Ennio Morricone è un attore italiano, musicista, è nato il 10 novembre 1928 a Roma (Italia) ed è morto il 6 luglio 2020 all'età di 91 anni a Roma (Italia).
Il titolo è puro Veltroni-McCartney: We all love Ennio Morricone (e dunque, sillogisticamente, «all we need is Ennio Morricone?»). L'album è puro Festival della canzone Morricone: 17 temi interpretati da grandi nomi del pop, del rock e della lirica con raccordi orchestrali architettati e condotti dal Maestro Morricone. In attesa dell'Oscar alla carriera che Hollywood si appresta a consegnargli il prossimo 25 febbraio; atto dovuto quasi, visto che la Academy già lo ha nominato e mazziato per Svolte.
A dire il vero inizia così così, il Festival della canzone Morricone (presentato da Clint Eastwoód e Pippo Baudo?) con Celine Dion che si misura con I knew I loved you, in origine tema romantico da C'era una volta in America, come se avesse beccato un altro iceberg. L'arrangiamento, connivente, è di Quincy J ones, mitico produttore (e potenziale direttore artistico del Festival Morricone, organizzato da Goffredo Bettini all'Auditorium di Santa Cecilia) che a seguire si rende responsabile di una rilettura funky-orchestrale de I>Il < buono, il brutto e il cattivo, con il coyote del west che si fa coretto doo-wop, i drammatici staccati del Maestro rilegati in fascicolo, e il virtuoso pianista Herbie Hancock che annega nel suo oceano di bravura. Poi arriva Bruce Springsteen, l'attesa è palpabile, la tensione è alle stelle, e lui imbraccia la Telecaster, si arena sul tema conduttore di C'era una volta il West come in un saggio da secondo anno di Conservatorio e va via senza dire una parola, che nemmeno Lee Van Cleef.
A tirare su il livello della serata segue il buon: Andrea Bocelli, che da nostromo si mette valorosamente al timone delle aspirazioni letterarie di Conradiana, e veleggia bene. Poi i brutti e cattivi Metallica, scafatissimi minatori di heavy metal, estraggono dalle miniere western la pepita di The Ecstasy of Gold e la smerciano come apripista da grande live. E quindi Yo-Yo Ma, che ritrova nel suo violoncello cinese la malia sicula di Malena, l'ultima colonna sonora da brivido di Morricone. Sul resto della serata: menzione d'onore per l'incursione brasiliana di Daniela Mercury con Eumir Deodato; per Vanessa and the O's che riprendono la versione francese di Se telefonando (già di Françoise Hardy); per il recupero di Lost Boys Calling, collaborazione del Maestro con l'ex-Pink Floyd Roger Waters (dalla Leggenda del pianista sull'oceano); per La Luz Prodigiosa, poema sinfonico su liriche di Garcia Lorca, affidato a Dulce Pontes. Applausi e finalino da commozione per il tema strumentale di Nuovo cinema Paradiso.
Già: il paradiso del Cinema, più che il pantheon-hollywoodiano dell'Oscar tardivo, è quello che compete a un grande creatore di musica come Morricone: classe 1928, trombettista e arrangiatore diplomato al Conservatorio, compositore: le circa 400 colonne sonore per cinema e tv dal 1961(Il Federale, di Luciano Salce, con sobbalzi di Alberto Sordi sul sidecar) a oggi. E per quanto il Maestro ami distogliere l'attenzione da quel pugno di film, la strada per il paradiso passa per le arsure del primo Sergio Leone, con le coloriture vocali di Edda dell'Orso e la chitarra elettrica e lo zufolio di Alessandro Alessandroni, cowboy di Soriano nel Cimino, ad aprire squarci di viscerale impressionismo nell'oleografia del West. Quegli squarci sono il segno più profondo che ha lasciato nella cultura pop: dal rock alternativo anglosassone (Toni Waits, Damon Albarn dei Blur, e i suoi progetti collaterali stile The Good the bad and theQueen) a QuentinTarantino, che ricicla il Morricone vintage in Kill Bill vol. 2.
Perché le melodie memorabili abbondano, nello sterminato repertorio del Maestro: ma la sua unicità si nasconde nell'artigianale, originalissimo lavorio di arrangiatore e coreografo del ritmo narrativo (al punto che l'incredibile incipit di C'era una volta il West, con quei ritmici cigolii, sgocciolai e silenzi, è il risultato della sottrazione delle sue musiche da un montaggio che di esse era basato: e il Maestro, stando al folklore, disse che era la migliore musica che avesse mai composto).
Un altro grande interprete di temi morriconiani (e, come Alessandroni, grande escluso da We all Love Ennio Morricone) è John Zorn, formidabile sperimentatore newyorchese, che nel 1985 gli dedicò un intero album, The Big Gundown. Onorandolo nel modo migliore: e cioè, smontandolo. Dal tema che da il titolo all'album (La resa dei conti, spaghetti western '66 di Sergio Sollima) al fantastico motivo conduttore de La Battaglia di Algeri, dal "sean sean" di Giù la Testa! allo hard-boiled di Milano odia: la polizia non può sparare, c'è uno spaccato di grandi idee morriconiane tormentate con inserti jazz e violini dissonanti, crivellate di batucada e di richiami da caccia, torturate da stravolgimenti di segnatura e avanguardistiche chitarre, ocarine giapponesi, rumori televisivi, trapianti da Beethoven e da Bacharach.
Eppure emerge, nel fuoco incrociato, lo spirito del Maestro: la capacità di evocare un mondo a partire da poche note e qualche lampo di genio nell'arrangiamento. Un pianoforte monocorde di qua, una campana di là; una chitarra elettrica e un fischiettio; un colpo di frusta o un dolcissimo macabro carillon: la grandezza di Morricone è tutta nel saldare l'arte della composizione classica con la musique concrete della vita in ununico misterioso messaggio emotivo,, per tatuarcelo sulla chiappa sinistra, o sul ventricolo destro.
Da Il Sole-24-Ore, 11 febbraio 2007