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L'opera omnia di Chaplin

Le promesse per il 2012, con una sicurezza.
di Pino Farinotti


lunedì 2 gennaio 2012 - Focus

Il 2011 è trascorso, film, programmi, opinioni controverse, giudizi buoni e cattivi, box office, festival. La sensazione generale, anche legata alla depressione generale, è che ci lasciamo alle spalle qualcosa che ha pesato, che ha prodotto più infelicità che felicità. Anche se qualcosa di buono c'è stato e, ricorrendo all'artificio della memoria immediata, estraggo alcuni titoli buoni, magari privilegiando il nostro cinema con Habemus papam di Moretti e Che bella giornata di Nunziante, con Zalone. E poi estraggo il premio Oscar Il discorso del re e rilevo la parte finale dell'anno che ha portato film grandi e belli, come Pina 3D, Miracolo a Le Havre, Midnight in Paris e The Artist.

Nuovi
Il 2012 sarebbe dunque pieno di promesse. A "futura memoria immediata" rimando a questi titoli: tanti "nuovi", che privilegiano la spina dorsale del mercato, la fantasy: i nuovi Spider Man, Wonder Woman, Cavaliere oscuro, Ghostbusters, Godzilla. Segnalo gli attesissimi J. Edgar, di Eastwood, con DiCaprio e Hugo Cabret 3D di Scorsese. Ma voglio concedermi qualcosa di personale secondo il principio che la letteratura sia, spesso, un magnifico sostegno per il cinema. Quest'anno saranno distribuiti alcuni grandi scrittori: John Le Carrè, con La talpa ed Emily Brontë con l'ennesima versione di Cime tempestose. E poi, altro "corso e ricorso", Stevenson col suo "Dr. Jekill and Mr. Hyde". Sopra ho detto promesse, aggiungo: auspici. Ma qualcosa di importante e buono, di sicuro e garante sarà distribuito ai primi giorni dell'anno, non nelle sale ma nelle case. Se usi aggettivi così impegnativi, quasi assoluti, quasi sempre ti riferisci a qualcosa che non è del nostro tempo, a proposte in Dvd. In questo caso di un cofanetto, 15 Dvd, che di fatto contiene l'opera omnia di Charles Chaplin. Dal Monello alla Febbre dell'oro, a Tempi moderni al Grande dittatore a Luci della ribalta a Monsieur Verdoux a Un re a New York. Insomma tutto.
Un inizio anno che, come detto, va oltre gli auspici e le promesse: trattasi del più grande cineasta di sempre.

Tutto
In Tempi moderni Chaplin sapeva già, se non tutto, quasi tutto. L'operaio Charlot, è un modello di allora, siamo nel 1936, ma lo è anche di adesso. Vessato da tutte le forme del potere e dell'autorità e dalle nevrosi del lavoro alla catena e della tecnologia. La didascalia iniziale recita: Una storia di industria, iniziativa individuale, umanità in marcia, alla ricerca della felicità. Charlot subisce le prepotenze del padrone e delle istituzioni. Era il decennio della crisi e della depressione, in America e nel mondo. Chaplin sapeva come rappresentarle in tutta semplicità, e in "tutto genio", un termine che io non uso mai, ma con lui lo uso. Adesso si dice delle famiglie che non riescono ad arrivare alla fine del mese. Chaplin esprimeva il concetto e il momento con altre parole, anzi altre azioni, perché il film era "muto", nonostante ci fosse da anni il sonoro. E anche questo era un magnifico segnale: bastava il gesto e il fatto. Il mondo capiva, senza mediazione di parole. Charlot sognava una casa, un lavoro, ma tutto, intorno, era contro di lui. Il poliziotto, sempre enorme, roteava il suo manganello. Charlot riusciva a sfuggirgli passandogli fra le gambe. Era furbo e agile, per difendersi. Vedi quel film e dici "è come adesso, non è cambiato niente". Ma occorre essere Chaplin per averlo raccontato tre quarti di secolo prima. In quegli anni essere dalla parte dei deboli poteva significare, in America, essere comunista. E Chaplin venne accusato di esserlo. Il suo nemico era quell'Egdar Hoover, storico capo dell'FBI, che stiamo per vedere, secondo Leonardo DiCaprio.

Paura
Quando venne esiliato come persona non gradita naturalmente ne soffrì, ma esauritosi il momento della paura, della famosa caccia alle streghe, tornò in America e si prese la sua piccola vendetta. In Un re a New York, del 1956, titolo magari sottovalutato, ma non da me, qualche graffio profondo alla cultura americana lo portava. Per esempio la pubblicità: come scordare la sequenza dove lui, re in esilio, è costretto, per denaro, a fare la pubblicità di un Whisky, e per poco non soffoca assaggiandolo, in diretta. E le vendite vanno alle stelle. Chirurgia estetica: oltre mezzo secolo fa pochi sapevano cosa fosse. In quel film, il re, che deve sembrare giovane e vitale, sempre cultura americana, si fa tirare la faccia. Non può ridere, non può bere, non è difficile immaginare la creatività del cineasta potendosi giocare quella carta. La faccia gli si scuce quando scoppia in una risata a fronte di un numero in un locale. Numero inventato da lui naturalmente. E non omette, Chaplin, di dedicare una semplice frase, fulminante, quattro parole, a definire l'idiozia di chi lo aveva esiliato per comunismo: "io, un re comunista".

E non si può non ricordare Charles Chaplin musicista. "A latere" del suo incanto, ha semplicemente scritto alcune delle più belle canzoni del novecento, come "Limelight", "Smile", la "Titina", la "Violetera". E quella sua voce, normale, quasi banale, ma era la voce di Chaplin e arrivava alla gente come il solito incanto, come quando Totò cantava la sua Malafemmena.

Attitudine
Il Grande dittatore rappresenta l'offerta estrema dell'attitudine prevalente di Chaplin, che appartiene a pochi altri del cinema e che per lui è talmente alta da essere un sortilegio: saper dire cose importanti col sorriso. I contenuti di Tempi moderni erano, appunto, importanti, ma quelli del Grande dittatore erano impossibili, immani: ridere sulla più grande tragedia del secolo, il nazismo. Era il 1940 e Chaplin fece di Hitler, e anche di Mussolini, due macchiette diversamente tragiche. Certo ci voleva anche del coraggio. Quando il sosia del dittatore, Chaplin appunto, si trova sul palco a parlare al mondo fa un discorso di pace. Sono parole magari enfatiche e retoriche ma col legittimo contrappasso possono valere nel nostro tempo, come quando Chaplin prevede il destino di tutti i dittatori.
Tornando al 2012. Si dice "chi ben comincia". Meglio di così non si poteva cominciare.

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