La vendetta fa bene alla salute, guarisce dalla malattia e risarcisce delle violenze subite, e assomiglia quasi a una rivoluzione, pur se su scala assolutamente ridotta ed esistenziale, ma che si può allargare, laddove da un quadro personale si salga ad un piano sociale, generale. È quanto par d’imparare da questo notevolissimo film di Todd Phillips.
Da dove partire? È difficile, tante sono le cose da dire. Comincio da alcuni aspetti della struttura narrativa. È evidente che il film, attraverso le vicende drammatiche del protagonista, parla di rivolta sociale come risposta alla violenza diffusa dal sistema capitalistico. Risposta caotica, spontanea, brutale, dove le centinaia di volti mascherati da pagliaccio dei manifestanti, richiamano alla mente le più recenti numerose maschere di Anonymous, presenti in tante contestazioni e cortei degli ultimi anni. Insomma, il film gratta gratta ha, o vuole avere, un forte contenuto politico di denuncia e di contestazione della “narrazione” ufficiale e della concreta gestione politica da parte di un’oligarchia di super-ricchi: e questo, pur con tutti i limiti di un lavoro confezionato in USA e che trae origine da dei fumetti, non è poco.
Il secondo aspetto interessante del film, dal punto di vista contenutistico, è che parli di spettacolo, soprattutto moltissimo di televisione, e in generale di scena, di recitazione, di commedia e tragedia che si scambiano vicendevolmente l’una nell’altra, come di rappresentazioni della vita reale che vengono scambiate per la vita stessa. E di come la necessità reiteratamente richiamata in varie scene, di dover “far ridere” ad ogni costo, non sia che una variante sul tema cinico del “The Show Must Go On”. Sono perciò indotto a pensare che il film di Phillips intenda criticare anche il modo di gran lunga corrente tra i cineasti, di raccontare la realtà deformandola, velandola, addolcendola e perciò nascondendo nei vari plot la brutalità del dominio di classe e le sue drammatiche conseguenze sociali.
Quanto agli aspetti formali, occorre iniziare col dire che Joaquin Phoenix è semplicemente superlativo, perturbante nelle sue risate dai diversi timbri espressivi, nella magrezza che pare la metafora della sua gracilità affettiva, nella sua bravura a danzare o ad assumere pose del Tai Chi.
E poi, come non parlare della fotografia, davvero eccellente, sia che scruti la mimica di Phenix con primissimi piani, sia che descriva interni sempre cupi e claustrofobici, o esterni nevrotici d’inseguimenti cittadini, o di sfrecciare di treni ripresi a volo d’angelo su tracciati ferroviari mozzafiato, o scene violente in metropolitana… per finire con la straordinaria ultima scena, che nell’albore crescente e accecante di una luce lattea in fondo a un tunnel di ospedale psichiatrico, ci mostra la silhouette appena distinguibile del nostro Joker che comicamente si mette a correre all’improvviso, rincorso da un paio di guardiani, quasi una ripetizione di tante gags di Chaplin-Charlot, il quale peraltro è citato in una scena.
Perfetta anche la colonna sonora, che non ti molla, e notevoli le scenografie.
Da vedere!
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