marcello
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domenica 13 ottobre 2019
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send in the clowns!
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Arthur è un comico mancato con a monte una serie di problematiche psichiche, neurologiche e sociali. Spinto a essere felice sin da piccolo ("put a smile on that face") anche quando non c'era proprio nulla per cui esserlo. La sua risata è tutto fuorché una risata, somiglia più a un pianto di dolore (non a caso Arthur ride quando tutti gli altri non ridono). Momento cruciale del film che segna un cambiamento nella sua vita è il taglio dei fondi ai servizi sociali, con la relativa sospensione della terapia psichiatrica. Da qui in avanti Arthur inizia la sua trasformazione in Joker, maturando una sua identità e un pensiero che fino ad allora erano rimasti ovattati.
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Arthur è un comico mancato con a monte una serie di problematiche psichiche, neurologiche e sociali. Spinto a essere felice sin da piccolo ("put a smile on that face") anche quando non c'era proprio nulla per cui esserlo. La sua risata è tutto fuorché una risata, somiglia più a un pianto di dolore (non a caso Arthur ride quando tutti gli altri non ridono). Momento cruciale del film che segna un cambiamento nella sua vita è il taglio dei fondi ai servizi sociali, con la relativa sospensione della terapia psichiatrica. Da qui in avanti Arthur inizia la sua trasformazione in Joker, maturando una sua identità e un pensiero che fino ad allora erano rimasti ovattati. Come se i farmaci fino ad allora lo avessero tenuto buono e calmo (egli a un certo punto del film dice: "Da quando ho sospeso la terapia mi sento meglio", e qui la domanda: può essere visto come un tentativo della sanità di addomesticare i malati psichiatrici più che curarli?)
Contribuiscono anche altri eventi: il crollo delle sue idee riguardo le sue origini e riguardo sua madre (domande che comunque agli occhi dello spettatore restano aperte), la conoscenza della causa primaria del suo malessere: una lesione cerebrale responsabile della sua diversità. Inoltre il licenziamento, l'ambiente di lavoro ostile e la scarsa sensibilità mostrata dal celebre comico Murray Franklin (Robert De Niro) portano Arthur a trasformarsi in uno spietato criminale.
Questo non è un film sui supereroi, questo è un film su Arthur Fleck. Un Joker che è visto più da vicino, che porta ad empatizzare verso il protagonista, verso il suo vissuto, più che a vederlo come l'antagonista di Batman. Arthur Fleck è la goccia che fa traboccare il vaso sullo sfondo di una Gotham incazzata che decide di ribellarsi contro il sistema: egli diventa involontariamente il simbolo di un movimento di protesta verso una società che tratta i deboli come rifiuti, i "clown" ("cosa succede se metti un malato di mente con una società che lo tratta come immondizia?"). Non c'è in lui un'ideologia politica che lo spinge, non c'è una fame di potere o di denaro, ma un desiderio di riscatto sociale, di "esistere", di non essere per una volta invisibile agli occhi della gente. Arthur è un comico non comico che quando ride non ride ma è come se piangesse, non per colpa sua e per motivi che per tutta la sua vita gli sono stati nascosti. Joker è la forza, la follia, il grido della disperazione, la voce che spiazza la mano che tappa la bocca ad Arthur, la danza... Un 10 a Joaquin Phoenix per l'interpretazione...Send in the clowns!
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ruger357mgm
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domenica 6 ottobre 2019
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apologia della devastazione
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Un'opera che giustifica, che prelude e spiega. L'ambiente è la città di Gotham, prima di Batman, la prigione di Arkham, prima di Batman, il mondo desolato prima di Batman. Un prequel che basta a se stesso e ci porta a parteggiare per il Cattivo, o meglio, per il Principe dei Cattivi. Il cattivo, all'inizio non è cattivo, è solo un disgraziato seguito dai servizi sociali, come tanti ce ne sono nelle nostre metropoli. Un disgraziato che fa da punchin'ball per le bande di bulli che lo prendono a calci, con una crudezza e un realismo che ci fanno pensare ai quotidiani pestaggi da tifosi o da servitori dello stato inquinati. Un disgraziato che non prende più le sue medicine, perchè i tagli alla sanità e agli enti locali glilei tolgono.
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Un'opera che giustifica, che prelude e spiega. L'ambiente è la città di Gotham, prima di Batman, la prigione di Arkham, prima di Batman, il mondo desolato prima di Batman. Un prequel che basta a se stesso e ci porta a parteggiare per il Cattivo, o meglio, per il Principe dei Cattivi. Il cattivo, all'inizio non è cattivo, è solo un disgraziato seguito dai servizi sociali, come tanti ce ne sono nelle nostre metropoli. Un disgraziato che fa da punchin'ball per le bande di bulli che lo prendono a calci, con una crudezza e un realismo che ci fanno pensare ai quotidiani pestaggi da tifosi o da servitori dello stato inquinati. Un disgraziato che non prende più le sue medicine, perchè i tagli alla sanità e agli enti locali glilei tolgono. La discesa agli inferi si trasforma pian piano in una resurrezione, in una vera e propria apoteosi della disperazione, dove i più deboli saccheggiano e devastano nel nome della diseguaglianza sociale e della trita liturgia della comunicazione, impersonata da un Robert de Niro più cinico che mai ( anche se a un certo punto le movenze sgraziate di Joker che ammira la sua .38 sono assai simili a quelle dello psicolabile di Taxi Driver quando si allena allo specchio con le pistole). Il personaggio si esalta e si immola, scarnificandosi e liberandosi di ogni sembiante umano, per trasformarsi nella maschera, nel personaggio, dolente e doloroso, in cerca di approvazione e di un pubblico ( che trova subito nei disgraziati come lui). I suoi emuli lo liberano dal fastidio di far fuori il papaà di Bruce Wayne e lo innalzano sul trono della malvagità. Fotografia cupa, colonna sonora sufficientemente subdola, scenografie che ricordano, troppo, i paesaggi urbani di Roma e del sud. Joachin Phoenix ,sublime interprete, da corpo e anima al Joker che identificavamo tutti con il prematuramente scomparso Heath Ledger. Un grande attore. Non didascalico.
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[+] la straziante, inquietante risata di arthur
(di antonio montefalcone)
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giorgio postiglione giorpost
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domenica 13 ottobre 2019
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un joker-phoenix disturbante,accattivante,perfetto
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Arthur Fleck vive in un fatiscente palazzone insieme all'anziana madre, pubblicizzando un negozio travestito da clown per sbarcare il lunario. Figlio unico, affetto da disturbi comportamentali, Arthur si prende amorevolmente cura dell'unico genitore disabile, ma soffre di una totale mancanza d'affetto che riscontra quotidianamente.
È single, non per scelta, nessuno lo tratta con rispetto e la madre sembra avere come unico interesse il vecchio amore clandestino di nome Thomas Wayne, al quale spedisce continuamente lettere. Aggredito senza motivo da teppisti adolescenti, Arthur si vede regalare una pistola di piccolo calibro da un collega, evento che provocherà il licenziamento dalla piccola agenzia che gli dà lavoro.
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Arthur Fleck vive in un fatiscente palazzone insieme all'anziana madre, pubblicizzando un negozio travestito da clown per sbarcare il lunario. Figlio unico, affetto da disturbi comportamentali, Arthur si prende amorevolmente cura dell'unico genitore disabile, ma soffre di una totale mancanza d'affetto che riscontra quotidianamente.
È single, non per scelta, nessuno lo tratta con rispetto e la madre sembra avere come unico interesse il vecchio amore clandestino di nome Thomas Wayne, al quale spedisce continuamente lettere. Aggredito senza motivo da teppisti adolescenti, Arthur si vede regalare una pistola di piccolo calibro da un collega, evento che provocherà il licenziamento dalla piccola agenzia che gli dà lavoro.
Trattato male anche da una signora sul bus che lo invita a smettere di infastidire il figlioletto (che invece stava innocentemente divertendosi), Arthur comincia a non poterne più della vita: l'ennesima aggressione gratuita, stavolta da parte di tre colletti bianchi, lo spinge ad un'inevitabile ed estrema reazione. E mentre cerca disperatamente di diventare cabarettista e di tenere a bada un'incontrollabile ghigno scaturito da un raro disturbo nervoso, Arthur sogna un'ospitata nel celebre Murray Franklin Show ed una laison con la bella vicina icontrata in ascensore, unica capace di un gesto carino nei suoi confronti.
A seguito del triplice omicidio cresce in città il malcontento delle classi deboli, in una Gotham sempre più sporca e corrotta e nella quale nasce un movimento di protesta ispirato dal misterioso killer truccato; in perenne tensione sociale, la metropoli sta per cadere nell'anarchia e Arthur (venuto a conoscenza di un passato familiare pregno di menzogne) decide, senza più l'effetto placante dei farmaci tagliati dal sistema sanitario, di cavalcare l'onda e diventare il paladino dei disillusi.
La nuova rivisitazione di Joker (USA, 2019) è un lavoro d'introspezione completamente diverso da tutti i film tratti da fumetti visti fino ad oggi. Se c'era qualche dubbio sul regista del franchise The Hangover, va detto subito che Todd Phillips sorprende tutti, sciorinando un inatteso stile dark deciso e senza esitazioni, portandoci in una Gotham City finalmente fedele alla storia. Ma ciò che lascia davvero senza parole è la strepitosa, disturbante, eclettica, plastica e umorale interpetrazione di Joaquin Phoenix, al quale credo debba andare il plauso unanime della critica. L'attore, dimagrito di 30 chili, è la reincarnazione di Joker: ha il suo viso, il suo corpo, le sue cicatrici interiori. Incredibile la risata creata da Phoenix, che a suo dire l'ha portato quasi alla pazzia, e c'e da credergli; nell'opera ci sono anche delle sue improvvisazioni, il che lo mette sullo stesso piano dell'attore -suo mentore- che lo ha ispirato più di tutti, De Niro, qui presente nell'istrionico ruolo del Letterman di turno.
Il Joker del 2019 resterà nella storia dell'intrattenimento audio-visivo, ispirerà imitazioni, verrà premiato a cascata, sarà oggetto di tesi d'esame.
In questa doppia rappresentazione di una città ridotta a discarica sociale e di un uomo in perenne stato depressivo-confusionale (alcune cose che vediamo sono soltanto sue visioni) c'è tantissimo materiale psico-sociologico meritevole di approfondimento: nella sceneggiatura Phillips non lascia nulla al caso e sembra volerci parlare dei reali problemi dell'America di oggi. Se da un lato, infatti, ci pare di rivedere la New York del '76 di Taxi Driver, dall'altro ci viene l'impressione di una denuncia dei mali che affliggono la società americana nel presente, pur essendo, la pellicola, ambientata ad inizio anni '80. La pistola facile, le cure sanitarie soggette a tagli, l'incuria e il degrado urbano (che riguardano anche altre parti del mondo), il disagio, l'alienazione, la violenza gratuita. Il Joker di Phoenix è più umano dell'umano, se mi si concede l'azzardo citazionistico di Blade Runner: si, perché l'alienazione e l'indifferenza, unita ad alcune inquadrature e angoli bui della metropoli e soprattutto attraverso lo sguardo perso e triste di Joker rivediamo anche la disperazione dei replicanti di Philip K. Dick.
Arthur Fleck aveva solo bisogno di attenzioni, di un abbraccio, di una parola dolce, ma nessuno è stato in grado di offriglieli. Intensa come quella di The Master, la prova di Phoenix lo porterà almeno nella cinquina dei candidati all'Oscar.
Voto: 10
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ghisi gr�tter
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domenica 6 ottobre 2019
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perché i cattivi sono malvagi
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Joker è il personaggio malvagio del fumetto Batman, l’acerrimo nemico di Bruce Wayne in Gotham City, che gira travestito da clown e ha un eterno agghiacciante sorriso.
Ma chi era costui? Come mai è diventato un perfido e violento assassino che sembra odiare tutto il mondo? Questa è la domanda che si è posto il regista Todd Phillips – che scrive la sceneggiatura con Scott Silver – e che ce lo propone come un personaggio intriso di rabbia e desiderio di vendetta, diventato così per reazione a reiterati soprusi, a sevizie infantili, a sofferenze patologiche e alle ingiustizie sociali.
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Joker è il personaggio malvagio del fumetto Batman, l’acerrimo nemico di Bruce Wayne in Gotham City, che gira travestito da clown e ha un eterno agghiacciante sorriso.
Ma chi era costui? Come mai è diventato un perfido e violento assassino che sembra odiare tutto il mondo? Questa è la domanda che si è posto il regista Todd Phillips – che scrive la sceneggiatura con Scott Silver – e che ce lo propone come un personaggio intriso di rabbia e desiderio di vendetta, diventato così per reazione a reiterati soprusi, a sevizie infantili, a sofferenze patologiche e alle ingiustizie sociali.
Nel narrarci la sua storia di trasformazione da Arthur Fleck in Joker, il regista ci fa empatizzare con lui, fa si che ci ispiri tenerezza e, immedesimandosi in lui ne arriva quasi a giustificarne le azioni.
Arthur, infatti, è un bravo ragazzo con qualche difficoltà neurologica, che vive con la madre malata di cui si prende cura. Non ha mai conosciuto il padre ma, leggendo un diario della madre, inizia ad avere il sospetto di essere figlio naturale del ricco imprenditore Wayne, nella cui azienda la madre ha lavorato per tanti anni. Arthur guadagna facendo pubblicità per le strade vestito da clown in attesa di diventare un vero commediante, fa ridere i bambini, danza e volteggia con leggiadria.
Spesso soccombe ad atti di bullismo, i ragazzi cattivi talvolta gli rubano i manifesti e lo picchiano in gruppo. Man mano che si va avanti vediamo Arthur a cui cresce la rabbia, si carica di frustrazioni per l’impossibilità a reagire e, una volta che un amico gli passa una pistola per difesa personale, non riuscirà più a frenarsi nel farsi giustizia da solo.
Ciò che spinge Arthur a mutarsi in Joker, quindi, è un evidente problema sociale di emarginazione e autoemarginazione. Un piccolo esempio di solidarietà tra diversi: «Sei l’unico che mi ha sempre trattato bene» dice Arthur al nano, graziandolo.
L’angoscia di aver ucciso man mano si trasforma e viene sostituita dal senso di potere della violenza che lo porta a superare ampiamente i limiti della vendetta, fino a provare piacere di uccidere.
Come se non bastasse la sua ribellione diventa simbolica e trascinatrice e finirà per coinvolgere tutti i reietti di Gotham City, che mascherati da clown si ribelleranno allo status quo e al capitalismo impersonato dall’imprenditore Wayne (il padre del piccolo Bruce) che si apprestava a diventare il nuovo Sindaco.
Gotham City è rappresentata caotica, sporca, è decisamente quella di Batman, e fa comunque riferimento a una New York in totale declino.
Ci sono livelli diversi interpretativi del film, da quello politico-sociale a quello iper-visivo fumettistico e cinefilo. Nel film troviamo dunque molte spiegazioni per i ragazzi che compiono le stragi negli Stati Uniti – violenze e ingiustizie sociale soprattutto. Ma troviamo anche un’implicita denuncia sulla facilità di generare violenza solo per possedere un’arma, e che sembra che gli americani – specialmente gli attuali i capi e chi li votano - ancora non ne siano convinti.
Espliciti sono i riferimenti ad alcuni “cattivi” del cinema. Il protagonista ricorda in maniera palese Trevis, il disadattato reduce del Vietnam, di “Taxi driver” di Scorzese di quarantatrè anni fa, specialmente nelle scene solitarie, allo specchio. Del resto la presenza di Robert De Niro, che interpreta il conduttore narcisista Murray Franklin, è di per sé un nesso simbolico. Ma c’è anche spazio per ricordare “Re per una Notte”, un altro film di Scorzese del 1983.
Si possono trovare anche i riferimenti a Stanley Kubrick di “Arancia meccanica” del 1971, nella violenza perpetrata in maschera e di “Shining” del 1980, nelle riprese simmetriche lungo i corridoi.
Oltre, naturalmente al “The Killing Joke” di Alan Moore e Brian Bolland (per le origini di aspirante comico fallito), e a una certa scena de “Il ritorno del cavaliere oscuro” di Frank Miller, sia pur con una sostanziale differenza.
Un omaggio dunque al cinema dei cattivi, dei violenti, dei frustrati.
Il Joker di Phillips è un Giustiziere della Notte con la risata incontrollata, e così è visto dalla parte di Gotham che, come dice il notiziario, ha ratti giganti e che si sente anch’essa lasciata fuori dalla società dei ricchi e dei potenti.
“Joker” è un film diametralmente opposto al cinecomic, che è avvincente, ha un bel ritmo e belle musiche (tra cui “Ridi Pagliaccio” di Leoncavallo oppure “I don't like Mondays”), e lo si vede tutto d’un fiato quasi trattenendo il respiro. Inoltre, presenta l’interpretazione sublime di Joaquin Phoenix, che parte sicuramente in pole position per il prossimo Oscar. Il film al Festival di Venezia 2019 ha già vinto il Leone d’oro.
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adelio
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giovedì 30 gennaio 2020
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la sublimazione dell’uomo qualunque
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Quando si ha la fortuna di guardare un film come questo ci si riappacifica con la 7 arte. Opera capolavoro di un attore protagonista straordinario come Phoenix e di un Regista Philips che ha il coraggio, ispirandosi a pezzi tra le migliori pellicole già viste, di narrare l’interiorità dell’uomo qualunque, dell’emarginato sociale alla maniera di Scorzese, di Tarantino, di Kubrick. Ne discende un film gigantesco perché riesce a fondere le tematiche profondissime della sceneggiatura con la messa in scena spettacolare di Joker, che non dimentica mai che il cinema deve essere innanzitutto intrattenimento.
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Quando si ha la fortuna di guardare un film come questo ci si riappacifica con la 7 arte. Opera capolavoro di un attore protagonista straordinario come Phoenix e di un Regista Philips che ha il coraggio, ispirandosi a pezzi tra le migliori pellicole già viste, di narrare l’interiorità dell’uomo qualunque, dell’emarginato sociale alla maniera di Scorzese, di Tarantino, di Kubrick. Ne discende un film gigantesco perché riesce a fondere le tematiche profondissime della sceneggiatura con la messa in scena spettacolare di Joker, che non dimentica mai che il cinema deve essere innanzitutto intrattenimento. Joker ha la capacità di soddisfare sia il cinefilo che lo spettatore medio sia nella narrazione, che nel linguaggio cinematografico e ancor più nel messaggio sociale. Si possono dare tante interpretazioni al film, tutte valide: possiamo limitarci a trovare una riflessione sulla solitudine dell’uomo comune, abbandonato dalle istituzioni e incapace di instaurare rapporti con la società, come avviene quando Arthur cerca di comunicare il suo malessere all’Assistente sociale che non lo ascolta ed è incapace di dargli un consiglio; possiamo trovare nel film una critica alla rappresentazione vacua della realtà offerta dai media (omnipresenti durante tutto il film) all’insensibilità di una categoria sociale elitaria e perbenista che forma una massa enorme di Clowns, di “ultimi” senza volto; ma ciò che non riusciamo a perdere mai di vista è che, nel tragitto umano, il dramma esistenziale di Happy che diventa Arthur per trasformarsi in Joker, è un percorso condotto da un regista e da un’interpretazione magistrale che resterà nella storia del cinema non solo come genere noir ma anche e soprattutto come film d’Autore. La trasformazione di un uomo qualunque in eroe, simbolo di giustizia sociale, passa attraverso la liberazione dall’oppressione della mente e del corpo e nel dotarsi di strumenti e ruolo per combattere. Arthur liberatosi dalla figura di Happy, che una madre psicopatica gli ha assegnato, sarà costretto a trasformarsi in JOKER, un omicida che combatte la propria umiliazione, una sorta di OGM organismo geneticamente trasformato, che va a combattere (notare la vestizione di Joker - la preparazione del guerriero che va alla guerra) per affermare la propria personalità come riscatto in un mondo virtuale che è solo immagine, apparenza e sofferenza. Povero Happy, apre la storia, costretto nel suo costume da pagliaccio di Strada a sorridere e far sorridere inconsapevolmente un’umanità indifferente, un bel giorno di sole si ritrova picchiato e piombato nel buio, faccia al suolo, disteso a terra come “morto”, esanime in una ripresa con cinepresa a livello suolo che lascia ammutoliti e ci strappa una lacrima di pietà. Ma rinasce, si toglie il trucco guardandosi allo specchio, la sua coscienza riflessa, prende coraggio e a fatica prova ad immedesimarsi in Arthur. Vuole provare ad essere un uomo con una sensibilità con degli affetti, vuole amare se stesso ancor prima di capire il significato della sua vita (rompe i goffi scarponi da pagliaccio per mettersi delle più comode scarpe per affrontare un percorso). Certo la luce del giorno impaurisce mette a nudo la vulnerabilità dell’uomo solo, lo costringe finanche a chiudersi nel frigorifero, una bara di metallo che lo protegge. Del resto è sempre buio la fuori, in quella maledetta città in cui vive, in quello spazio distaccato dove c’è sporcizia, ci sono rifiuti e topi ovunque, dove la pioggia purificatrice prova costantemente a lavare la vergogna di una società post capitalistica. Arthur è costretto nei bassi fondi, la sua ascesa individuale, la risposta alle sue domande trova sempre scale irte, oscure che portano all’ignoto. La liberazione sembra irraggiungibile quando scopre, attraverso una lettera della madre, di avere un padre ricchissimo (Wayne che nel fumetto originario altro non è che il padre di Batman), lo cerca, scopre la sua vera origine di figlio di una psicopatica, gli amici e colleghi lo tradiscono, ha un tracollo ... la crescita dell’individuo si trasforma definitivamente nel personaggio noir che d’ora in poi sarà JOKER. La guerra è dichiarata, liberatosi dei suoi carnefici, l’ANTIEROE muore finalmente nasce l’EROE armato del suo volto da CLOWN attacca il potere che si nasconde costantemente impunito dietro il piccolo schermo, vigliaccamente protetto dalla finzione. L’eroe ora è dunque Joker, una star che scende le scale ,nella luce, danza, si muove armoniosamente, ha liberato il corpo oltre che la mente, ha coscienza di se stesso, ha sciolto l’oppressione fisica e spirituale, vendica la sua esistenza con la visibilità di un’uccisione in diretta durante un popolare show televisivo, il massimo della spettacolarizzazione mediatica. Lui ora può anche morire, e la sua morte sarebbe comunque come sperava più dignitosa della vita insulsa che ha vissuto. È il riscatto dell’uomo della strada, del signor nessuno, è Cristo che nel impeto della catarsi filmica, disteso come morto, stavolta su un auto, risorge in una New York notturna osannato da una massa di volti tutti uguali, piccoli, insignificanti nullità idolatranti. L’epilogo è la nuova dimensione, è la pulizia finalmente fatta, è il freddo bianco candore metafisico, è il reset cerebrale, l’entità umana è annullata nel pensiero e nell’anima ..è il vuoto! Ciò che rimane nel nostro sguardo di spettatori come speranza futura è il ghigno famelico e forzatamente procurato da JOKER e le impronte insanguinate su un suolo immacolato… è una prospettiva che inquieta ma per il momento abbiamo la certezza di aver visto un film mostruosamente bello!
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fede slevin
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sabato 12 ottobre 2019
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non è un cinecomic e si vede.
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That's Life. Il titolo di una delle canzoni più rappresentative della potentissima colonna sonora, costruita meravigliosamente su misura di ogni singola scena, di Joker, ne rappresenta anche il tragico mantra associato al filone narrativo. Ricchi e poveri. Una divisione semplicistica e non sufficientemente descrivente la situazione sociale di una Gotham fittizia, ma quanto mai realistica ed attuale che sbatte in faccia (senza complimenti) allo spettatore la tragica mancanza di empatia e conseguente egoismo che divampano tra le persone nella tendenza generale mondiale odierna. Esiste qualcosa di peggiore del dolore fisico? Arthur Fleck, alias Joker, lo sa bene e non manca di mostrarlo, volente o nolente.
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That's Life. Il titolo di una delle canzoni più rappresentative della potentissima colonna sonora, costruita meravigliosamente su misura di ogni singola scena, di Joker, ne rappresenta anche il tragico mantra associato al filone narrativo. Ricchi e poveri. Una divisione semplicistica e non sufficientemente descrivente la situazione sociale di una Gotham fittizia, ma quanto mai realistica ed attuale che sbatte in faccia (senza complimenti) allo spettatore la tragica mancanza di empatia e conseguente egoismo che divampano tra le persone nella tendenza generale mondiale odierna. Esiste qualcosa di peggiore del dolore fisico? Arthur Fleck, alias Joker, lo sa bene e non manca di mostrarlo, volente o nolente. Una risata, studiata dal maestoso Phoenix attraverso ore di registrazioni dei vari manicomi statunitensi, che entra nelle ossa e contorce le budella dello spettatore. Un'espressione assente, come la figura stessa del protagonista ( "spero che la mia morte abbia più senso della mia vita" cit.), che muta verso un malinconico, consumato e angosciante sguardo di colui che si appresta a trovare un'identità da carnefice in un mondo privo di compassione che non smette di togliere a chi non ha già nulla. Con una mossa inaspettata, il regista della trilogia de "Una notte da leoni" (Todd Phillips), non solo si cimenta nell'ambiziosissima impresa di "sfidare" l'ormai iconico e fino ad ora insuperabile Joker di Heath Ledger, ma restituisce anche un prodotto di finissima qualità per cui non stona la definizione di "capolavoro". Un film tra il drammatico e il grottesco, che spinge a riflettere e a porsi tante domande. Un film che si vuole mettere dalla parte degli "altri" con un ribaltamente prospettico che spinge a comprendere il perchè "certe persone vorrebbero solo veder bruciare il mondo" (cit.). E non è un caso se qui, il solito magnate filantropo Thomas Wayne viene ridotto al ruolo di insensibile politico che non si fa scrupoli a minacciare e prendere a pugni (in atteggiamento di lecita protezione del figlio Bruce) un disgraziato Arthur in cerca solo di un abbraccio. Mettersi nei panni degli altri. Questa è la denuncia forte e violenta di tutto un film che cerca di dare voce a chi una voce, non ce l'ha, perchè spezzata da una sgraziata, fastidiosa e disturbante risata tragica. E poco importa, se è un clown che non fa ridere, se non rientra nei canoni imposti dalla società ("la parte peggiore di avere un disturbo mentale è che tutti vorrebbero che ti comportassi come se non ce l'avessi" cit.), se non riesce a tenere le gambe ferme nei momenti di ansia e a parlare in pubblico. Arthur, sa ballare e muovere le sue avizzite membra coperte da abiti dai disturbanti colori complementari (verde-blu in Nolan, viola-arancione qui) è l'unico modo che ha per sincronizzarsi in modo armonico col resto del mondo. Per concludere, l'inneggiamento alla rivolta non va inteso alla mera anarchia civile di un "La notte del giudizio" qualunque, ma a qualcosa di molto più interiore e non necessariamente violento, che punta solo a spingere ad avere rispetto per se stessi e per altri, affinchè nessuno sia costretto ad "esplodere" in modo irreversibile. Dunque "PUT ON A HAPPY FACE" perchè se potete leggere tutto questo, allora, la vostra vita non è così male come pensate.
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filippo_24
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venerdì 3 aprile 2020
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l'epilogo drammatico di una società disastrata
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Per impostare un commento critico sulla pellicola di Phillips è necessario partire da una premessa: il film è poco o niente fedele all'effettiva storia del Joker narrata nei fumetti DC. Non c'è, dunque, da aspettarsi un trattato biografico del variopinto villain (del quale non si conobbe mai il vero nome, per esempio), quanto una libera e svincolata interpretazione caratteriale e psicologica che il regista ha voluto rappresentare. Il racconto si apre su una Gotham City sporca e piena di rifiuti, nella quale fa capolino l'aspirante comico Arthur Fleck. Egli lavora come clown presso una struttura che non si preoccupa di tutelare i propri lavoratori, che vengono regolarmente aggrediti in strada o derubati dei propri cartelli pubblicitari.
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Per impostare un commento critico sulla pellicola di Phillips è necessario partire da una premessa: il film è poco o niente fedele all'effettiva storia del Joker narrata nei fumetti DC. Non c'è, dunque, da aspettarsi un trattato biografico del variopinto villain (del quale non si conobbe mai il vero nome, per esempio), quanto una libera e svincolata interpretazione caratteriale e psicologica che il regista ha voluto rappresentare. Il racconto si apre su una Gotham City sporca e piena di rifiuti, nella quale fa capolino l'aspirante comico Arthur Fleck. Egli lavora come clown presso una struttura che non si preoccupa di tutelare i propri lavoratori, che vengono regolarmente aggrediti in strada o derubati dei propri cartelli pubblicitari. Disturbato mentalmente, Fleck emette risate stridule fuori controllo, motivo per cui la madre gli ha affibbiato il soprannome di "Happy". La vita del clown prende una piega drammatica nel momento in cui viene pestato in metropolitana da tre ragazzi, associati alla grande società di Thomas Wayne, padre di Bruce (Batman) e del quale la madre psicotica è sempre stata innamorata in maniera ossessiva e malsana. L'uccisione dei tre ragazzi comporterà il cambiamento profondo di Arthur, deriso e ormai fallito nei propri "sogni da cabaret", trasformandolo in un pericoloso omicida che tenta di fare giustizia in una città piena di egoismo, crudeltà e rifiuti che forse non sono soltanto materiali. Il messaggio che Phillips sembra infatti voler mandare attraverso il suo Joker è in tutto e per tutto considerabile quanto più drammatico possibile: la società rende l'uomo malvagio. Per quanto banale, l'idea di fondo è resa con efficacia dalla bravura di tutto il cast nella recitazione unita alla grande abilità cinematografica dell'entourage del quale Phillips si è servito per il film. La magistrale interpretazione di Phoenix è coadiuvata da una sceneggiatura che ne esalta l'importanza e da una fotografia eccellente che lo rende l'epicentro della narrazione anche a livello di immagine. Il film ha alcuni spunti interessanti, come quello della "fidanzata immaginaria", che però non riescono a sostenere una narrazione un po' forzata e per certi versi inverosimile. La rivalità tra Joker e Thomas Wayne (frutto di terribile equivoco) o la rivolta finale che vede Phoenix elevarsi a "Re di Gotham" e dei suoi cittadini, insoddisfatti del "ricco che surclassa il povero", sono soluzioni che non prestano purtroppo fede a quella che dovrebbe essere una storia con un fondo di reale, cadendo a tratti nell'utopismo societario e trasformando nel finale una Gotham City cupa e "noir", resa perfettamente da un'ambientazione cinematografica impeccabile, in un'arena per combattimenti. L'idea della società insoddisfatta degli squilibri tra ceti sociali è un evergreen che ha sempre funzionato, in questo caso non è però supportata da una concretezza narrativa nel descrivere la natura di questi squilibri, finendo per rendere i cittadini di Gotham dei vandali che prendono le parti di un clown assassino ancor prima di conoscerne le motivazioni che lo hanno spinto a massacrare tre giovani neolaureati, rei (per i cittadini) di lavorare per un uomo potente come Thomas Wayne, e dunque necessariamente sacrificabili. Quello di Phillips è un Joker che forse vive in un universo parallelo a quello originale, e questo è di grande audacia, la pecca principale del film è però quella di soffermarsi in maniera fin troppo marcata, stopposa ed elefantiaca su eventi narrativi irrilevanti e inverosimili, uno su tutti la convinzione di Arthur di essere figlio di Wayne per via dei disagi della madre. L'opera di Phillips può quasi prendere la valenza di un trattato utopistico di psico-sociologia con un fondo di sostanziosa realtà, che non rende però omaggio a quella che è in tutte le sue complesse sfaccettature la mente criminale più complessa e geniale di tutto l'universo dei cinecomics, puntando tutto sul sentimento e lasciando poco spazio alla verosimiglianza, sia rispetto al personaggio descritto e sia ad una successione di eventi che lasciano perplessi per via di un'esagerazione nell'esaltazione della follia del Fleck, condita troppo spesso da situazioni paradossali. Cinematograficamente parlando, il film è una pellicola di pregevole fattura, a tratti incrinata da una storia che nei momenti clou si perde nelle proprie complicazioni.
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jack beauregard
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lunedì 7 ottobre 2019
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correre come un matto
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Penso che in futuro, ogni volta che sentirò l’espressione “correre come un matto”, non potrò fare a meno di pensare a Joaquim Phoenix, mentre scappa lungo il corridoio del manicomio criminale con in mano la cartella dell’archivio riguardante sua madre. La sua corsa così sgraziata (accompagnata dall’immancabile risata) uguale a quelle compiute in precedenza per strada e in metropolitana (con la differenza, tutt’altro che casuale, che in questa scena non è vestito da clown) è proprio la corsa di un matto, ed è anche uno dei tanti tasselli visivi che compongono il puzzle che dà vita al personaggio del Joker. Sì, perché il Joker è il jolly, il giullare, il clown, ma è anche la carta da gioco che comunemente chiamiamo “la matta”, il matto.
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Penso che in futuro, ogni volta che sentirò l’espressione “correre come un matto”, non potrò fare a meno di pensare a Joaquim Phoenix, mentre scappa lungo il corridoio del manicomio criminale con in mano la cartella dell’archivio riguardante sua madre. La sua corsa così sgraziata (accompagnata dall’immancabile risata) uguale a quelle compiute in precedenza per strada e in metropolitana (con la differenza, tutt’altro che casuale, che in questa scena non è vestito da clown) è proprio la corsa di un matto, ed è anche uno dei tanti tasselli visivi che compongono il puzzle che dà vita al personaggio del Joker. Sì, perché il Joker è il jolly, il giullare, il clown, ma è anche la carta da gioco che comunemente chiamiamo “la matta”, il matto. E su tutte queste definizioni si riflette l’incredibile fisicità di Phoenix, le sue inquietanti espressioni sornione incendiate da rapidi lampi negli occhi, il sorriso dipinto sul volto da clown in perenne contrasto con la cupezza del proprio stato d’animo, la risata incontrollabile e incontrollata che provoca reazioni scomposte e violente negli altri, acuendo in maniera ancora più penosa il suo disagio psichico, i movimenti del corpo, delle braccia, delle gambe, dei piedi che accennano passi di danza che seguono una musicalità a noi ignota, che sembra provenire direttamente dall’interno del personaggio. Tutto questo è reso visivamente con grande efficacia da una regia completamente al servizio del personaggio e dell’attore, fusi insieme in un tutt’uno, come forse poche volte si è visto sul grande schermo.
E allora mi rivolgo a voi, che vi accingete a entrare al cinema prossimamente. Tralasciate pure che questo sia il personaggio di un fumetto, uno spin-off di Batman (lo è anche, non preoccupatevi, il film non tradisce le origini) e concentratevi solo su di lui, sul Joker, sulla bellezza della sua diversità, sulla poesia dei suoi movimenti, sull’innocenza dei suoi atti più violenti. Il resto è tutto un contorno, anche se importante, che mostra una società dove le disuguaglianze economiche hanno allargato così tanto la forbice tra ricchi e poveri che la ribellione, lo scontro violento non è più rimandabile. Ma è anche il contesto che serve soprattutto a mettere in risalto lui e, alla fine, se un giorno nella società probabilmente tutto tornerà come prima, così non sarà per il Joker, il cui punto di non ritorno è stato appena superato.
Grande regia, colonna sonora e fotografia, ma soprattutto grande interpretazione e grande cinema.
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fabriziog
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domenica 13 ottobre 2019
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imperdibile!
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Chi pensa di andare a vedere un film che si inserisca nel filone cinematografico su Batman, un poco spostato sul suo nemico storico, sbaglia e di grosso.
“Joker” di Todd Phillips è un’opera che guarda all’Oscar come miglior film perché è una pellicola di superba bellezza.
Non è un lavoro che parla di super-eroi ma una trattazione estetica ed artistica di politologia, sociologia, antropologia, psicologia e psichiatria. Il simbolismo che punteggia la storia e la necessità onirica del protagonista sono le muse ispiratrici del Regista.
“Joker” è una composizione sinfonica di inquadrature di un volto possente, tragico come riesce ad essere solo quello di un pagliaccio, il cui sguardo, la cui movenza della bocca, la cui risata costituisce una delle più alte performance interpretative delle ultime decadi.
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Chi pensa di andare a vedere un film che si inserisca nel filone cinematografico su Batman, un poco spostato sul suo nemico storico, sbaglia e di grosso.
“Joker” di Todd Phillips è un’opera che guarda all’Oscar come miglior film perché è una pellicola di superba bellezza.
Non è un lavoro che parla di super-eroi ma una trattazione estetica ed artistica di politologia, sociologia, antropologia, psicologia e psichiatria. Il simbolismo che punteggia la storia e la necessità onirica del protagonista sono le muse ispiratrici del Regista.
“Joker” è una composizione sinfonica di inquadrature di un volto possente, tragico come riesce ad essere solo quello di un pagliaccio, il cui sguardo, la cui movenza della bocca, la cui risata costituisce una delle più alte performance interpretative delle ultime decadi. Il piano sequenza che si stringe sempre di più sulla immagine del viso di Joker mentre gli viene rimarcato per l’ennesima volta che è bravo ma “strano”, rimarrà nella storia del cinema americano: un viso che cambia nella espressività degli occhi, nell’allargamento delle labbra, nella contrazione della mimica facciale, in una magniloquente fisicità del dolore e della sofferenza nascoste dietro un sorriso, arte drammatica e antica degli uomini del circo.
Cos’è una risata se non un pianto, una triste stortura di sonorità deformi, una pulsione improvvisa di gioia, un gutturale e osceno suono che sgorga da una gola che si strozza perché ne vorrebbe impedire la fuoriuscita. La risata di una vita vissuta come tragedia, no, anzi, come commedia. Una risata che è la vera colonna sonora del film, commista alla melodia di un violoncello, alla voce di Frank Sinatra e di ritmi ossessivi elettronici che scuotono l’angoscia che è nascosta in noi.
Il disturbo mentale che evoca amore e riconoscimento del proprio esistere che costruisce un immaginifico rapporto sentimentale con una ragazza, la necessità di amare ed essere amati che si proietta dalla mente alla realtà, ma non l’amore ma la violenza libera il coraggio e fa avvicinare Joker alla “sua” ragazza per baciarla: il coraggio si manifesta solo dopo che l’omicidio lo libera dalle sue paure e lo fa “esistere” a se stesso e agli altri. Cogito ergo sum? No. Vim afferre ergo sum.
Il racconto in maniera subliminale veleggia fra “Taxi driver” e “It,” anche se il vero dietro le quinte che occhieggia tutto il tempo lo spettatore è “Arancia meccanica”: se una società malata abbandona la disperata voglia di amare ed essere amato del malato mentale, quest’ultimo sovraneggerà sulla società con la violenza. La società è criminale, la società è violenta. È la società a creare i mostri. È la società a creare Joker. Joker nasce buono. L’uomo ne abusa. La società compie la metamorfosi da Arthur a Joker. La società manipola e indottrina le coscienze. Robert de Niro ne è il tedoforo. Robert de Niro è il Quarto Potere.
La violenza come legittimazione di se stessi per “esistere” dinanzi agli altri, essere conosciuti e riconosciuti dalla e nella Comunità, fatta di masse senza volto, celate da maschere di clown. Il magma umano ha ora una origine e uno scopo, origine e scopo identificato nell’archetipo, colui che ha avuto il coraggio di “uccidere quelli di Wall Street”, che ha avuto la forza di ammazzare il Sommo Sacerdote del Quarto Potere: lui, Joker. Joker non è l’anti - Batman, ancora un bambino figlio inconsapevole del Potere che disprezza le masse di clown. Joker dà voce ad una violenza pura, vindice degli inascoltati, anonimi a se stessi e agli altri, che sperano almeno in una morte che possa avere un senso dopo una vita che non ne ha avuto. Questo film è vietato ai minori di 14 anni, non certo per i radi sprazzi di sangue che colorano di gioia il pubblico, che vede eliminato finalmente il “cattivo”, ma per la sua ratio.
L’interprete di Joker, Joaquin Phoenix, Il Commodo de “Il gladiatore”, è già nel firmamento dei grandi di Hollywood. Se non ora, quando come miglior attore protagonista? Fabrizio Giulimondi
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psicosara
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lunedì 23 marzo 2020
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ride bene chi ride ultimo
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“Joker”scritto e diretto da Todd Phillips è un film molto discusso. E non credo che ciò riguardi soltanto l’aver vinto il Leone d’Oro come miglior Film alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica aVenezia. Il film ha suscitato un’attenzione quasi morbosa, perché i temi trattati sono ad alto contenuto psicologico e attivano dinamiche molto personali. Ecco spiegato il bisogno di ognuno di esprimere la propria opinione e il proprio commento a riguardo.
E’ vero che l’immagine del Joker fa parte dell’immaginario collettivo da oltre cinquanta anni, ma la storia pensata da Todd Phillips è molto distante dal solito standard dei cinecomic, non è la storia di un eroe o di una qualche redenzione; rispetto agli altri film della DC (ma anche della Marvel) siamo davvero agli antipodi.
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“Joker”scritto e diretto da Todd Phillips è un film molto discusso. E non credo che ciò riguardi soltanto l’aver vinto il Leone d’Oro come miglior Film alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica aVenezia. Il film ha suscitato un’attenzione quasi morbosa, perché i temi trattati sono ad alto contenuto psicologico e attivano dinamiche molto personali. Ecco spiegato il bisogno di ognuno di esprimere la propria opinione e il proprio commento a riguardo.
E’ vero che l’immagine del Joker fa parte dell’immaginario collettivo da oltre cinquanta anni, ma la storia pensata da Todd Phillips è molto distante dal solito standard dei cinecomic, non è la storia di un eroe o di una qualche redenzione; rispetto agli altri film della DC (ma anche della Marvel) siamo davvero agli antipodi.
E’ un Joker che si ispira ad Hollywood, a “Re per una notte” (1983) e “Taxi Driver” (1976) di Martin Scorsese. Ma senza il bisogno di scene d’azione. La presenza di Robert de Niro nel cast è una conferma del bisogno di realismo da cui si è fatto ispirare il regista statunitense, già famoso per film quali “Una notte da leoni (2009), “Parto col folle (2010)” e “Trafficanti” (2016), film in cui il cinismo si mescola con la comicità e la drammaticità.
Il progetto di Phillips per Joker è ambizioso: sfruttare un personaggio noto al grande pubblico come Joker per realizzare un film "vecchio" (perché figlio dell'epoca cui guarda con tanta ammirazione), ma al tempo stesso innovativo e nuovissimo se guardato con gli occhi del pubblico di oggi. Nel film non viene mai specificato in che anno si sviluppa la vicenda, ma da soli riusciamo a collocarla orientativamente tra la fine degli Anni ’70 e gli inizi degli Anni ’80: questo lo si può dedurre dalle ambientazioni, dagli indumenti dei personaggi, da alcuni dettagli degli arredi, come la carta da parato e dalla centralità della TV nelle case.
Il protagonista si chiama Arthur Fleck, ed è interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix. Arthur (che non è ancora Joker), è un tipo ‘strano’ ma in fondo buono, dedito ad occuparsi della madre malata con la quale vive in un palazzo grottesco. Fa il clown di professione a Gotham City e spera di diventare un grande comico come il suo idolo, il presentatore del quiz show Murray Franklin (Robert De Niro). Arthur intende portare gioia alle persone, ma ben presto si rende conto che le persone non ridono con lui ma di lui.
La scelta dell’attore protagonista si è rivelata fondamentale: dopo Cesar Romero, Jack Nicholson, Heath Ledger e Jared Leto è dunque Joaquin Phoenix a indossare i panni di Joker, anche se la sua è un'operazione diversa dalle precedenti. Joaquin Phoenix sembra essere la persona adatta a questo ruolo perché dai suoi occhi e dalla sua infanzia, proviene la giusta malinconia che rende Joker un personaggio con cui è molto facile entrare in empatia. Il Joker di Phoenix (anche se non immediatamente) diventa il vero protagonista del film. Possiamo tranquillamente dire che all'inizio del film, Joker non esiste ancora e che esisterà soltanto dopo Arthur, dopo le delusioni e i soprusi, quindi soltanto grazie al fallimento di Fleck. Joker è dunque il risultato di un fallimento, ed in questo è molto diverso dai Joker che lo hanno preceduto che invece esistevano già all’inizio come espressione del male, come antagonisti dell’eroe buono Batman.
In una della scene più epiche, il protagonista si esibisce proprio sulla scalinata in un ballo accompagnato dalle note di Rock and Roll Part 2 di Gary GlitteIn. Il ballo, tutta la rappresentazione, assomiglia a un rito catartico: serve a calmare dopo un evento stressante. Quando Arthur/Joker danza e canta, si distacca dalla realtà che lo circonda. Sembra allontanarsi, prendere le distanze dal resto. Sia in termini di Spazio che di Tempo. Dice lo stesso Joaquin: “Ho voluto creare il mio Joker, che fosse frutto della mia immaginazione o della mia pazzia. Per esempio nei movimenti: ci sono momenti in cui danza in modo così leggero che sembra sollevarsi dalla tristezza del mondo in cui vive. Per questo mi sono ispirato a Ray Bolger, lo spaventapasseri de “Il mago di Oz”.
Danzare è un gesto ancestrale: il ballo ritorna in varie scene del film, dopo il suo primo crimine, Arthur scappa inorridito e si rifugia in una toilette ed è proprio lì che comincia a danzare, in preda ad un senso di liberazione, comincia a muoversi in maniera sinuosa, non è dato sapere se il senso di liberazione sia dovuto di più al crimine commesso o al ballo messo in atto per celebrarlo.
E’ come se solo dopo aver ballato i suoi problemi psicologici scomparissero per quel breve momento, restituendogli una momentanea leggerezza interiore.
Dalla sinossi ufficiale del film leggiamo: “L’esplorazione di Phillips su Arthur Fleck, interpretato in modo indimenticabile da Joaquin Phoenix, è quella di un uomo che lotta per trovare la sua strada in una società fratturata come Gotham”. Il passo in avanti che fa questo film è raccontare la malattia mentale del singolo inserendola in una società distratta o cinica, per così dire. La malattia è raccontata nel dettaglio: attraverso i dialoghi con la psicologa, attraverso i ricordi dei traumi subiti, nel tentativo di recupero delle proprie origini, nell’uso di psicofarmaci; è una malattia che emerge dal corpo emaciato del protagonista e dai suoi problemi relazionali, dalle sue allucinazioni, in cui si immagina una volta protagonista di un talk show e una volta a cena con l’inquilina del suo palazzo.
La malattia di Arthur Fleck esiste, ma viene fraintesa, minimizzata, ironizzata dagli altri. Come la sua risata, che è sempre fuori luogo e fuori tempo, così fuori tempo da essere incompresa. Perciò Arthur lascia dei biglietti alle persone che incontra per spiegare loro il suo disturbo, per spiegare che la sua risata non è segno di gioia ma una richiesta di aiuto. E’ ipotizzabile pensare ad un Sequel di Joker perché il film apre una serie di questioni sociali quanto mai attuali e desta molta curiosità: che fine faranno i cattivi? Che fine faremo noi?
Gli ultimi diventeranno i primi o resteranno ultimi?
Per quanto questo momento storico stia cercando di minimizzare la realtà, dissimulandola, trasformandola in un Meme, non si può non considerare come inevitabili, condizioni come la solitudine, la malattia e il disagio sociale.
Dunque, la condizione di Arthur sarebbe inevitabile. Ma possiamo fare in modo che non si arrivi al Joker?
Siamo ancora in tempo?
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