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Sono innamorato di Pippa Bacca, il ricordo di una sposa gentile che voleva riparare il mondo

Simone Manetti ripercorre la vita e l'ultimo viaggio di Giuseppina Pasqualino di Marineo, in arte Pippa Bacca, giovane artista che credeva fermamente nel suo prossimo. Al cinema.
di Marzia Gandolfi

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venerdì 6 marzo 2020 - Focus

C’è sempre un’immagine all’origine di un film di Simone Manetti. Quella di una ‘fotografia d’azione’, ritratto di due donne in un angolo morto della società (A New Family), quella di una silhouette sottile, percorso di una combattente nel sud-est asiatico (Ciao amore, vado a combattere), quella di un abito da sposa, materia per riparare qualcosa di smisurato nel mondo (Sono innamorato di Pippa Bacca).

Il suo cinema lavora intorno a identità femminili in costruzione o in dissoluzione, a donne che si mettono in discussione, a rischio, in scena. E del mettersi in scena Giuseppina Pasqualino di Marineo, in arte Pippa Bacca o Eva Adamovich, aveva fatto un’arte. Giuseppina cambiava i nomi come cambiano i giorni, per nascondersi o magari esporsi, per fuggirsi o forse comprendersi meglio. Ma è col nome e con la personalità di Pippa Bacca, alter ego artistico, che l’otto marzo del 2008 Giuseppina Pasqualino di Marineo lascia Milano per attraversare in autostop tutti i paesi segnati dalla guerra. Parte in abito da sposa per unire in un gesto ecumenico tutti i popoli del mondo. Parte non con la passività delle eroine di Gustave Flaubert, che seguivano un uomo, ma col dinamismo della sua idea, il peso dei suoi sogni e il suo messaggio d’amore naïf, brutalmente contraddetto. Diretta a Gerusalemme semina figurine bianche confezionate all’uncinetto e lava i piedi alle ostetriche asciugandoli coi lembi di un abito che il pellegrinaggio rende sempre meno bianco.
 

Il suo tragitto, arrampicato sui tacchi e una camera a mano, prevede la ex Jugoslavia, la Bulgaria, la Turchia, la Siria, la Giordania, il Libano, la posta in gioco, provare che possiamo avere fiducia nel prossimo. Partita da Milano, non è mai arrivata a destinazione. Incarnazione di appello alla pace, è assassinata in Turchia il 31 marzo 2008. Aveva 33 anni. Il sogno volge in incubo, l’abito bianco in sudario. 
Marzia Gandolfi, MYmovies.it

Con il suo film e una forma rara di discrezione, Simone Manetti interroga il ‘gesto artistico’ di una donna e di un’artista italiana. Impossibile separare le due anime perché Pippa Bacca metteva la sua vita e il suo corpo in scena, la sua performance non flirtava scientemente con la morte ma alla fine l’ha provocata. Della sua passione restano delle immagini, Pippa aveva con sé una telecamera che chi l’ha uccisa ha usato per filmare il matrimonio di sua nipote. Il suo assassino le ha rubato la vita e lo sguardo.

Parte da lì l’autore, dall’occhio del carnefice, da un ‘filmino di famiglia’ che celebra il miracolo di un’unione e la fragilità delle promesse. Infiltrato con bestialità nella storia di Pippa Bacca, l’uomo si rifugia nel suo film come se volesse sovrascrivere il suo corpo e la sua colpa nelle immagini di un’altra. Lui filma, Manetti anche, più forte, senza rumore. Separa materialmente e spiritualmente lo sguardo di Pippa Bacca da quello del suo assassino, disegna di nuovo la linea immaginaria che separa il pubblico dall’artista e restituisce alla sua famiglia la sua eredità umana e artistica. 

Davanti a lui, la mamma e le sorelle di Pippa Bacca tessono i capelli, il viso e il sorriso amati come in una ballata deandreiana. E di De André sono i versi della canzone che Pippa Bacca cita in un comunicato che suona oggi come un’epigrafe: “Della Guerra sono stanca ormai, al lavoro di un tempo tornerei, a un vestito da sposa o a qualcosa di bianco per nascondere questa mia vocazione al trionfo ed al pianto”.  “Joan of Arc” è di Leonard Cohen ma De André la adatta in italiano, ripercorrendo l’impegno ardente di un’altra donna d’arme, partita per cambiare il mondo. C’è invero qualcosa di sacro, che flirta con il profano, nella ricerca assoluta di Pippa Bacca, investita da una missione di riparazione universale e insieme da un’esigenza di leggerezza.

Non è solo la bellezza del gesto che è in gioco nella sua performance estrema, Manetti sonda la frontiera che non esiste tra l’arte e la vita, proseguendo la sua riflessione sul femminile e la sua trasmissione. Cosa vuol dire essere una donna? Come essere una donna? Come negoziare, a ogni epoca e a ogni latitudine, col corpo e quell’identità complessa che è la femminilità, con i desideri e i ruoli imposti (madre, amica, amante, sorella, figlia)? L’autore risponde rilanciando. È Silvia Moro, la sposa accanto che ha ‘tradito’ la regola fissata da Pippa Bacca (mai rifiutare un passaggio in macchina), il controcanto che sottopone al disegno melodico principale. Accordare la fiducia al prossimo era il principio irriducibile del progetto di Pippa Bacca, il principio irriducibile della sua esistenza. Accogliere, sempre. E Silvia, che aveva abbracciato la responsabilità e il candore di quell’intenzione di artista, incarna oggi la coscienza remota e inconsolabile che combina il documentario coi codici della finzione.


SONO INNAMORATO DI PIPPA BACCA: VAI ALLA SCHEDA COMPLETA CONTINUA A LEGGERE
In foto una scena del film Sono innamorato di Pippa Bacca.
In foto una scena del film Sono innamorato di Pippa Bacca.
In foto una scena del film Sono innamorato di Pippa Bacca.

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