Advertisement
Come devo vivere? Wenders e Miyazaki ci offrono un orizzonte nuovo. E finalmente si respira

È avvenuto un piccolo miracolo: la gentilezza delle piccole cose sbanca al box office. Perfect Days e Il ragazzo e l'airone continuano a crescere grazie al passaparola. Al cinema.  
di Giovanni Bogani

Kôji Yakusho (KôJi Hashimoto) (68 anni) 1 gennaio 1956, Isahaya (Giappone) - Capricorno. Interpreta Hirayama nel film di Wim Wenders Perfect Days.
venerdì 19 gennaio 2024 - Focus

Finisco in un cinema di Roma, in un giorno feriale. E ci sono gruppetti di ragazzi che aspettano di entrare. Aspettano a gruppi di due, di tre, di quattro. Bevono qualcosa, hanno zaini grigi, jeans, capelli lunghi, scarpe Adidas, occhiali. Universitari, ragazzi che amano il cinema. E i due film che stanno aspettando di vedere hanno entrambi a che fare con il Giappone. Sono Perfect Days di Wim Wenders e Il ragazzo e l’airone di Hayao Miyazaki.

Sono tanti, questi ragazzi. E non sono soltanto in questo cinema: al box office italiano, nel momento in cui sto scrivendo, Il ragazzo e l’airone ha un incasso totale di 5,5 milioni di euro. E occupa la prima posizione della classifica un altro film giapponese, anche se diretto da un regista cittadino del mondo, Wim Wenders: è Perfect Days, piccolo miracolo del cinema d’autore, che ha incassato 2 milioni di euro.

Erano questi i due film che i ragazzi, a gruppetti, stavano aspettando di vedere. Quella sera, sono andato a vedere Il ragazzo e l’airone di Miyazaki. E ai titoli di coda, nessuno si è mosso. Non erano svenuti: stavano guardando, con rigoroso rispetto – verrebbe da dire con nipponica deferenza – fino all’ultimo fotogramma del film/testamento di Miyazaki.

Ma, verrebbe da dire, da che cosa nasce questo piccolo miracolo? Sono film che son cresciuti grazie al passaparola, quello che sembrava non esistere più. Sono film che sono opera di due grandi maestri, due grandi esploratori delle possibilità del cinema. Wenders, vincitore del Leone d’oro a Venezia con Lo stato delle cose e della Palma d’oro a Cannes con Paris, Texas, Wenders che con il Giappone ha una lunga storia d’amore, filosofico e cinematografico, da quando si innamorò dei film di Yasujirô Ozu. E Miyazaki, che crea un cinema di animazione assolutamente originale, nel quale la logica non va cercata con i parametri occidentali, ma con una mente aperta alla meraviglia, alle connessioni impossibili, al fatto che aprendo una porta ci si trovi continuamente in mondi impensabili un attimo prima. Un regista Zen – Wenders – per il quale l’importante sembra essere la capacità di stare incollati all’attimo, alla meraviglia del reale, delle più minuscole cose. E un regista nel quale il mondo è in continuo divenire, come Miyazaki, una girandola di mondi immaginari, come gli animali impossibili del Codex Seraphinianus.
 


LEGGI LA RECENSIONE DI PERFECT DAYS

Una volta tanto, sono i film amati dalla critica quelli che trionfano al botteghino. Le recensioni positive spingono i titoli: non il milionesimo passaggio del trailer, né il nome degli attori. Al momento, Il ragazzo e l’airone ha superato i 150 milioni di dollari di incassi in tutto il mondo. Il film di Wenders, uscito in Francia, Germania e Italia, e dal 7 febbraio negli Stati Uniti, ha raggiunto un incasso 8,5 milioni di euro, il migliore per un film di Wenders da quindici anni a questa parte.

Ma c’è qualcosa, in tutto questo, che ha a che fare con il Giappone? O almeno, con l’idea che del Giappone abbiamo, attraverso il cinema, noi spettatori occidentali? È, in qualche modo, una frontiera, un orizzonte, un’utopia il Giappone che vediamo al cinema? È un luogo nel quale rifugiarci?

O non è, forse, il fatto che si tratti di due registi appartati, poco o niente inclini alla pubblicità, ad invadere tutti gli spazi possibili con i loro film, che ce li ha fatti amare?

Miyazaki ha fatto del ritiro dalle scene una forma d’arte, hanno scritto. È vero. Dopo il precedente film, Si alza il vento, aveva detto: mai più. E non era che l’ultimo di una serie di ritiri annunciati, ipotizzati, ventilati, ma sempre smentiti dai fatti. Miyazaki è anche l’unico grande “autore” di animazione, l’unico nome riconoscibile da tutti. Gli altri nomi sono nomi di studios: Pixar, Dreamworks. Anche Disney. Walt imparò subito che era meglio essere produttore, corporation, brand, piuttosto che autore: e dopo aver diretto i primi cortometraggi, pensò a costruire il suo impero finanziario. Miyazaki continua a fare, in prima persona, i suoi film. L’ultimo dei grandi artisti, dei grandi titani.

E allo stesso modo, Wenders costruisce il suo film con pazienza, con inquadrature semplici, nude, senza affidare alle parole che il ruolo più essenziale, minimale, di una comunicazione gentile, quieta, minuscola, nella quale le grandi cose si nascondono dentro parole piccole. Le abitudini del quieto pulitore di bagni pubblici, il suo dormire sul futon, il suo alzarsi all’alba, compiere sempre gli stessi gesti, annaffiare con cura minuscole piantine come se da questo dipendesse il futuro dell’umanità, uscire con l’auto, mettere su vecchie cassette di musica rock, vivere la vita come fosse un viaggio non necessariamente eclatante, accettare la semplicità del vivere, un vivere monacale, solitario, abitudinario, puro, dove nella pausa pranzo ci si ferma a guardare una foglia, o i riflessi del sole che scintilla fra le foglie, negli alberi del parco, e capire che la vita è tutta qui, farsi permeare dall’esistente, dal piccolo pezzetto casuale di vita che ci è dato vivere. E apprezzare quel poco, quel minuscolo cortile che dobbiamo tenere pulito, che è la nostra vita. Il film di Wenders non fa proclami, ma ci dice tutto questo, naturalmente senza “dircelo”: mostrando come si fa, come si fa a rimanere nella coscienza dell’essere, del presente. “Ora è ora, e la prossima volta è la prossima volta”, canta, come in una cantilena di bambino, il protagonista del film.
 


LEGGI LA RECENSIONE DE IL RAGAZZO E L'AIRONE
Una scena di Perfect Days di Wim Wenders.

Miyazaki, al contrario, si infila e ci infila nel turbine. Quasi senza drammaturgia, con personaggi e situazioni che appaiono e scompaiono come fuochi d’artificio, come figure spettrali, con un susseguirsi di creature, di eventi, di immagini, con una corsa continua. Tanto il film di Wenders è rarefatto, vuoto, quanto il film di Miyazaki è pieno. Inutile cercare la logica, la coerenza: bisogna arrendersi, salire sull’ottovolante con lui e lasciarsi andare.

Ma in entrambi i film, c’è qualche cosa di estremamente lontano dalle commedie che guardiamo, dagli intrecci, dalle storie che siamo abituati a sgranocchiare con gli occhi, anche quelle più intelligenti, più femministe, più politicamente corrette. Qui, nel Giappone ordinato e nel lavoro meticoloso del pulitore di bagni pubblici del film di Wenders, così come nella fantasmagoria di suoni, colori, di meraviglie continue, di fuochi e cieli, paesaggi e animali del film di Miyazaki, c’è – in entrambi i casi – un orizzonte nuovo, che ci fa dire: finalmente si respira.

E poi, certo, c’è l’arte. Ci sono le citazioni della pittura di Miyazaki: i panorami ottocenteschi, la sfaldatura dell’immagine di Monet, le geometrie di De Chirico nella torre abitata dal prozio. Ci sono le citazioni filmiche di Wenders, che nella semplicità e compostezza di K?ji Yakusho ritrova quella di Chishû Ryû, l’attore feticcio dei film di Yasujirô Ozu, il regista che Wenders ha amato più di tutti, e al quale aveva dedicato, ormai quasi quarant’anni fa, un primo, bellissimo film nipponico: Tokyo-ga, che anche nel titolo richiama il capolavoro di Ozu, Tokyo Monogatari.

Un’ultima cosa. Entrambi, il tedesco Wenders e il giapponese Miyazaki, sono nati in due paesi non soltanto sconvolti, ma dilaniati, annientati dalla guerra. Wenders nella Düsseldorf bombardata del 1945, nasceva mentre la guerra finiva lasciando una Germania che era un cumulo di macerie; Miyazaki aveva quattro anni, quando gli americani sganciavano la bomba atomica su Hiroshima. Tutti e due sono stati bambini in un mondo azzerato, nati in due nazioni punite, annientate, annichilite. Entrambi hanno raccontato, ciascuno a suo modo, vite che si ritrovano alle prese con la perdita di tutto, con il ricominciare da zero. E forse, in questo momento – dopo una pandemia, dopo due guerre, cose che abbiamo tutti archiviato facendo un po’ troppo finta di niente – ci ritroviamo con la sensazione che invece, sì, c’è da ricominciare da zero, che anche questa vita, che anche questo momento che stiamo vivendo è un dopoguerra.  

E allora, li vediamo, ne siamo affascinati, li amiamo. I personaggi che cercano di creare una vita, partendo dall’essenziale, nei film di Wenders: tutti, fino all’ultimo, il pulitore di bagni pubblici. Il protagonista ostinato de Il ragazzo e l’airone. Entrambi rispondono alla domanda “come devo vivere?”, quella che per Wenders è sempre stata fondamentale. E non all’altra, “che obiettivo devo raggiungere?” che occupa il nucleo di quasi tutti i film del mondo, quella che ti insegnano nelle scuole di sceneggiatura. 


{{PaginaCaricata()}}

Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | MYMOVIESLIVE | Dvd | Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | Colonne sonore | MYmovies Club
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati