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Storia "poconormale" del cinema: sequenze e modelli

Una rilettura non convenzionale del cinema secondo Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Puntata 75
Jean Gabin (Jean-Alexis Moncorgé) 17 maggio 1904, Parigi (Francia) - 15 Novembre 1976, Neully-sur-Seine (Francia). Interpreta Jacques Lantier nel film di Jean Renoir L'angelo del male.

venerdì 30 luglio 2010 - Focus

Puntata 75
Nessun attore, fra tutte le correnti, le culture, le estetiche, i sentimenti, le indicazioni del cinema di tutti i Paesi, assume il ruolo e il peso di Jean Gabin. E non soltanto in un'epoca, ma trasversalmente in molte epoche. Certo, il grande modello si colloca inizialmente in un momento ardente, di protesta e di rivolta, il momento del Fronte Popolare.
Il "Fronte" fu un movimento politico antifascista che si affermò fra il '34 e '39. Era formato da alleanze fra le sinistre di quell'epoca, per contrastare il nazismo. Il patto fra comunisti e socialisti francesi, con la leadership di Léon Blum, portò a una vittoria elettorale. Il Fronte Popolare entrò in crisi nel '38, quando la Germania, e anche Spagna, dove il movimento si era affermato, misero in campo l'esercito. Al "Fronte" aderì quasi tutta l'intellighenzia europea, che vide in quel coraggioso movimento un pensiero e un'azione nobili e coraggiosi, che si opponevano alle dittature. Il cinema francese di quella stagione rappresentò quell'intento, ma ci mise di più, ci mise la poesia e l'arte, nelle loro espressioni più alte. La ribellione, la libertà, l'impegno: tutto questo venne assunto da alcuni dei massimi talenti di quel momento, intelligenze trasversali del cinema e della letteratura, registi come Carné, Renoir, Clair, poeti e scrittori come Prévert e McOrlan. Quella cultura produsse film come La grande illusione (Renoir), Les enfants du paradis (Carné-Prévert), Alba tragica (Carné-Prévert), Il porto delle nebbie (Carné-McOrlan), L'angelo del male (Rénoir) dal romanzo di Zola. Solo in Les enfants Gabin non era protagonista. Si trattava di trasmettere il malessere di quella stagione, e di rappresentare ciò che era profondo e reale attraverso quei "poeti", lo erano tutti, che certo capivano la realtà ma, nel descriverla, non volevano rinunciare alla poesia. Quella corrente si definì "realismo poetico". I protagonisti erano disertori, ferrovieri, criminali, cittadini soffocati da quel malessere. I pensieri e il dolore erano raccontati col sentimento degli intellettuali e dei poeti, che volevano conciliare, e ci riuscirono, le due culture, opposte e contrastanti per definizione. Il risultato fu un cinema immenso, senza uguali in tutto il tempo. Dico, certo con licenza, magari arbitrariamente, che quei titoli stavano al cinema come i grandi poemi arcaici o medievali o inglesi (ma sì, Shakespeare) stanno alla letteratura. E Jean Gabin ne era l'eroe. Dava corpo e volto a un disertore dolente e senza illusioni che uccide per difendere la donna che ama, ed è poi ucciso; a un operaio omicida che poi si uccide; a un ferroviere che ancora una volta uccide l'amante e se stesso. Il malessere vitale e mortale che estremizzava la situazione disperata di chi viveva in quel tempo e aveva la percezione della Storia.

Parigino
Prima di arrivare a quella stagione, Gabin, 1904, parigino, aveva percorso molte delle vie tradizionali di chi farà spettacolo. Nel suo caso la condizione era "figlio d'arte".
Suo padre è un musicista da caffè concerto e favorisce il figlio inserendolo nelle favolose Folies-Bergère. Sì, il più grande attore drammatico francese comincia come figurante e ballerino. Cambia tutto quando Julien Duvivier gli affida una parte ne Il giglio insanguinato (1934). Gabin ribalta gesto e recitazione. Il regista si accorge che il ragazzo non ha bisogno di eccedere e neppure di accademia. Jean deve farsi semplicemente inquadrare, deve recitare "a togliere", solo col volto e con lo sguardo, certo devi avere quel volto e quello sguardo, e quel magnetismo, insomma devi essere Gabin. Quella sarà la sua cifra.

Intenso
L'attore non è soltanto il modello di quel metodo intenso e apparentemente statico, nelle stagioni successive saprà adeguarsi ai generi. "Generi", nel cinema francese, magari con parentele o evoluzioni, si chiama "mala". In Grisbi, diretto da un altro maestro, Becker, Gabin è un rapinatore al tramonto cui è fatale l'ultimo colpo. Ancora una volta l'attore faceva testo. Ogni personaggio che ha affrontato è diventato un modello, anzi, "il" modello. Come quando George Simenon volle lui, e solo lui, per fare Maigret.
Gabin è uno di quegli eroi esclusivi, e non lo è, come ho detto, solo rispetto al cinema francese. Quando era anziano cercarono, con Lino Ventura di ricrearlo, ma non funzionò, anche se Ventura è stato a sua volta un grande personaggio. Nel tempo Gabin ha assunto ruoli meno drammatici, si era accorto di saper anche far sorridere. Insieme a Delon, Gabin è il cinema ed è la Francia. I due si sono anche incrociati nei film, Il clan dei siciliani, Due contro la città. Delon era bello, era vilain, "erotico". Ma Gabin era... Gabin.

Doppiatore
Una volta mi presentarono Emilio Cigoli, il grande doppiatore, forse il più grande. Cigoli aveva dato la voce a Wayne, Gable, Cooper, Bogart, Lancaster, Peck, fra gli altri. Gente da nulla... E l'aveva data a Gabin. Gli domandai a quale di quegli attori si sentisse più vicino, per affinità, per arte. Mi disse che gli americani erano magnifici, per appeal, talento, magia, non per nulla erano i divi che erano. "Ma Gabin" aggiunse "Gabin aveva ancora di più."

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