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ONDA&FUORIONDA

Napoleone in dvd: un tesoro nascosto.
di Pino Farinotti

Ruggero Ruggeri 14 novembre 1871, Fano (Italia) - 20 Luglio 1953, Milano (Italia). Interpreta Napoleone Bonaparte nel film di Renato Simoni Sant'Elena, piccola isola.

domenica 15 settembre 2013 - Focus

In Viale del tramonto Gloria Swanson è Norma Desmond, antica diva del muto. William Holden è Joe Gillis, un giovane sceneggiatore. Lui è finito nella villa, che sembra abbandonata, della diva, lei gli dice, in malo modo, di andarsene. "Ma io vi conosco" dice Gillis "siete Norma Desmond, eravate grande." La diva lo guarda con occhi di fuoco: "Io sono sempre grande, è il cinema che è diventato piccolo."
Norma rappresenta un'idea, quella che il grande cinema non c'è più. Lei si riferisce al "muto": "A noi bastavano gli occhi, poi arrivarono quelli che con le parole, distrussero tutto". Era il 1950 e sappiamo che la diva si sbagliava. Infatti le parole portarono molto al cinema, sappiamo, e il decennio a seguire, gli anni cinquanta appunto, divennero, a parer mio il momento più bello e alto del cinema di ogni epoca. Stagione dopo stagione, una Norma Desmond c'è sempre stata, sempre a evocare un passato di nostalgia: il cinema non era mai quello di una volta. Ma poi, decennio dopo decennio, qualcosa di buono avveniva, grandi momenti, grandi correnti. Fino a noi. Ogni epoca ha il suo cinema, l'evoluzione detta le sue regole. E ciascuno giudica il cinema rispetto alla propria discrezionalità. Come ho detto (troppe volte), al cinema appartengono tutte le discrezionalità e tutte le licenze. Io preferisco i primi 007 alla serie di Fast & Furious, così come preferisco Connery a Diesel. E posso portare davvero molti argomenti a sostegno, ma non c'è dubbio che qualcun altro abbia altrettanti argomenti a sostegno della preferenza opposta. Certo, qualcun altro che non fa parte della mia generazione. Però in questi giorni Venezia ci ha trasmesso un dato oggettivo. Diciamo che il dato già esisteva, e che Venezia lo ha ufficialmente, autorevolmente ribadito. Il dato è il dolo. Avallato da un'azione "fisica" che non lascia scampo. Una parte del pubblico abbandonava la sala durante la proiezione. È successo anche a me, negli anni, di uscire prima della fine di un film, ma accadeva per noia. Mai per disagio o imbarazzo...di stomaco. O per violenza o pornografia. Faccio un solo nome esemplare, Kim Ki-Duk, col suo Moebius. Evirazioni, incesto e altro. Tanti estremi superati, perché ormai quella sarebbe una via obbligata per affermarsi. Lo shock fuori controllo. Il regista coreano è certo dotato, capace anche di una sostanza che si è accreditata. Ma non può non avere la percezione del dolo. Non può non sapere che quel confine sorpassato fa male a tutti, soprattutto al cinema. E in questo caso sì, avrebbe ragione Norma: il cinema è diventato piccolo. E qui non c'entra la discrezionalità, nessuno mi convincerà mai che ha ragione il coreano insieme ai suoi compagni di viaggio, che sono molti.
Un'altra indicazione veneziana è ... un nodo gordiano. Uso un lemma che davvero non mi appartiene ma in questo caso è utile e necessario: dicotomia. Alla Mostra si è tentato di tenere insieme una chimica impossibile, il cinema per la critica e quello per il pubblico. Eccola la dicotomia: qualcosa che potrebbe non essere incompatibile con un'altra, ma di fatto lo è. Una formula che ha creato una grande confusione. Di fronte poi a una realtà, che non è.. discrezionalità, l'assenza della qualità vera. Un altro segnale in chiave dicotomica, seppure diversa, è proprio il Leone d'oro. Il presidente della giuria della Mostra, Bernardo Bertolucci, insieme agli altri membri, ha deciso che era il momento di ri-attribuire il Leone d'oro, dopo quindici anni, a un film italiano. Ha vinto Sacro GRA, di Gianfranco Rosi. Un lavoro di buona qualità, da 3 stelle, solo che ... non è un film. È un documentario. Ed era la prima volta. Un segnale magari imbarazzante.

Qualità
Ma in questo intervento, dopo la lunga premessa, voglio anche scrivere di qualità. E parto con una breve premessa. Anche questo mi sembra un segnale che non lascia scampo: quasi tutte le testate, quotidiani, magazine, web, attribuiscono a un film un giudizio che va da una a cinque stellette, dal film da evitare al capolavoro. Lo faccio anch'io sul dizionario "Farinotti". Nell'ultimo anno un solo titolo ha ottenuto il punteggio assoluto mettendo d'accordo tutti proprio tutti: To Be or no to Be (Vogliamo vivere). Ma non è un film di quest'anno, è del 1942, firmato da quel genio eterno (appunto) che è Ernst Lubitsch. Il film è stato restaurato e ha ottenuto, altro dato che fa riflettere, anche un alto gradimento del pubblico. Oggi scrivo di qualità, perché ho reperito qualcosa che la possiede. Trattasi di un titolo più recente del capolavoro di Lubitsch. Più recente di ... un anno. Sant'Elena, piccola isola infatti è stato prodotto nel 1943. Era scomparso, tanto da essere dimenticato. In realtà si tratta di un autentico tesoro nascosto. Non è uscito nelle sale ma in Dvd. E come quasi sempre accade, ormai la qualità appartiene all'home, piuttosto che alle sale. La filmografia internazionale ha molto raccontato Napoleone. Alcune citazioni cha fanno parte, fra le molte, della memoria popolare: Albert Dieudonné, nel Napoléon "muto" di Abel Gance, Charles Boyer (Ninotchka), Marlon Brando (Désirée), Pierre Mondy, il "commissario Cordier" (Napoleone ad Austerlitz), Rod Steiger (Waterloo). Un ricordo anche per Renzo Palmer protagonista di un'ottima versione televisiva italiana.
Il 15 ottobre del 1815, dopo averlo sconfitto a Waterloo, gli inglesi "rinchiudono" Napoleone a Sant'Elena, isola in mezzo all'oceano Atlantico. Il film si rifà a documenti autentici, alcuni dei quali fanno parte del memoriale che lo stesso Bonaparte dettò al conte De Las Cases. Viene mostrato un diario dove Napoleone studente scrive "Sant'Elena, una piccola isola...". Sono le ultime parole del diario. L'imperatore viene accompagnato da una delegazione di fedelissimi. Emerge la figura del "carceriere", sir Hudson Lowe, ufficiale deluso e pieno di livore, che trattò sin troppo male il suo prigioniero, facendosi odiare da tutti, persino dagli stessi inglesi. Oltre che da... Simoni, regista del film. Dirette e forti sono le battute antibritanniche: non solo Napoleone era stato in guerra con gli inglesi, lo era anche l'Italia nel 1943. Il film è un collettore di notizie interessanti: il gruppo iniziale dell'imperatore era di 44 persone, fra generali, conti e contesse, antichi veterani, domestici eccetera, e costava dodicimila sterline l'anno. Tanto che sir Lowe chiese una partecipazione allo stesso imperatore. Uno dei contrasti maggiori fu proprio la definizione. Napoleone intendeva essere chiamato imperatore, non generale. Napoleone sconfitto ma orgoglioso, naturalmente tristissimo, ricorda e scrive. Cammina sui sentieri di quell'isola di pietre e di nulla. Passano gli anni, il gruppo si assottiglia, Napoleone malato allo stomaco si spegne lentamente. Le sue ultime parole sembrano essere "... le mie truppe...". Muore il 5 maggio del 1821. Il film è magnifico, per ricerca. interpretazioni, estetica, storia e Storia. Presenta niente di convenzionale. Lo si deve a Simoni, critico e regista teatrale, che firmava il suo unico film. La colonna sonora è ... Beethoven: soprattutto inserti della Settima e della Quinta, e si rivela perfetta a sostenere quella vicenda. Ruggero Ruggeri, uno dei massimi attori dell'intero cartello italiano, diede una performance impressionante, per intensità e verità, anche se era troppo vecchio - 71 anni a fronte dei 46 di Bonaparte nel 1815.
Concludo con l'auspicio che la prossima volta, per scovare cinque stelle, non sia necessario ... tornare indietro, così tanto, nel tempo.

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