Joker è uno di quei rari film che ti rimane in testa per tanto tempo. La fotografia è potente. La musica esalta i contorni in maniera efficace, facendoti scivolare le immagini dentro, insinuandosi nella testa, tanto che hai quasi la sensazione di sentire gli odori di questa Gotham sporca e brutta. Brutto è l’aggettivo che assieme a cattivo meglio descrivono questa città e l’umanità che la abita. Hai sempre una prospettiva dal basso, un punto di vista schiacciato dal gravare della tragedia imminente, da un pugno alla bocca dello stomaco, e dai calci che arriveranno quando sarai a terra. Arthur è sempre sul punto di esplodere e tu vivi nell’attesa di quel momento che cresce in lui e parallelamente in te. Arthur non è Joker, è sempre e solo Arthur, il bozzolo dentro cui cresce la crisalide del Joker, che dentro di lui lo consuma lentamente tra contorsioni e smorfie, emergendo ogni tanto con la ristata isterica incontrollabile. Eccolo il Joker che lacera Arthur e vuole uscire. Arthur non diventa Joker, perché Joker esiste già, ne è la sublimazione dell’esasperazione, e dello sfinimento esistenziale, e quando emerge da lui, lacerandolo, Arthur cessa di esistere. Arthur è il mezzo che fa crescere Joker dentro di noi, e quando appare siamo noi a proiettarlo sullo schermo, perché se è vero che tutti abbiamo pensato: “Cazzo, anch’io avrei sparato a quei porci”, è altresì vero che abbiamo tutti paura del Joker dentro di noi. Ma Joker è lì, reale, Il Joker dentro ciascuno di noi. Arthur, ed io, e noi tutti siamo quel clown con la parrucca di plastica, il naso a pallina rossa e le scarpe buffe, che goffamente si rende ridicolo ogni giorno. Joker è un’altra cosa. Joker uccide Arthur perché non possono coesistere nella stessa realtà, ma a noi risparmierebbe la vita come ha fatto con Gary, l’amico nano, per pietà. Joker è il nostro Mr Hyde, ed è maledettamente sexy.
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