Hilary Swank (Hilary Ann Swank) è un'attrice statunitense, produttrice, produttrice esecutiva, è nata il 30 luglio 1974 a Bellingham, Washington (USA). Hilary Swank ha oggi 50 anni ed è del segno zodiacale Leone.
Hilary Swank, la straordinaria pugile di Million DollarBaby di Clint Eastwood, è una ex povera di Bellingham nello Stato di Washington. Figlia di un militare di carriera nell’Air Force, viveva con suoi in un camper e voleva diventare attrice: quando sua madre, separatasi dal marito e perduto il lavoro, accettò dì trasferirsi a Hollywood, lei aveva quindici anni. Adesso ne ha trenta, è sposata dal 1997 con l’attore Chad Lowe, ha già vinto un Oscar; è alta, sottile (anche se per interpretare una donna pugile ha preso nove chili di peso, tutti di muscoli), delicata, piena di grazia; parla bene, con proprietà, senza esitare né trascinare le parole; indossa quasi sempre maglie, jeans, stivali; a Los Angeles vive in albergo.
Come tutte o quasi, ha cominciato a lavorare per le serie televisive di ragazzi per ragazzi; ha debuttato al cinema nel 1992 in Buffy the Vampire Slayer. Al primo ruolo importante, nel 1999, è stata premiata con l’Oscar per Boys Don’t Cry di Kimberly Peirce, ricavato da un tatto di cronaca, film stranissimo: in una città del Nebraska arriva Brandon Teeno, giovanotto carino che fa innamorare tutte Le ragazze sinché non si scopre che è anche lui una ragazza in abiti maschili, e subisce una violenta punizione. In vesti e comportamenti virili Hilary Swank era magnifica, tanto che molti restarono con l’idea che fosse davvero un ragazzo. «Ma il fatto è», diceva lei, «che io non sono un ragazzo. Io recito».
Non sempre con altrettanta fortuna. Accanto ad Al Pacìno è stata, in Insomnia di Christopher Nolan, una poliziotta dell’Alaska; in The Core era una terranauta ossia una specie di astronauta sotterraneo; insieme con Keanu Reeves ha recitato in The Gift di Sam Raimi, insieme con Adrian Brody ne L’intrigo della collana. Adesso lavora a The Black Dahlia di Brian De Palma, tratto dal romanzo di Ellroy. Ma il suo secondo grande personaggio, per il quale ha vinto l’Oscar destinato alla migliore attrice,è in Million Dollar Baby. Maggie Fitzgerald, emblema dei poveri bianchi d’America, cameriera trentenne con l’unica ambizione di tirare di boxe e di vincere, donna che non ha avuto nulla dalla vita e che cerca qualcuno che creda in lei per la quale il trionfo finalmente conseguito significa morte.
Da Lo Specchio, 26 Febbraio 2005
Occhio che morde», sussurra Chad Lowe. Hilary Swank, sua moglie, annuisce e sorride. Il signore e la signora Lowe sono in piedi nell’ampio soggiorno della loro casa newyorkese. Hanno ciascuno un pappagallo appollaiato su un dito. Hilary mi mostra un paio di piccole cicatrici sotto il labbro, l’impronta di un becco. Passano un grosso pastore tedesco e un bastardino che continua a saltellare come il cane di un circo. C’è anche un gatto. E dall’altra parte della stanza, dentro un recinto che prende metà del pavimento, sta un morbido coniglio.
Hilary Swank ha già vinto un Oscar, e ne ha conquistato un secondo per Million Dollar Baby, dove interpreta una donna che vuole diventare campionessa di pugilato. Maggie Fitzgerald, il personaggio del film, è una nessuno, la cameriera di un caffè di bassa lega. Morgan Freeman, nel film, la descrive così: «È cresciuta sapendo una sola cosa, che è immondizia». Ma Maggie ha un sogno, e lotta per realizzarlo.
Anche Hilary Swank un tempo aveva un sogno. Nata a Lincoln, nel Nebraska, si trasferì nello Stato di Washington a tre anni. Il padre era arruolato nella Guardia Nazionale, ma lasciò la divisa e anche la famiglia. «Abbiamo vissuto in una bella casa fino a quando avevo sei anni, poi papà sparì per un lungo periodo. Quando tornò, vivevamo in roulotte». Come Maggie, una che ha il torto di essere cresciuta nel posto sbagliato. Hilary parla della sua infanzia come qualcuno che deve ancora elaborarla. Da bambina era «sempre sola». I genitori «avevano una relazione difficile»; il fratello, Dan, era più grande e «non c’era mai». Ma l’essenziale non è mai mancato. «Mia madre s’indebitava per non mandarmi in giro con i calzini bucati», spiega. A scuola Hilary faceva atletica e nuoto, tanto nuoto da entrare in una squadra olimpica juniores. A casa leggeva i romanzi presi dalla biblioteca ambulante che visitava il camping una volta al mese. E passava ore a guardare film. «Meryl Streep: La mia Africa, La scelta di Sophie, Silkwood. E Debra Winger in Voglia di tenerezza. Le loro interpretazioni sono pulite. Fanno sembrare tutto molto facile. Non si vede mai che recitano. Io guardavo, riavvolgevo e riguardavo come ridevano senza sforzo o come le emozioni passavano rapidamente sul loro viso».
A quindici anni si trasferisce a Los Angeles con la madre. A diciassette incontra Chad Lowe e dopo pochi mesi si mettono a vivere insieme. Nel ‘99 legge il copione di un film indipendente a basso budget di una regista debuttante, Kimberly Peirce. Paga di tasca propria il biglietto per il provino a New York e, una volta scritturata, accetta un compenso di tremila dollari. Arriva la nomination all’Oscar per Boys Don’t Cry. A 25 anni si ritrova sul tappeto rosso accanto all’idolo della sua infanzia, Meryl Streep. E vince. «Quell’anno ho guadagnato solo i tremila dollari: avevo un Oscar ma non l’assicurazione medica», ricorda. Ha sollevato la statuetta con gli occhi scintillanti, i capelli alla maschietta, le guance ancora spigolose dopo la dieta fatta per avere un mento più maschile. Nel suo abito inadatto di taffettà verde con la gonna importante, sembrava un po’ un travestito.
Cinque anni più tardi, quando Hilary entra in un caffè nel quartiere di New York dove vive, cappotto crema e camicetta rosa con fili dorati, è ragazza al cento per cento. Sembra più giovane dei suoi trent’anni, e un p0’ formale. È alta, magra, fresca. Più alta e più magra di quanto pensassi.
La locandina di Million Dollar Baby mostra le sue spalle robuste che escono da una canottiera sportiva, la pelle tesa e lucida sopra i muscoli scolpiti. La donna che ho davanti sembra fatta di seta, come una giovane Ava Gardner. O (soprattutto quando scioglie il nastro che legai suoi magnifici capelli) una giovane Raquel Welch. Allora, dov’è la forza, Hilary? Lei appoggia il gomito sul tavolo, solleva la manica e tira fuori un bicipite enorme. Gli otto chili che ha messo su per il film erano tutto muscolo. «Credo di aver portato sempre la stessa taglia», conferma Hilary. «Ma le mie cosce erano più grandi e i pantaloni tiravano un po’, le mie spalle erano più larghe e le camicie non andavano alla perfezione». E i bicipiti non entravano tanto bene nelle maniche. Ha perso cinque di quegli otto chili e sostiene che si fermerà al peso attuale.
Nel caffè dove siamo sedute entra una signora carica di borsa, cappotto, passeggino, bambino sui tre anni e neonato. Hilary si alza per aiutarla a sistemarsi. Quando il neonato esce dalla tutina invernale con le guance arrossate, lei esclama: «Guardi quel faccino! Non gli darebbe un morso?». È talmente estasiata davanti al bambino che mi viene spontaneo chiederle se anche lei ne vuole uno. «Sono molto, molto vicina al momento in cui ci si sente pronte per un bambino. E Chad, poverino, ne aspetta uno da sei anni». Tutti sanno che il suo matrimonio con questo attore e regista è felice e solido. Sono insieme da tredici anni, dopo essersi conosciuti a una festa a Hollywood. Entrambi facevano programmi tv per la Abc. «Io non cercavo un fidanzato, e neanche lui era a caccia. Avevo 17 anni. Il matrimonio era la cosa più lontana dalla mia mente. Volevo vivere da sola e lavorare alla mia carriera. Mi trasferii da Chad in attesa di trovare un posto mio. Ma, un paio di mesi dopo che stavamo insieme, ci siamo resi conto che la storia funzionava. Non ci siamo più separati».
Dall’amore si passa alle frivolezze. Parliamo di shopping. Hilary mi fa una confidenza che trovo molto curiosa e dolce: «C’è una cosa che faccio con i vestiti... Forse perché non sono cresciuta ricca, e i vestiti più carini li dovevo tenere per le occasioni importanti, capita che me li compro solo per guardarli. Li lascio lì appesi per un anno. A volte non tolgo neppure il cartellino. Non scherzo, glielo possono dire anche le mie amiche. Loro mi dicono che sono pazza, che devo rilassarmi».
Un’abitudine insolita, come insolito, per un residente di Manhattan, è il suo piccolo zoo domestico. Ma Hilary va pazza per gli animali. Si tormenta se deve indossare pelle (anche se lo fa). Ha appena iniziato a mangiare pesce (della carne non vuole nemmeno sentir parlare). Non perché non le piace il gusto: «Non mi piace il pensiero che gli animali debbano morire». Il discorso le fa venire in mente una storia. L’11 settembre Hilary ha visto cadere le torri dalla finestra di casa e, come tanti, ha sentito, dopo lo shock, il bisogno di fare qualcosa. Così si è unita al gruppo di soccorso della Humane Society, che si prendeva cura degli animali abbandonati o smarriti nella fretta dell’evacuazione. Un giorno ha liberato un cane rimasto chiuso in un appartamento. «Si chiamava Lola. Era al tredicesimo piano, abbiamo dovuto fare le scale a piedi. Quando l’ho raggiunta era stata dentro da sola per tre giorni. La stavo portando al centro di raccolta quando una ragazza sul marciapiede la vede e urla “Lola!” con tutto il fiato che ha in gola. Il cane le salta addosso e lei, che pensava di averlo perso, gli mette il panino in bocca. Una cosa davvero commovente».
Hilary ha commosso anche me, di nuovo. Era già successo alla proiezione di Million Dollar Baby. In sala ero la sola donna, assieme a cinque uomini. E, lo giuro, non sono stata l’unica a piangere.
Da Vanity Fair, 3 Marzo 2005
Basta con i jeans e le camicie a quadri, sotto con i reggiseni battezzati in puro glamourìo curve di pizzo. È ufficiale: Hilary Sjvank è una donna, e per scoprirlo ci voleva una pubblicità. Ingaggiata per la campagna autunnale di una linea di lingerie, la signorina dalla mascella quadrata e dai tratti spigolosi che vinse un Oscar travestita da ragazzo con Boys Don’t Cry adesso sembra Marilyn, o la Raquei Welch dei primi anni Settanta: un’immagine sexy e curvilinea, sparsi i lunghi capelli su un letto candido dove si rotola voluttuosa. Femminilità all’estrema potenza, con tocco di dichiarazioni maliziose, anche se non precisamente originali: “Se voglio stare comoda uso biancheria di cotone. Ma in genere preferisco il pizzo, perché mi fa sentire più sexy”. Si rompe un incantesimo che la perseguita da molto, molto tempo. Da quando, alle elementari di Bellingham nel Nebraska, qualche sadico la fece debuttare nelle recite scolastiche nella parte di Mowgli, il ragazzino del Libro della giungla.
Ma non è detto che sia vinta la battaglia della sua vita con la femminilità (negata? temuta? bisognerebbe chiederlo al suo analista, se mai ne ha avuto uno). Subito dopo il break pubblicitario, per esempio, si è dovuta sfilare i reggiseni a balconcino per passare ai guantoni da boxe. Così l’ha voluta Clint Eastwood, che l’ha ingaggiata come protagonista di Rope Burns: storia di una donna che volle farsi pugile. E infatti, “sto cercando di trasformarmi per il molo”, fa sapere. “Prendo lezioni di boxe e mi esercito in palestra, per scolpire i muscoli e rafforzare i bicipiti: per sei giorni alla settimana, passo quattro ore e mezza sul ring a New York, seguita da un professionista del K.O.”. Intanto, mentre lei tira di mancino, il marito Chad (anche lui attore, fratello minore di Rob Lowe) la osserva attento. E Hilary, che lo ha conosciuto a 18 anni e sposato sette anni fà, commenta: “Pensare che lui dice sempre che ama la bellezza dei miei occhi. E quella del mio culo”.
Deve amarla molto, Chad, se è stato disposto a seguirne docilmente tutte le trasformazioni. L’esperienza più difficile è stata Boys Don’t Cry. Per entrare nel molo ó ispirato a una storia vera ó di Teena Brandon, che si finse ragazzo e che per questo fu uccisa, la Swank si è tagliata i capelli cortissimi, ha fasciato il seno e infilato un paio di calzini nei pantaloni. Così conciata, “i vicini di casa mi scambiavano per mio fratello James e io me ne andavo in giro per la città, giocavo ai videogame con i miei coetanei, abbordavo ragazze; poi, quando tornavo a casa, chiedevo a Chad di insegnarmi come abbassare i toni della voce”. La regista Kimberly Peirce rimase così affascinata che le affidò subito il ruolo. Anche perchÈ “le avevo raccontato di avere la stessa età di Teena e di essere nata nella medesima città: non era vero, ma la vera Brandon avrebbe mentito come me”. La dedizione valse a Hilary un Oscar, soffiato a gente come Meryl Streep e come Annette Bening, che era convinta di vincerlo per American Beauty. “A fine riprese, però, ero terrorizzata di non riuscire più a tornare ragazza. Per fortuna, mi ha aiutata Chad. Siamo andati insieme a Parigi e abbiamo fatto una cena molto romantica sulla Tour Eifel”.
Ritrovata l’identità sessuale, eccola pronta a ricominciare: dalle crinoline settecentesche alla divisa da poliziotta, dagli abiti da cornmessa in cui la vedremo a fine agosto in Ore 11.14 a quelli impegnati di Red Dust, film di prossima uscita dove è una sudafricana nel dopo-apartheid. Con la caparbietà che la contraddistingue da quando, sedicenne, lasciò la scuola per Hollywood.
Racconta la sua personale leggenda che, con soli 75 dollari in tasca, Hilary e la mamma, appena arrivate in California, dormivano in un caravan in attesa di fortuna. Abituata a lottare per sopravvivere, e adesso anche sex symbol a tutti gli effetti, non stupisce che finalmente sia pronta a mettere tutte le sue colleghe al tappeto. Ma la prossima volta, confessa, “vorrei proprio girare una commedia romantica. PerchÈ nella vita abbiamo tutti bisogno di ridere un pochino».
Da Vanity Fair, 29 luglio 2004
Gli ho sferrato un bel gancio!», ricorda Hilary Swank tutta contenta. E tifa la mossa davanti a me, con una rapida serie di colpi. Ci troviamo in un ristorante di SoHo. E, con grazia, lei inscena davanti ai miei occhi una sequenza da Million Dollar Baby, dove interpreta una pugile allenata da Clint Eastwoow in attesa degli Oscar (le nomination sobo 7, tra cui quelle per miglior film, la migliore interprete‚ il film ha fatto incetta di Golden Globe: per il coprotagonista Morgan Freeman, per Eastwood, che è anche il regista e per Hilary, nel suo modo più brutale, forte, viscerale dai tempi di Boys Don’t Ciy. Difficile immaginare quegli zigomi perfetti che ricevono un cazzotto dritto in faccia. Ma lei, che proprio con Boys Don’t cray un Oscar l’ha già vinto nel 1999, si mette d’impegno e mima i colpi in rapida sequenza. «Mi dovevo abbassare all’arrivo di un gancio destro, ma me lo sono dimenticata. Ho visto arrivare il colpo e gli sono andata contro. E poi, di nuovo, non mi sono ricordata di fare la finta. Avevo l’adrenalina troppo alta».
Hilary Swank non ha mai cercato la vita facile. Se si dovesse trovare un filo conduttore tra i suoi ruoli (e non è facile: ha vinto la statuetta come migliore attrice con un personaggio transgender), quel filo conduttore sarebbe il dolore, il sacrificio, l’impegno. Il suo primo molo importante al cinema, nel ‘94, è stato in Karate Kid 4, e allenarsi con il vecchio karateka Mr. Miyagi deve essere stato faticoso. Più tardi, a soli 24 anni, ci fu Boys.
Ma il test più duro fu il successo. Hilary ricorda il periodo confuso che seguì l’Oscar. «La gente mi chiedeva: “E adesso?”. All’inizio non capivo. Poi mi sono resa conto che di grandi personaggi in grandi
storie ce ne sono pochissimi. E che un attore deve lavorare. Così, può essere che tu debba aspettare anche dieci, quindici anni prima di riuscire a voltare pagina» . Lei ave-va fretta. Prima dell’Oscar aveva accettato di girare L’intrigo della collana, complicata avventura ai tempi della Rivoluzione Francese. Dunque indossò un corsetto e cambiò genere. Con molti dubbi: «Non mi divertivo granché, dovevo ritrovare me stessa. Per fortuna ci sono riuscita abbastanza in fretta». Il pubblico, invece, ha impiegato un po’ di tempo a ritrovare Hilary: il film fu un flop. Poco tempo dopo, lei tentò un’altra strada: il catastrofico. In The Core doveva arrivare al centro della ~1èrra per salvare il pianeta. Ma neI 2003 gli spettatori non erano interessati alla rovina del mondo e il film non ebbe successo. Andò meglio in tv con Iron Jawed Angel’, e come suffragetta ottenne una nomination ai Golden Gbobe.
La tv però non era il posto migliore dove investire il capitale di un Oscar E Hilary rifiutava i ruoli convenzionali: «Ho fàtto un grande sforzo per essere presa sul serio, mi annoiavo a fare solo la bella». Dice la regista di Boys Don’t Cy, Kimberly Peirce: «Hilary è molto fisica. Ed è bravissima nel trasformarsi».
Così arriviamo a Million Dollar Baby. Lo sceneggiatore tv Paul Haggis, autore di Walked, Texas Ranger, ha adattato il film dalle storie di Jerry Boyd, ex pugile che scrisse Rape Burns sui mondo del ring con lo pseudonimo F. X. Toole. Haggis, che doveva essere il regista, chiamò la Swank per il ruolo dell’aspirante boxeur Maggie Fitzgerald. Lei accettò subito, rinunciando a fare Arthur Miller a Broadway. Iniziò ad allenarsi: quattro ore al giorno, sei giorni la settimana, per tre mesi. Ha messo su nove chili di muscoli e ha provato a combattere con dei pugili autentici a Gleason, uno dei templi delle scazzottate a Brooklyn. Intanto erano arrivati Freeman ed Eastwood: l’uno per la parte di un vecchio fallito con i guantoni, l’altro come trainer. In più, Clint subentrò alla regia: la storia gli piaceva moltissimo, anche se «i film di boxe oggi non sono di moda». Nei confronti di Hilary, il regista è entusiasta: «Ha un talento atletico naturale. Quando corre, lo là come una che si alterna sul serio, non come se dovesse correre per Hollywood Boulevard».
E quando tira di boxe, non è certo una che si risparmia. «Nel film, chi deve recitare con più impegno è l’attore che sta perdendo l’incontro, perché va al tappeto più spesso e prende i colpi più duri», spiega Eastwood. La Swank di sicuro ha incassato la sua parte di cazzotti. I suoi «bellissimi lineamenti cesellati» (sempre parola di Clint) si sono presi un bel po’ di colpi. I più pesanti arrivavano dalla vera boxeur Lucia Rjker che a Hilary ha fatto una grande impressione: non solo per la forza dei suoi ganci, ma anche per il suo sex appeal. «La bellezza ha mille forme, mica ha sempre bisogno di grandi tette e capelli lunghi», commenta l’attrice. E il futuro? «Mescolerò un po’ generi. Un po’ donna fatale, un po’ maschiaccio». Il prossimo impegno ècon Brian De Palma, nella parte della Dolia nera, di James Ellroy. Ma intanto Hilary è cresciuta. Vive a New York con il marito Chad Lowe, dopo aver lasciato la West Coast. E ammette: «Ora mi trovo meglio nel mio corpo. C’è un momento in cui si diventa donna. Io lo sono diventata qui, a New York, a 30 anni».
Da Vanity Fair, 10 febbraio 2005