Docu-reality ambientato nella "riccanza" di Città del Messico, Made in Mexico segue la vita di nove protagonisti del jet set latino-americano, osservati nella loro opulenta quotidianità "in una delle città più energetiche del mondo": l'imprenditore e playboy Pepe Díaz, proprietario di un noto night club; la fashion designer snob Kitzia Mitre; la food blogger cileno-statunitense Liz Woodburn; la super-modella Columba Díaz; la giornalista e blogger statunitense Chantal Trujillo; l'ospite tv Shanik Aspe, wannabe pop star; il "cattivo ragazzo" Roby Checa; la giovane attivista per i diritti umani Hanna Jaff; Carlos Girón Longoria, attore e modello. Un format collaudato, quello della docu-soap, o docu-reality, che sarà possibile seguire nel dietro le quinte - tra triangoli amorosi, cocktail party e colpi di scena - anche attraverso i (gustosissimi) profili social dei protagonisti.

È un'importante operazione culturale di "rottura delle barriere" quella che si cela dietro alla produzione di uno show dal carattere solo apparentemente frivolo e leggero.

Nuova perla nella collana di serie sull'America Latina inanellate da Netflix (da Club de Cuervos al colombiano Distrito Salvaje, da Narcos al prossimo Monarca, prodotto da Salma Hayek), Made in Mexico è stato definito dai suoi protagonisti "uno show che abbatte i muri", in diretto riferimento alle esternazioni anti-immigrazione del Presidente USA Donald Trump. "Gli americani spesso non hanno la minima idea di come siano i messicani", dice nel corso delle prime puntate la fashion designer Kitzia. E Made in Mexico ha il grande pregio di spiegarglielo benissimo, usando quel linguaggio uber-pop, e quell'estetica glitter, che gli americani praticano e riconoscono fin da bambini.