Lettere da Berlino è l'ultimo di tanti imperdibili lavori girati a Berlino, città dalle mille contraddizioni e dalla natura intrinsecamente cinematografica.
di Emanuele Sacchi
Benché non possa insidiare il primato a Parigi o a New York, resta difficile negare a Berlino una natura intrinsecamente cinematografica. Luogo di spie e di intrighi, di gloria e di vergogna; di bombe di muri, di nostalgia e di rinascita. L'occasione per attraversare la storia del cinema girato tra la porta di Brandeburgo e il castello di Charlottenburg la fornisce l'uscita di Lettere da Berlino, trasposizione dal romanzo di Hans Fallada "Ognuno muore solo", in cui Emma Thompson e Brendan Gleeson interpretano una coppia berlinese che ha perso il figlio a causa della guerra e sceglie la via della protesta, silenziosa ma virale, contro l'assurdità del regime hitleriano.
Con un approccio sussiegoso rispetto alla storia di Fallada, il film mette in mostra i meccanismi della menzogna e del terrore su cui si reggeva il sistema nazionalsocialista. Tali da indurre anche un detective integerrimo e infallibile - interpretato dal Daniel Bruhl di Good Bye, Lenin! - a obbedire a ordini odiosi e a mistificare le prove indiziarie.
L'immagine e l'onore del Reich vengono sempre prima della verità, in una coltre di ipocrisia, sospetto e doppiezza che caratterizzerà le alterne sorti della città nei lunghi decenni che vanno dall'incendio del Reichstag del 1933 al crollo del muro del 1989. Un'epoca di sofferenza e tragedia su cui il cinema si è più volte soffermato, regalandoci opere indimenticabili. Tra queste ne abbiamo estratte dieci, rappresentative - ognuna a suo modo - di un diverso aspetto, o epoca, o congiuntura storica, di Berlino.
Tre anni prima dell'ascesa al potere di Adolf Hitler e del nazionalsocialismo, la Berlino immortalata da Siodmak, Ulmer e Zinnemann è una metropoli di frivolezze e mondanità, in cui vivere le domeniche tra picnic spensierati sotto il sole. Lo zampino di Billy Wilder in sede di sceneggiatura si sente, anche senza i dialoghi, così come quello di grandi registi nelle inquadrature audaci e innovative. Nulla sembra lasciar presagire l'incubo imminente.
1947. Il tredicenne Edmund vaga tra le macerie della capitale tedesca, specchio di un Paese sconfitto e lacerato. Una brutale tabula rasa, in cui i cascami della crudeltà nazista si rifiutano di morire, mentre sembrano mancare la forza e la speranza necessarie per affrontare un futuro di ricostruzione. Il capolavoro che consacra Roberto Rossellini anche al di fuori dei confini italiani. Jean-Luc Godard lo omaggerà nel 1991 con Germania anno 90 nove zero, cronistoria tra finzione e realtà della Germania prima e dopo il Muro.
Siamo in piena guerra fredda, quella paranoica de Il dottor Stranamore e Il sipario strappato. Billy Wilder gira nei giorni in cui il Muro viene costruito e applica il suo infallibile metodo per costruire la commedia perfetta sulle contraddizioni tra i due blocchi. Da una parte, quella orientale, la rigida e ottusa adesione a ideali che non vengono compresi, dall'altra il cinismo di una società asservita al dio denaro. Irresistibile, all'altezza delle sue opere migliori, anche per la capacità di far sorridere di fronte al dramma di una nazione.
1931. Il fragile equilibrio della Repubblica di Weimar immortalato in un musical destinato a riscrivere le regole del genere: la riflessione drammatica si sostituisce infatti al puro intrattenimento, sin lì tipico del più hollywoodiano tra i generi cinematografici. La Berlino della gioia, della trasgressione e delle contraddizioni sta per cedere definitivamente il passo alla violenza xenofoba, alla paura e all'orgoglio nazionalista. Otto meritatissimi premi oscar.
Non può che essere Berlino ad ospitare la guerra dei sessi tra Mark e Anna, che degenera fino a superare le soglie della razionalità. Anna diventa Helen, o meglio entrambe convivono nella stessa città, celando un indicibile segreto. Il mistero dell'incubo sessual-politico di Zulawski resta impenetrabile come quello di una città vittima di un mostro a cui essa stessa ha dato vita. Le contraddizioni della natura umana trovano a Berlino la loro violenta e inevitabile deflagrazione.
Un film divenuto sinonimo stesso della città, mai come qui immortalata nel suo splendore dalla visione aerea di Wim Wenders. La soggettiva è infatti quella dell'angelo Damiel, stanco di assistere impotente alla lenta autodistruzione degli uomini e desideroso di provare le loro sensazioni. Il vuoto di Potsdamer Platz e il Muro che la taglia in due sembrano destinati a durare a lungo, mentre dopo due soli anni Berlino tornerà improvvisamente unita. L'incipit in bianco e nero, nello splendore della fotografia di Henri Alekan, resta tra i più folgoranti di sempre.
L'insensatezza del Muro trova uno dei suoi più credibili racconti attraverso una rielaborazione altrettanto assurda. Wolfgang Becker si avvale astutamente di tutte le tecniche dell'inganno tipiche della commedia degli equivoci per rimettere in scena la Berlino Est che non c'è più davanti agli occhi di Christiane, caduta in coma prima della caduta del Muro. Una favola malinconica che prova a sognare una Berlino Est idealizzata, quella che la propaganda aveva raccontato a generazioni di comunisti, e a confrontarsi con le perplessità del presente.
Forse il titolo più famoso in assoluto sul lato tragico della vita al di là del Muro. Vite spezzate da una rete di sospetto e di spionaggio, in cui l'ideale socialista da tutelare è ormai dimenticato in favore di un meccanismo di autoconservazione del potere. La parabola dell'anonimo agente della Stasi, ammaliato da un mondo a lui ignoto, simboleggia il fallimento di un'ideologia, che nella propria chiusura rispetto al mondo esterno ha firmato la sua inesorabile condanna.
La guerra fredda sopravvive ancora in qualche angolo del mondo, e ne sanno qualcosa le due Coree, tuttora divise dal 38° parallelo. Teatro delle schermaglie è ancora una volta Berlino, scenario suggestivo per chi, come Ryoo Seung-wan, guarda alla storia del cinema americano per rielaborarlo in forma contemporanea. Una spy story congegnata in maniera diabolica, complessa come L'agente speciale Mackintosh e avvincente come Intrigo internazionale, che rivela ancora una volta la futilità connaturata al destino di una spia.
La rinascita del cinema tedesco - Phoenix il titolo originale del film - passa ancora una volta da Berlino e dalla sua storia travagliata. Nina Hoss, che ricostruisce il proprio volto e torna tra le macerie della sua vecchia casa nel 1945, guarda al cinema del passato - lo straordinario Via senza ritorno di Victor Vicas, oltre a Hitchcock - e sceglie di vivere due volte. Per interrogarsi nuovamente sulla capacità dell'uomo di lavare la propria coscienza e indossare una maschera, per vivere nella menzogna.