74. FOXTROT. Viene subito alla mente un celebre racconto di Tommaso Landolfi guardando il film di Maoz. Quello della moglie prima pianta perche' creduta morta e poi morta per davvero. Ma Landolfi dell'insensatezza della vita se ne infischiava e ci giocava allegramente a dadi. Maoz, che e' stato soldato davvero e ha vinto a Venezia con il riuscito LEBANON, non ha certo lo stesso punto di vista. [...] Vai alla recensione »
Arriva da Israele, passando per la Mostra di Venezia (dove ha vinto il Gran Premio della Giuria) un film molto bello, ma che non incontrerà il gusto di tutti: per la sua struttura insolita e un po' cerebrale, controcorrente rispetto al dominante cinema di consumo. Foxtrot è suddiviso in tre capitoli, con un episodio centrale racchiuso tra due "cornici" narrative.
Foxtrot: avanti-avanti, destra destra. Fermo. Indietro-indietro, sinistra-sinistra, fermo, un passo dopo l'altro per tornare al punto di partenza. In questo schema Samuel Maoz costruisce il suo nuovo film, che del ballo porta anche il titolo, Foxtrot, presentato allo scorso festival di Venezia e ora in sala dopo la candidatura - era nella cinquina finale - agli Oscar come miglior film straniero.
Un posto di blocco in mezzo al deserto, anzi in mezzo al nulla. La sbarra si alza cigolando, passa con tutta la calma del mondo un dromedario. Passato l'animale la sbarra si richiude e i soldati israeliani, giovanissimi, tornano alle loro occupazioni. Vacue, surreali, a volte bizzarre, e insieme preziose per cogliere il segreto di quel vuoto e di quell'assurdità.
Film di debutto, e fu subito Leone d'oro. Nessuno - a parte i suoi produttori, l'idea era geniale aveva sentito parlare del regista e sceneggiatore Samuel Maoz prima di "Lebanon". Vinse la Mostra di Venezia nel 2009, nell'albo d'oro dei premiati che non prendono il pubblico a cazzotti (nella stessa lista sta il vincitore del 2017, Guillermo del Toro con "La forma dell'acqua").
Una coppia di israeliani è distrutta dalla notizia che loro figlio, Jonathan, è morto durante il servizio militare. Ma poi un'altra notizia altrettanto sconvolgente cambierà per sempre le loro vite. Gran Premio della Giuria al Festival di Venezia, Foxtrot di Samuel Maoz, costruito in tre atti come una tragedia greca, è una riflessione su fatalità, destino, coincidenze e caos, su ciò che possiamo controllare [...] Vai alla recensione »
Il regista israeliano Samuel Maoz (Lebanon) racconta che sua figlia ritardataria cronica pretendeva ogni mattina che le si pagasse un taxi per andare a scuola. Stufo di questi capricci un giorno le ha imposto di prendere l'autobus come tutti. Quell'autobus è saltato in aria a causa di un attentato terroristico. Ma la figlia ritardataria cronica lo aveva perso.
Dramma in tre atti giocato sui passi di un ballo, il Foxtrot, che riportano sempre il danzatore al punto di partenza. Già autore del claustrofobico Lebanon, che rileggeva la guerra di Beirut dell'82 dall'interno di un carro armato, Samuel Maoz torna a indagare sulle contraddizioni di un Paese, la sua Israele, che non riesce a uscire dallo situazione di stallo di un conflitto permanente.
Passi di Foxtrot al checkpoint nell'eterna allerta d'Israele. Pochi movimenti in avanti, di lato, indietro nel deserto che trascolora in paesaggio marziano dove si combatte l'ignoto e il nemico, come nel Deserto dei Tartari, pare solo un'allucinazione. È la danza solitaria del soldato Jonathan, dato per morto ai suoi genitori, gettati per un giorno nel dolore più sepolcrale, un padre sconvolto, una [...] Vai alla recensione »
Film sull'errore, sulla deroga, sull'inevitabile senso di colpa di matrice ebraica. Ma anche sui giochi di un destino beffardo che "danza" a quattro tempi riportandoti sempre al punto di partenza, come la circolare follia dell'homo hominis lupo. E chi è causa del suo mal pianga se stesso. Foxtrot è tutto questo, ma soprattutto è l'opera che maggiormente ha diviso l'opinione pubblica israeliana dalla [...] Vai alla recensione »