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La natura dell'amore, Monia Chokri: «vi racconto l'amore che non può funzionare. O forse sì»

La regista canadese, nome di punta dell’industria québécois (e non solo), racconta nel suo terzo lungometraggio una storia tra due persone appartenenti a due classi sociali molto differenti. Un'opera in cui il racconto del trasporto emotivo procede di pari passo con la lucidità dell’analisi sociale. Da mercoledì 14 febbraio al cinema.
di Luigi Coluccio

martedì 13 febbraio 2024 - Incontri

Esce in sala per Wanted Cinema l’ultimo lavoro di una delle autrici/attrici più interessanti, curiose e personali del cinema francofono globale, Monia Chokri, nome di punta attoriale dell’industria québécois e non (ha lavorato con Denys Arcand, Xavier Dolan, Claire Simon, Katell Quillévéré, Charlotte Le Bon e via elencando), sceneggiatrice e regista di A Brother’s Love (premio Coup de cœur a Cannes 2019) e Babysitter.

La natura dell’amore, suo terzo film, è invece il San Valentino che non ti aspetti: Sophie è una professoressa di filosofia di quaranta anni, insegna all’università per anziani di Montréal e trascina avanti una relazione diventata sempre più distaccata e puramente intellettuale con il compagno Xavier. Un giorno, mentre ispeziona lo chalet appena comprato, incontra il responsabile della ditta di costruzioni, Sylvain. Scoppiano così l’amore e la passione tra città e campagna. Ma che coppia nascerà?

Tra zoom avanti e indietro, pan-focus, teleobbiettivi e uno sguardo coinvolto e critico da commedia romantica anni ’70, abbiamo parlato con Monia Chokri di questo suo ultimo film.


L'INTERVISTA

Partiamo da quello che è venuto prima e quello a cui sei arrivata adesso. Nei due film precedenti, A Brother’s Love e Babysitter hai decostruito la maternità, il rapporto fratello/sorella, la sessualità, e ora con La natura dell’amore sembri essere arrivata all’analisi finale, quella più pura, mettendo al centro di tutto l’amore.
Innanzitutto grazie perché hai quasi parlato di una trilogia e, forse inconsapevolmente, lo è stata. In effetti i tre film corrispondono a tre diversi periodi della mia vita e quindi forse c’è una struttura generale che li lega. E grazie anche per aver usato la parola “decostruzione”, perché ogni volta che mi accingo a preparare e realizzare un film quello che voglio fare è proprio mettere al centro per lo spettatore quelli che sono i miei valori. Per questo scelgo sempre delle protagoniste che hanno più o meno la mia età, non sono film autobiografici, non sono io ma quasi degli alter-ego sui cui cerco di proiettare le mie angosce e le mie insicurezze. Quando ho iniziato a lavorare alla scrittura de La natura dell’amore avevo voglia di studiare, analizzare, interrogare il rapporto di coppia, l’amore, il desiderio, non solo per me stessa ma anche per gli spettatori, che spero abbiano voglia di chiedersi anche loro delle cose.

L’amore non è solo un pretesto narrativo ma ne sta al centro anche come riflessione teorica, filosofica, emotiva, sentimentale, grazie alle lezioni e agli interrogativi della protagonista Sophie. E soprattutto con le riflessioni finali lasciate alle parole di bell hooks.
L’amore è fondamentale. Non saremmo nulla senza di esso e non si potrebbe fare nulla senza di esso. E se non è proprio questo il senso del film una delle domande a cui volevo rispondere è il come si fa ad amare bene, come si può amare sé stessi. Il libro di bell hooks [Tutto sull’amore – Nuove visioni, NdR] l’ho scoperto in una fase avanzata della scrittura, ma mi ha subito colpito tantissimo e ho cercato di inserirlo comunque nel film. Porta una luce moderna, diversa, sulla questione, perché bell hooks arriva a proporre una soluzione su come si debba amare bene e meglio. E se è vero che in precedenza Sophie parla del modo in cui i filosofi uomini hanno costruito le varie teorie sull’amore, è bello che il film si chiuda con le parole di una donna, perlopiù afroamericana, quindi doppiamente oppressa.


La regista Monia Chokri e il cast del film sul set di La natura dell'amore.

Dopo bell hooks non posso che dirti che il tuo film sembra “intersezionale” dove va a sovrapporre il film d’amore con un’analisi sociale, di classe, tra Sophie e Sylvain.
Lei è una teorica, io quando scrivo cerco di raccontare una storia, magari una bella storia. Poi mentre lavoro ci sono un sacco di cose inconsce, inconsapevoli, che alla fine si legano. Ma non sapevo a priori che avrei fatto un film del genere. Probabilmente a un certo punto ho realizzato la presenza di questo doppio livello, partendo proprio dall’interesse di capire cosa succede nel territorio dove viviamo, il Québec, in cui ci sono delle enormi differenza tra città e provincia, ad esempio rispetto al tema della cultura. Sophie e Sylvain sono due personaggi che provengono da questi due mondi, e a forza di leggere, di interrogarmi, perché sono degli argomenti che mi interessano molto, ho scoperto che una percentuale minuscola delle coppie, forse meno del 10%, proviene da classi sociali diverse. Forse nelle avventure è normale spingersi oltre, ma non lo è altrettanto quando si costruisce una coppia, una relazione. Anche oggi la coppia è un sistema economico, sociale e politico iniquo. Non c’è uguaglianza, parità, perché è difficile che qualcuno abbia il coraggio di attraversare una classe sociale diversa. Però, appunto, tutte queste cose mi sono arrivate dopo e sono felice di questo perché quello che mi interessa di più sono appunto la lotta di classe e gli amori difficili.

In La natura dell’amore abbiamo come protagonisti Magalie Lépine-Blondeau e Pierre-Yves Cardinal. Con Magalie hai lavorato in Gli amori immaginari e Laurence Anyways, Pierre-Yves ha fatto Tom à la ferme con Dolan, e in generale sia tu che gli altri attori di A Brother’s Love e Babysitter (Anne-Élisabeth Bossé e Patrick Hivon) venite da esperienze comuni. Com’è dirigere un gruppo di interpreti con cui si lavora e ci si frequenta da anni?
È stato molto facile perché in Québec gli attori sono molto generosi e hanno una gran voglia di fare cinema. Poi lavorare con le persone che conosco bene e per le quali provo affetto rende tutto più semplice, come Magalie che è la mia migliore amica ma che è stata scelta perché è una grandissima attrice. È stato un set gioioso, ed è una cosa importante, perché non credo nella realizzazione di un film come sofferenza, angoscia, aggressività. Le parole chiave sono dolcezza, gentilezza, così gli attori sono più disposti ad aprirsi e si lavora molto meglio.


In foto una scena del film La natura dell'amore.

Visto che abbiamo parlato di registi e attori appartenenti allo stesso sistema industriale, volevo chiederti in che fase sta il cinema québécois e del suo rapporto con il cinema dell’Ontario o Canada inglese come viene definito.
Il cinema in Québec sta vivendo un momento molto positivo. Non siamo una nazione puramente cinematografica, però con circa otto milioni di abitanti recentemente sono stati fatti quasi quaranta film l’anno, e c’è uno star system piuttosto consistente. Stiamo messi meglio rispetto alla pandemia o al periodo precedente. Poi ci sono tante donne, che hanno la possibilità e i budget adeguati per realizzare i loro film. Per il rapporto con il Canada di lingua inglese è come se mi chiedessi qual è il rapporto con il cinema cileno o portoghese. Siamo due mondi completamente separati, pur essendo vicini non ci conosciamo, non parliamo la stessa lingua e il sistema industriale è completamente diverso.


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