Un film intenso ed emotivamente impegnativo che parla della casualità delle vite e delle morti e dell’ineluttabilità del fato.
Il film presenta tre episodi della vita di una famiglia israeliana a Tel Haviv. O meglio una tragedia in tre atti.
Lui è Michael Feldman, un architetto di successo che ha sposato Dafna (Sarah Adler), una donna più giovane. Dopo un periodo d’innamoramento vissuto in una mansarda sul mare, lei era rimasta in cinta, hanno avuto due figli Yonatan e Hannah e si sono trasferiti in un moderno e più grande appartamento. La mamma di Michael, una tedesca ebrea che ha conosciuto gli orrori di Auschwitz, vive in una casa di riposo.
Yonatan (Yonatan Shitay), abile disegnatore e poco più che ventenne, parte militare (due anni sono obbligatori) e un giorno Michael e Dafna ricevono l’indicibile notizia della morte del figlio. Lei sviene e viene sedata e per un po’ di ore dormirà, mentre lui ha delle reazioni dolorose di chiusura al mondo alternati a violenti scoppi di rabbia. Qui la macchina da presa svolge un compito importante: il suo dolore è decritto o con viste all’altezza del pavimento con scarpe e piedi che si muovono ad altezza dello zoccoletto, o con viste dall’alto che lo inquadrano in sfoghi solipsisti e claustrofobici. Infatti, gli mancherà l’aria e uscirà per andare a informare sua madre, che alla fine del colloquio lo scambia con il fratello Avigdor (Yehuda Almagor).
Nel pomeriggio arrivano due militari che lo informan dell’equivoco: suo figlio è vivo ed è stato un caso di omonimia. In un attacco d’ira Michael pretende che il figlio venga fatto rientrare subito a casa.
Il secondo atto mostra Yonatan con i suoi commilitoni a un posto di blocco nel deserto. Questo quadro forse è il più interessante del film con visioni statiche, dialogo che sono quasi più monologhi. Un grande vuoto riempito solo dalla danza circolare in quattro tempi del ragazzo, il fox-trot, che riporta i passi sempre sulla stessa posizione di partenza. Grande senso dello squallore pervade questo middle of nowhere, dove passano qualche isolato cammello e pochissime macchine. La paura di un attentato terroristico crea una tensione altissima. Infatti di notte, da un’auto con quattro ragazzi un po’ su di giri, esce una lattina che viene scambiata per una granata e i commilitoni spareranno. L’equivoco a generato una tragedia. Il ragazzo viene richiamato a casa.
L’ultimo atto, forse quello meno riuscito ma anche quello più intimista, è proiettato qualche tempo dopo (mesi? anni?). Si evince che Michael e Dafna si siano separati e si incontrano per commemorare il figlio nel giorno del suo compleanno. Stavolta Yonatan è davvero morto perché l’auto che lo stava riportando a casa ha avuto un incidente e per evitare di rendere un cammello è finito nel burrone.
I due si rinfacciano varie cose, o meglio lei colpevolizza il marito che man mano si apre e ricorda. Trovano della marjuana del figlio in un cassetto e si fanno una canna. Il film finisce con loro due che sembrano invecchiati di vent’anni e si sostengono come una coppia veterana.
Foxtrot – La danza del destino è un film surrealista drammatico che presenta una commistione di generi: ironico (i vari fumetti), tragico e comico (il balletto nel deserto in coppia con un fucile).Samuel Maoz ha realizzato questo film dopo un fatto realmente accadutogli: sua figlia è scampata a un attentato per essere arrivata in ritardo e aver preso l’autobus successivo a quello che è esploso per una bomba. Presentato alla 74esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia del 2017, il film ha ottenuto il premio per la miglior regia ed è stato selezionato per rappresentare Israele agli Oscar 2018.
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