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The Quiet Girl, Colm Bairéad: «porto agli Oscar l'Irlanda, i bisogni dei più piccoli e l'amore universale»

Abbiamo incontrato il regista del film candidato all'Oscar 2023 come Miglior Film Internazionale - prima volta in assoluto per un film in lingua irlandese - e ci ha raccontato delle sue radici, cosa lo spinge a interessarsi ai più giovani e come ha vissuto l'ultimo straordinario anno. Da giovedì 16 febbraio al cinema.
di Luigi Coluccio

Colm Bairéad 1981, Dublino (Irlanda). Regista del film The Quiet Girl.
martedì 14 febbraio 2023 - Incontri

Una novella apparsa per la prima volta sul New York Times e poi pubblicata da Faber and Faber. Un piccolo film indipendente finanziato da un fondo di sviluppo per il cinema recitato in irlandese. Un regista che lavora da venti anni tra corti e televisione ma che non ha mai fatto un film di finzione. 

Questo, e tanto altro, è The Quiet Girl (An Cailín Ciúin in gaelico irlandese), opera prima del regista/sceneggiatore/produttore Colm Bairéad, tratto dal libro di Claire Keegan “Foster", vincitore di vari premi in giro per il mondo e candidato come Miglior Film Internazionale alla notte degli Oscar del 12 marzo – prima volta in assoluto per un film in lingua irlandese.

Di tutto questo, e appunto tanto altro, ne abbiamo parlato con Colm Bairéad.

Partiamo da quello che c’è stato prima: sono quasi venti anni che lavori nell’audiovisivo, e uno dei punti focali di tutte le tue opere è sempre stata l’attenzione al mondo dei più piccoli, come dimostrato da The Quiet Girl ma anche dai corti His Father’s Son e Luck.
Sì, è interessante perché anche questi due corti hanno per protagonisti dei bambini. Qualunque sia la ragione per cui faccio film, di sicuro sono interessato a storie con al centro i giovani, almeno per il momento. Non so nello specifico cosa sia, però so di amare il cinema che mette in scena i più piccoli, forse fa parte dello stesso medium avere una certa facilità nell’esplorare quel punto di vista, quel periodo della vita. Le immagini ti rimangono addosso in un mondo profondo, e penso che il cinema sia in una posizione unica per far vedere il mondo attraverso gli occhi di chi ancora non ha compreso bene quello che gli sta attorno.

È il caso di The Quiet Girl, dove viene presentato un punto di vista che ancora non si è totalmente formato, ed è per questo, ad esempio, che a livello visivo il film ha delle immagini “limitate”, visto che abbiamo cercato di mettere il pubblico nella posizione di questa bambina, nella sua prospettiva sul mondo. Ci piaceva l’idea di far sentire che ci fossero delle cose giusto al di là dell’inquadratura, cose ancora non raggiungibili.

L’altro grande tema della tua filmografia è l’importanza della lingua. Tutti i tuoi lavori sono girati in irlandese, nel 2012 hai avuto una menzione da parte della Screen Director's Guild of Ireland per il tuo contributo ai prodotti audiovisivi in lingua irlandese e tu stesso hai parlato di come sei nato e cresciuto in una famiglia dove tuo padre si rivolgeva ai figli solo in irlandese.
Come hai detto l’irlandese ha sempre fatto parte della mia vita. Sono cresciuto a Dublino, la capitale d’Irlanda, che però non è una zona dove si parla irlandese. Quindi era abbastanza strano stare in una casa, una famiglia, dove invece si usava.

Ho avuto un rapporto complicato con l’irlandese durante la mia gioventù, mi sentivo in imbarazzo perché nessun altro nel nostro quartiere aveva un padre che gli parlava solo in irlandese, un padre che con noi usava l’irlandese anche in pubblico. Ed ero in imbarazzo perché gli altri mi chiedevano sul perché noi parlavamo in irlandese quando nessun altro lo faceva. Così sul finire della mia gioventù ho iniziato a rivolgermi a lui in inglese, anche se lui mi parlava in irlandese.

Ma è soltanto negli ultimi anni che ho capito che parlandoci in irlandese, e dando a noi la possibilità di parlare nella nostra lingua locale, mio padre ha fatto un grande dono a me e ai miei fratelli. Un dono che adesso sto passando ai miei figli, lo stiamo facendo assieme io e mia moglia, Cleona Ní Chrualaoí, che è anche la produttrice del film e parla irlandese come me. Praticamente sono diventato mio padre.


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In foto una scena del film The Quiet Girl.

Sempre sulla questione della lingua irlandese, quanto è importante Cine 4, il fondo di finanziamento e sviluppo gestito da TG4, Screen Ireland e la Broadcasting Authority of Ireland?
Se non fosse stato per Cine 4 molto probabilmente il nostro film non sarebbe esistito. Il progetto è stato lanciato nel 2017 e grazie a questo fondo di sviluppo sono usciti in sala molti film recitati in irlandese. Se osservi la storia del nostro cinema prima del 2017, puoi quasi contare sulle dita di una mano i film parlati in irlandese che sono arrivati nei cinema del paese.

Nell’arco di cinque, sei anni, la nostra cinematografia ha visto aumentare in modo esponenziale i film parlati in irlandese, ed è una cosa fantastica, anche perché se guardi questi film senti che gli autori che le hanno realizzate sanno benissimo chi sono, c’è una forte identità in ogni singolo film venuto fuori da Cine 4. Non sono opere che ammiccano ad altri mercati, non è come nel passato quando diversi film irlandesi facevano il verso a quelli americani o inglesi. Ora i film che vengono realizzati sono nuovi, significativi, davvero irlandesi.

È molto bello quello che sta succedendo, e visto anche il successo di un film come The Quiet Girl, spero che gli investimenti continuino, che la nostra filmografia si accresca di nuove opere, che i nostri figli tra vent’anni possano vedere queste pellicole e sentirsi rappresentati e ispirati da esse.

Di The Quiet Girl è subito evidente la costruzione estetica che hai realizzato, con un lavoro preciso e costante sull’aspect ratio, le sequenze nel retro delle macchine, l’altezza delle inquadrature.
Sono tutte scelte prese assieme a Kate McCullough, la direttrice della fotografia, e riguardavano unicamente come fare a riportare il punto di vista di una bambina. The Quiet Girl non è un film che cattura per la sua storia, non è questo il punto centrale, e sapevo fin dall’inizio che se il film avrebbe avuto successo sarebbe stato unicamente grazie al fatto di riportare gli spettatori nei loro panni da bambini, quando sei circondato solo da adulti e non capisci quello che ti sta succedendo attorno, anche se questi adulti possono essere i tuoi genitori naturali. Così la tensione narrativa del film viene dal sentire esperienziale, dalla capacità di abbracciare il punto di vista della protagonista e sbloccare i propri ricordi.

Questa è anche la cosa che mi piace di più nel cinema, i film che lasciano spazio allo spettatore, che gli permettono di entrare dentro la storia piuttosto che buttargliela tutta addosso, che lasciano alcune domande senza risposta. Claire Keegan, l’autrice del libro, crede che ogni opera sia incompiuta e che il compito del lettore sia quello di finire il lavoro dell’autore, concludere il testo artistico. E mi piace che questa cosa si possa applicare anche al cinema, perché i film che non rispondono a tutte le domande rimangono più a lungo con lo spettatore.


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In foto una scena del film The Quiet Girl.

Il viaggio del tuo film è iniziato tanto tempo e chilometri fa, dalla Berlinale del febbraio 2022 agli IFTA, i BAFTA e adesso la prossima notte degli Oscar. Com’è stato vivere un anno come questo? Come ci si prende cura, si accompagna un film del genere?
L’ultimo anno è stato un sogno. Ci sono momenti in cui pensavo “adesso mi sveglio e scopro che è stato tutto un sogno”. Però dietro c’è anche tanto lavoro. Queste cose non succedono per caso, ci vogliono grandi passioni ed energie dietro le quinte per promuovere il tuo film, viaggiare con il tuo film, discutere del tuo film. Per me e Cleona è stato un viaggio meraviglioso, un privilegio e una fortuna assieme perché condiviso con la persona con cui hai scelto di stare insieme nella vita. Poi è stato affascinante vedere come pubblici diversi interagivano con il film, quali differenze culturali entravano nel coinvolgimento del pubblico. E allo stesso tempo è stato rincuorante vedere l’impatto universale del film, perché non importa che pubblico c’era quella sera il risultato finale era sempre lo stesso. Ed è qualcosa che avevo già sentito leggendo il romanzo di Keegan, perché anche se la storia è specificamente irlandese le fondamenta di essa sono universali.

Già si parla del tuo prossimo film, sempre ambientato nell’Irlanda di qualche decennio fa e con protagonista un guaritore religioso.
Sì, c’è Broken Hands e un altro film che al momento è senza titolo di lavorazione. Un sacco di autori ci stanno mandando i loro copioni, non so esattamente quale sarà il prossimo ma sicuro uno dei due progetti che sto scrivendo adesso. È incredibile quello che è successo e quello che succederà agli Oscar, però allo stesso tempo non vedo l’ora di tornare alla normalità del lavoro, venire di nuovo divorato dal prossimo film. 


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