carloalberto
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venerdì 4 ottobre 2019
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storia di un riscatto impossibile
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Una città inventata fa da teatro per la rappresentazione del dramma esistenziale di una psiche stravolta, diventa palcoscenico per le avventure fantasmagoriche di un uomo, marginalizzato nella realtà, che recupera il centro della scena in un suo mondo fantastico, creato apposta per un riscatto altrimenti impossibile nella vita ordinaria. Riscatto che passa attraverso la trasformazione del sé e la costruzione di una nuova identità. L’uomo comune che tira a campare onestamente con un lavoro umile, sbeffeggiato dai colleghi, mobbizzato dal capo, ignorato dalla gente, il derelitto, diventa il principe del male, il leader della rivolta degli oppressi, Joker.
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Una città inventata fa da teatro per la rappresentazione del dramma esistenziale di una psiche stravolta, diventa palcoscenico per le avventure fantasmagoriche di un uomo, marginalizzato nella realtà, che recupera il centro della scena in un suo mondo fantastico, creato apposta per un riscatto altrimenti impossibile nella vita ordinaria. Riscatto che passa attraverso la trasformazione del sé e la costruzione di una nuova identità. L’uomo comune che tira a campare onestamente con un lavoro umile, sbeffeggiato dai colleghi, mobbizzato dal capo, ignorato dalla gente, il derelitto, diventa il principe del male, il leader della rivolta degli oppressi, Joker. Una metropoli qualsiasi e la sua quotidianità fatta di traffico, pendolari, cumuli di immondizia accatastati nelle vie e microcriminalità diffusa, innalzata a paradigma della città consumistica del mondo globalizzato, nella mistificazione dell’immaginario collettivo, si trasforma in Gotham City.
Todd Phillips utilizza il mondo distopico dei comics per poter raccontare il mondo in cui viviamo attraverso il vissuto profondo di un’anima sofferente, che diventa il Joker, così come incarnato da JoaquinPhoenix, splendida e mostruosa creatura che danzando in modo surreale si erge al di sopra del bene e del male.
La colonna sonora a tratti martellante e ossessiva si alterna alle melodie di Sinatra degli anni ’50 esprimendo l’alternarsi maniaco-depressivo dello stato d’animo del protagonista ed in tutto il film c’è un effetto combinatorio di immagini e musica molto potente.
Il nome di una strada, “One way”, che appare ad un incrocio, indica che i fatti narrati sono incanalati nel flusso univoco e senza contraddittorio di un sogno delirante ad occhi aperti. La direzione che tutti prendono in treno, in metro o in auto, nello spazio concentrico, racchiuso nell’orizzonte metropolitano delimitato da grandiosi grattacieli e anonimi palazzoni suburbani, è il centro della città. Ma se c’è un centro dove tutti vanno, vuol dire che tutti ritornano, poi, alla periferia. E’ il dramma dell’uomo moderno, condannato a vivere ai margini di un centro illusorio, che genera frustrazioni, perché è sognato, ambito e al contempo è sfuggente ed irraggiungibile. Al centro sono collocati i totem: i mass media, la fama, la ricchezza, la politica-spettacolo. Al centro il fuoco salvifico, ai margini le tenebre minacciose. Al centro c’è il presentatore di talk show di successo, impersonato da Robert De Niro e c’è il miliardario Wayne che aspira a diventare uomo politico. Entrambi, per il protagonista, rappresentano la figura del padre, rispettivamente, del padre idealizzato, che, tuttavia, lo deluderà, e del padre che lo ha da sempre rifiutato. Entrambi meritano la morte. Figure centrali dell’io infantile, che, da adulto, non perdona l’abbandono, come l’uomo moderno non perdona l’abbandono del potere, che lo pone irrimediabilmente ai confini, escludendolo dal centro, troppo piccolo per essere realmente condiviso, moltiplicato illusoriamente sugli schermi delle TV generaliste e dei social network, per una amplificazione universale e fittizia di un fuoco che non riscalda, ma che genera frustrazione e nevrosi.
Al centro inteso come luogo metaforico, obiettivo delle aspirazioni di riscatto sociale delle miriadi di diseredati periferizzati che popolano le nostre città e che sognano di partecipare al Grande Fratello o di diventare famosi su Instagram, fa da contrappunto il volto di JoaquinPhoenix, che è al centro della storia del suo delirio personale e della storia fantastica narrata dal film. Tutto ruota attorno al viso di Phoenix e del suo Joker. Allegria, tristezza, depressione, disperazione, gioia, sono tutte espressioni poste al centro dello schermo come le uniche, vere, reali protagoniste, che la bravura eccezionale dell’attore rende a volte insieme, nello scarto di pochi attimi, nella medesima inquadratura.
Come nelle Memorie di un malato di nervi di Paul Schreber, il protagonista, affetto da delirio di onnipotenza e mania di persecuzione, è vittima dell’idea della necessità della trasformazione nel suo alter ego. Come Schreber pensava di trasformarsi in donna per sedurre Dio, qui il protagonista immagina di trasformarsi nel Joker, simbolo del male della sua fantastica Gotham, per sedurre le masse coinvolgendole nella rivolta violenta contro il potere che esclude, che emargina, che abbandona, icasticamente rappresentato dal padre da uccidere. La sua mania di grandezza e di accrescimento prende forma nella moltiplicazione del sé, che popola d’improvviso la città di innumerevoli pagliacci. La sua mania di persecuzione è espressa nella scena in cui la classe dominante si diverte guardando Chaplin, non perché affascinata dalla poesia del suo cinema ma perché ride della sorte dei poveri; ride, infatti, di Charlot, che pattinando rasenta un precipizio, ride per lo scampato pericolo sentendosi al sicuro, al centro, vicino al fuoco e deride chi è al margine e rischia di cadere nell’orrido della disperazione.
In questa rappresentazione delirante, tutti i personaggi del film sono fantasmi della mente del protagonista, che assumono forme e ruoli simbolici di volta in volta diversi. I suoi due amici sono, ad esempio, proiezioni del suo io. Il gigante rappresenta la sua megalomania ed il nano il sé bambino. In un estremo tentativo di ricerca di un equilibrio mentale, ormai compromesso, il gigante verrà aggredito ed eliminato, quale tentativo disperato di distruggere le allucinazioni e le manie di grandezza, il nano invece sarà risparmiato quale simbolo dell’innocenza perduta, abusata e violata, del suo spirito infantile.
La psicoterapeuta di colore del manicomio criminale, nella scena finale, è l’unico personaggio reale del film. Nelle fantasie di Joker-Phoenix la sua figura risulta sdoppiata, con un duplice transfert, in un’anziana psicologa, che a suo dire non lo ascolta mai, rimprovero in realtà rivolto a sua madre, e nella attraente vicina, una giovane ragazza madre, con cui, in uno dei suoi deliri, immagina di avere una relazione.
Alla anziana psicologa, Joker, con un ragionamento psicotico, quasi a voler giustificare, la sua follia come unica risposta possibile e adeguata alla delirante nevrosi della società, dirà, parafrasando Lacan, che tutto il mondo è folle.
Il film è stato vietato per questo. Il messaggio, nascosto tra le righe del fumetto innocuo, potrebbe essere frainteso dai più giovani. La risposta ad un mondo folle, ovviamente, non può essere di tipo irrazionale, ma il personaggio, soprattutto per la magistrale interpretazione di Phoenix, risulta carismatico e pericolosamente fascinoso.
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(di mtom83)
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samanta
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domenica 6 ottobre 2019
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la rivolta della follia
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Finalmente è arrivato il film annunciato dagli osanna sparsi della critica e con la previsione di una strada sicura sulla via degli Oscar specie per il protagonista. Si differenzia dai film in cui è coprotagonista Joker come avversario di Batman (ad esempio Batman con Jack Nicholson ovvero il Cavaliere Oscuro con Heath Ledger), non siamo quindi in presenza di un supercriminale ma di un uomo che sta maturando la sua follia distruttiva, quindi il film è quasi un prequel della nascita di Joker.
[Spoiler] Siamo nel 1981 nella solita Gotham City in pieno degrado dei servizi, con l'immondizia che si accumula per le strade (insomma la Roma della Raggi), con continue rivolte dei poveri avverso i ricchi.
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Finalmente è arrivato il film annunciato dagli osanna sparsi della critica e con la previsione di una strada sicura sulla via degli Oscar specie per il protagonista. Si differenzia dai film in cui è coprotagonista Joker come avversario di Batman (ad esempio Batman con Jack Nicholson ovvero il Cavaliere Oscuro con Heath Ledger), non siamo quindi in presenza di un supercriminale ma di un uomo che sta maturando la sua follia distruttiva, quindi il film è quasi un prequel della nascita di Joker.
[Spoiler] Siamo nel 1981 nella solita Gotham City in pieno degrado dei servizi, con l'immondizia che si accumula per le strade (insomma la Roma della Raggi), con continue rivolte dei poveri avverso i ricchi. il cui rappresentante Wayne (Brett Cullen) vuole diventare Sindaco, Arthur Fleck alias Joker (Joaquin Phoenix) è dipendente di un'agenzia che fornisce cabarettisti, pagliacci per feste, incontri o anche per portare cartelloni pubblicitari, è seguito dai servizi sociali per cure psicanalitiche e si imbottisce di medicinali, cura la madre semi invalida. Arthur scopre che la madre crede che lui sia figlio naturale di Wayne, ma non è vero la madre lo ha adottato e soffre anche lei di turbe psichiche. Arthur vive in un mondo a sè stante ed è scosso da crisi di riso incontrollabili. Con la madre è un fanatico spettatore di un talk show notturno condotto da Murray (Robert De Niro). L'aggressione mentre è vestito da pagliaccio nella metropolitana da 3 Yuppie (finanzieri di Wall Street) fa scattare la sua mente e uccide con una pistola (datagli da un collega che lo bulllizzava) i tre ferocemente . Diventa un idolo degli oppressi che indossata una maschera da pagliaccio scatenano una mega rivolta, distruggendo tutto quello che capita e uccidendo i ricchi (tra cui Wayne) quanto a Joker anche per colpa di Wayne uccide la madre, il collega (in modo atroce) e lo stesso Murray che lo aveva invitato al Talk Show, il finale fa presagire che la scia di sangue continuerà.
Il film appare con una sceneggiatura un pò sfilacciata e in alcuni punti frammentaria come ad esempio la ricostruzione delle origini di Arthur, ma quello che più non mi convince è che qui non siamo in presenza della lotta del bene contro il male, ma alla rivolta folle contro tutto e tutti, sembra che persa ogni speranza per costruire un futuro migliore, con una disoccupazione di massa (e non era ancora arrivata la globalizzazione a peggiorare le cose) l'unica soluzione sia distruggere e uccidere senza scopo. I grandi criminali della Storia: Gengis Khan, Hitler, Mao, Stalin, Pol Pot, avevano uno scopo: fare tabula rasa per creare un ordine "migliore" (ovviamente grazie al cielo non ci sono riusciti), qui sembra che la folla sia composta dai nipotini incattiviti di De Sade, si fa tabula rasa senza un perché si segue un pagliaccio e la sua follia, sapendo che ciò genererà altra follia. Si crea quindi quasi un meccanismo di empatia con Joker che subisce autentici soprusi ma che si compiace delle reazioni spropositate. E' un film che non dà alcune speranza. e in questo vedo la sua negatività
La regia è di Todd Phillips (Starsky&Hutch, Una notte da leoni e sequel), che ha abbandonato i film leggeri per gettarsi nel rappresentare l'abisso della follia, ma non dà l'impressione di controllare la materia, ad esempio la visione di Gotaham city che è rappresentata più brutta del solito, sembra quasi sottolineare che non si può uscire dal caos.
Il film Si avvale di un'eccellente interpretazione di Phoenix che ha fatto strada dal personaggio dell'imperatore Commodo, anche se la sua gestualità appare troppo eccessiva, da Actor's Studio, nella norma l'interpretazione di Robert De Niro e discreta quella degli altri comprimari..
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loland10
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lunedì 14 ottobre 2019
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arthur e il...clown re
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“Joker” (id., 2019) è il decimo lungometraggio del regista-sceneggiatore newyorkese Todd Phillips.
Una risata ci seppellirà; Un volto annulla lo schermo; Un mare di immondizia ci coprirà; Un applauso è un colpo in canna; Uno sguardo ci annienterà; Una vita paga della disperazione;Un clown è circo malefico; Uno show per la celebrità. Il piatto odorante di vizioso contrappasso … è pronto.
Strano modo di uscire dalla sala, strano modo per essere coinvolti, strani mondi in Arthur Fleck, strani mondi quelli della pura follia. O meglio la pazzia come confine labile, fragile e tragico tra un esempio e l’esempio.
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“Joker” (id., 2019) è il decimo lungometraggio del regista-sceneggiatore newyorkese Todd Phillips.
Una risata ci seppellirà; Un volto annulla lo schermo; Un mare di immondizia ci coprirà; Un applauso è un colpo in canna; Uno sguardo ci annienterà; Una vita paga della disperazione;Un clown è circo malefico; Uno show per la celebrità. Il piatto odorante di vizioso contrappasso … è pronto.
Strano modo di uscire dalla sala, strano modo per essere coinvolti, strani mondi in Arthur Fleck, strani mondi quelli della pura follia. O meglio la pazzia come confine labile, fragile e tragico tra un esempio e l’esempio. Tra una schiuma di labbra esplosive e un fuoco interiore atroce e troppo violento.
Il regista firma il suo film marchiato di presente e di ieri scontento dell’oggi; arriva ad una pellicola che ‘non è una notte da leoni’ irriverente e sadica, ma una ‘vita da sconquasso ’ con un’arma libera di tutto e da tutto, tragica e inespressa. Ecco che il sangue ne rimarca il simbolo di un luogo simbolo dove l’eroe non c’è e tutti (forse) aspettano. E’ il cinema che ancora deve iniziare.
Un film orribilmente forte e tragicamente (in)comico; il pugno allo stomaco arriva per immagini già viste e che hanno segnato lo schermo (da Kubrick a Scorsese passando per tutti i dintorni) alcuni lustri fa. Ciò che inorridisce è che ti aspetti (dopo una trentina di minuti) quello che avviene. E non può essere altrimenti. Metropolitane veloci, vicoli bui, corridoi al neon, appartamenti sconci e stanze miserevoli: non un spiraglio di lena vita, non un piccolo poro di arguzia positiva, non un filo di aria respirabile. Tutto gronda di sudore inviperito, tra trucco ingrossato e pelli sfinite, in un putiferio di ‘bella-notizia’ per il popolo notturno e vorace che aspetta il male sopra una carcassa di un’auto. Lo skyline non ha la forma dei grattacieli metropolitani ma le onde delle braccia del ‘clown’ e la forma ‘ inospitale’ di uno sguardo che scarnifica il volto pieno di ‘purè’ di rosso. Arthur è il clown, Joker è il vile corpo che fa ondeggiare la colonna vertebrale e risaltare macabramente le costole. Non ci sono
Il ‘De Niro scorsesiano’ (da ‘Re per una notte’ a ‘Cape Fear‘) si annienta e si morde, si compiace e si azzera davanti al gaudente applausometro; non passa il testimone a Joker ma vive il suo alter-ego. Una scommessa perdente (e che forse annulla veramente il molto fatto prima) o meglio una parte di fine carriera che senz’altro aggiunge poco e toglie troppo. D’altronde Scorsese è nella produzione: a scanso di doppi e tripli argomenti.
E ‘La notte del giudizio’ (trilogia del regista James DeMonaco) è dentro il film che sconvolge per alcune scene cruente e ridondanti nell’orrore: compiaciute o no sa di meccanismo già visto. Una pistola si prende e un paio di forbici ci sono sempre: il resto va da se. Solo, un alieno a tutti, come l’amico nano che inaspettatamente si ritrova al centro della scena, con un seti che corre e non rincorre il suo sguardo in fuga.
Il dramma della famiglia che esplode e si annienta. Una madre e il figlio. Ma poi è il figlio di chi… Arthur vuole spazio, vuole farsi notare, vuole la camera per se, da una vita scarnificata ad una clown-azione che cerca un riscatto senza il (vero) sorriso. La presa in giro continua e l’isolamento si trasformano in un circolo vizioso orribile e senza nessuno sconto. Il Joker diventa ‘giustiziere’ in ogni dove senza paura.
Nel film il gioco si trasforma in incubo vero e il riso irriverente e non conosciuto è segnato dal sangue.Tutto questo si dice per quello che si vede. Sentirlo è durissimo. Il pugno allo stomaco rimane forte. Certo è che il vivere male va da se, il vivere meglio si vuole, il vivere macabro meglio non pensarci, il vivere a Gotham City per una festa di grugno sanguigno e di scaraventi violenti come un epilogo di inizio battaglia fa scoppiare le vene e desta il ricordo, condensato di neuroni follia, di un certo cinema poco alimentare, tra Kubrick e Scorsese e ciò che il cinema anni settanta ha generato.
Una (quasi) vita di ordinaria follia tra feroci risate (peregrinanti) e sguaiati resoconti di sangue. Un film dove l’empio si ricongiunge e gli astri sono dalla sua parte, dove ogni destino si ritrova festante con bandiere tetre e sanguinolenti. Un film dove il sorriso finale è solo di sangue, di arcuato dolore e di sfintere oltre ogni dove.
La città è in subbuglio e il soqquadro vivere è solo dentro una pallottola che arriva. Prima il gesto con le dita, poi il gesto copiato, poi la pistola scarica e poi la pistola dove le pallottole si scaricano con un piacere di gusto feroce.
‘Siamo venuti perché abbiamo saputo di tua madre’, ‘Come mi sento....mi sento libero da ogni cosa’. Joker non solo ride in in modo anomalo, ma scompone gli e il suo sguardo con due oculari che ricordano la pazzia vera di un ‘cuculo’ di riferimento e la ‘camera-in-mano’ (‘Shining’) cinematografica che fu di ieri tra corridoi poco illuminati e di un tetro dove non si vedono neanche le porte di ingresso. Jack Nicholson ne fu prigioniero.
Sceneggiatura di traino per piacere dove ogni gesto è costruito i. Modo metodico e dove il ballo di joker diventa uno spot ...non facile fa emulare ma possibilmente...si.
Joaquin Phoenix: è magistralmente in parte o il clownesco modo si addice alle sue forme; non vorrei che il ruolo gli si attaccasse per sempre: è un rischio. Ma…si legge di un seguito. Cosa fare? Meglio non dire nulla e ricordare l’attore ne ‘Il gladiatore’ di R. Scott.
Robert De Niro: marchia il suo stile con classe e non certo fa fatica (data la sua grandezza). “Un’ultima cosa…mi puoi presentare come Joker” dice Arthur a Murray, e di risposta “E Joker…sia”. Ecco il passaggio è avvenuto tra l’ironia di uno spettacolo e la vita truce di un folle. Senza freni con un solo colpo. E per compiacere (forse il pubblico in sala cine) mentre non confà (al pubblico dello show che si dilegua in un battibaleno).
Fotografiadi Lawrence Sher (collaboratore del regista): acre e sconcia, scarna e aleatoria; fortemente dileguante.
Musicadi Hildur I. Guðnadóttir con afflato roboante, metrica da metallo(ro).
Regia: vistosa, referenziale, acuta e triste, vispa e languida.
Film opinabile che non rivedrei volentieri a stretto giro (e forse neanche un po’ dopo) e che traina giudizi di omnia capolavoro (o quasi) ma l’originalità inciampa in più tratti: Joker con J. Phoenix ruba il film a tutti (fagocitando recitazione e sceneggiatura). Si rischia il vintage e l’omnia referenza (comprensiva).
Voto: 7/10 (***½) -cinema disfatto-
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carlosantoni
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venerdì 8 novembre 2019
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la vendetta fa bene alla salute
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La vendetta fa bene alla salute, guarisce dalla malattia e risarcisce delle violenze subite, e assomiglia quasi a una rivoluzione, pur se su scala assolutamente ridotta ed esistenziale, ma che si può allargare, laddove da un quadro personale si salga ad un piano sociale, generale. È quanto par d’imparare da questo notevolissimo film di Todd Phillips.
Da dove partire? È difficile, tante sono le cose da dire. Comincio da alcuni aspetti della struttura narrativa. È evidente che il film, attraverso le vicende drammatiche del protagonista, parla di rivolta sociale come risposta alla violenza diffusa dal sistema capitalistico. Risposta caotica, spontanea, brutale, dove le centinaia di volti mascherati da pagliaccio dei manifestanti, richiamano alla mente le più recenti numerose maschere di Anonymous, presenti in tante contestazioni e cortei degli ultimi anni.
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La vendetta fa bene alla salute, guarisce dalla malattia e risarcisce delle violenze subite, e assomiglia quasi a una rivoluzione, pur se su scala assolutamente ridotta ed esistenziale, ma che si può allargare, laddove da un quadro personale si salga ad un piano sociale, generale. È quanto par d’imparare da questo notevolissimo film di Todd Phillips.
Da dove partire? È difficile, tante sono le cose da dire. Comincio da alcuni aspetti della struttura narrativa. È evidente che il film, attraverso le vicende drammatiche del protagonista, parla di rivolta sociale come risposta alla violenza diffusa dal sistema capitalistico. Risposta caotica, spontanea, brutale, dove le centinaia di volti mascherati da pagliaccio dei manifestanti, richiamano alla mente le più recenti numerose maschere di Anonymous, presenti in tante contestazioni e cortei degli ultimi anni. Insomma, il film gratta gratta ha, o vuole avere, un forte contenuto politico di denuncia e di contestazione della “narrazione” ufficiale e della concreta gestione politica da parte di un’oligarchia di super-ricchi: e questo, pur con tutti i limiti di un lavoro confezionato in USA e che trae origine da dei fumetti, non è poco.
Il secondo aspetto interessante del film, dal punto di vista contenutistico, è che parli di spettacolo, soprattutto moltissimo di televisione, e in generale di scena, di recitazione, di commedia e tragedia che si scambiano vicendevolmente l’una nell’altra, come di rappresentazioni della vita reale che vengono scambiate per la vita stessa. E di come la necessità reiteratamente richiamata in varie scene, di dover “far ridere” ad ogni costo, non sia che una variante sul tema cinico del “The Show Must Go On”. Sono perciò indotto a pensare che il film di Phillips intenda criticare anche il modo di gran lunga corrente tra i cineasti, di raccontare la realtà deformandola, velandola, addolcendola e perciò nascondendo nei vari plot la brutalità del dominio di classe e le sue drammatiche conseguenze sociali.
Quanto agli aspetti formali, occorre iniziare col dire che Joaquin Phoenix è semplicemente superlativo, perturbante nelle sue risate dai diversi timbri espressivi, nella magrezza che pare la metafora della sua gracilità affettiva, nella sua bravura a danzare o ad assumere pose del Tai Chi.
E poi, come non parlare della fotografia, davvero eccellente, sia che scruti la mimica di Phenix con primissimi piani, sia che descriva interni sempre cupi e claustrofobici, o esterni nevrotici d’inseguimenti cittadini, o di sfrecciare di treni ripresi a volo d’angelo su tracciati ferroviari mozzafiato, o scene violente in metropolitana… per finire con la straordinaria ultima scena, che nell’albore crescente e accecante di una luce lattea in fondo a un tunnel di ospedale psichiatrico, ci mostra la silhouette appena distinguibile del nostro Joker che comicamente si mette a correre all’improvviso, rincorso da un paio di guardiani, quasi una ripetizione di tante gags di Chaplin-Charlot, il quale peraltro è citato in una scena.
Perfetta anche la colonna sonora, che non ti molla, e notevoli le scenografie.
Da vedere!
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emifisa
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domenica 10 novembre 2019
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phoenix mattatore di questa perla di philipps ma c'è un ma
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Il nuovo Joker di Phillips si è dimostrato all'altezza delle aspettative. Joaquin Phoenix osannato come prova attoriale dell'anno, anche se dissento su questo ultimo punto perchè ha sicuramente uscito una delle sue prove attoriali migliori ma non la migliore, forse la meglio costruita si. Sicuramente resta il fatto che siamo di fronte a un film al di sopra di tutto quello che sia uscito quest'anno. Stiamo parlando di livelli superiori, ma c'è un ma, che a mio modesto parere, nonostante parliamo di un filmone che è giusto precisarlo, non penso sia il miglior film dell'anno come in tanti secondo me lo stanno sopravvalutando. C'è sempre quel non so che di hollywoodiano, quella patina di luce, quella sicurezza nella stesura di sceneggiatura che va sul sicuro.
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Il nuovo Joker di Phillips si è dimostrato all'altezza delle aspettative. Joaquin Phoenix osannato come prova attoriale dell'anno, anche se dissento su questo ultimo punto perchè ha sicuramente uscito una delle sue prove attoriali migliori ma non la migliore, forse la meglio costruita si. Sicuramente resta il fatto che siamo di fronte a un film al di sopra di tutto quello che sia uscito quest'anno. Stiamo parlando di livelli superiori, ma c'è un ma, che a mio modesto parere, nonostante parliamo di un filmone che è giusto precisarlo, non penso sia il miglior film dell'anno come in tanti secondo me lo stanno sopravvalutando. C'è sempre quel non so che di hollywoodiano, quella patina di luce, quella sicurezza nella stesura di sceneggiatura che va sul sicuro. Non vedo quell'affondo finale che poteva fare. Infine il soggetto non è particolarmente ardito; Joker reietto della società, inascoltato e solo trova il suo modo di farsi ascoltare anche se violentamente trovando la sua realtà. Beh in un mondo in cui tutti sono soli e inascoltati grazie ai social che ci hanno reso ancora più soli, mi sembra una storia sicura che punta subito allo stato d'animo della società di oggi facendo tifare per il cattivo infatti. Insomma la paura di affondare il piede sul pedale dove doveva essere fatto, non è stato fatto, solo per tenere sempre quella situazione da blockbuster americana che da sicurezza. Poteva essere un 5 stelle ma devo metterne 4 a mio malincuore perchè sicuramente il film è da vedere e parliamo di uno dei migliori film usciti dell'anno e migliore dei film americani.
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mercoledì 20 novembre 2019
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incomparabilità dei joker
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La recensione secondo me poggia su un'assunzione fallace, ossia giudica questo film tenendo a mente il Joker di Nolan di "The dark Knight", che per carità è un grandissimo film, eccezionale ma nulla a che vedere con il Joker di questo film. Innanzitutto in questa recensione ci scordiamo di un elemento importantissimo, ossia per la prima volta si squarcia il velo di Maya e vediamo Thomas Wayne per quello che realmente è. Egli non è un filantropo, non è un benefattore, egli è un uomo d'affari puro che genera probabilmente lui stesso il male, il marcio della città in cui vive. Arthur Fleck tenta tante, troppe volte a conformarsi in una società che lo vede come un rifiuto. Egli è l'ultimo tra gli ultimi e Joaquin Phoenix porta sullo schermo tutto il suo talento in questo.
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La recensione secondo me poggia su un'assunzione fallace, ossia giudica questo film tenendo a mente il Joker di Nolan di "The dark Knight", che per carità è un grandissimo film, eccezionale ma nulla a che vedere con il Joker di questo film. Innanzitutto in questa recensione ci scordiamo di un elemento importantissimo, ossia per la prima volta si squarcia il velo di Maya e vediamo Thomas Wayne per quello che realmente è. Egli non è un filantropo, non è un benefattore, egli è un uomo d'affari puro che genera probabilmente lui stesso il male, il marcio della città in cui vive. Arthur Fleck tenta tante, troppe volte a conformarsi in una società che lo vede come un rifiuto. Egli è l'ultimo tra gli ultimi e Joaquin Phoenix porta sullo schermo tutto il suo talento in questo. Ci tiene incollati alla sedia ad osservare un personaggio "parlante" ossia che con la sua vita parla senza che niente debba dire in più. Ci si aspetta che faccia determinate scelte, niente è immotivato. Si scava nell'anima del personaggio e lo si trova. Non è l'irrazionale Joker di Nolan che vuole vedere il mondo bruciare solo per il gusto di farlo. Non è l'antagonista di Batman che regge con lui il confronto. Abbiamo la fortuna di osservare in questo film il Joker "uomo", senza capacità sovrannaturali, senza uomini che lo sostengano, anzi schiavo dei suoi limiti. Phoenix regge sulle sue spalle un ruolo pesantissimo in modo divino. L'oscar sarebbe meritato ma forse non lo vincerà. I temi del film sono tanto, troppo attuali. Immaginate di mettere al posto di Thomas Wayne Hillary clinton, e avrete uno spaccato sulla società americana di oggi. Mi dispiace che chi abbia giudicato questo film si sia fermato alla scorza dura del fumetto, del personaggio e non abbia voluto farsi altre domande, forse quelle giuste. Voto: 4 meritato. PS: Spero non ci sarà alcun seguito.
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felicity
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mercoledì 22 gennaio 2020
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derelitto mentalmente instabile in rivolta
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Joker è un bel noir, sporco e cattivo, che pesca a piene mani, sia nell’estetica che nei temi, dal cinema della New Hollywood.
I due riferimenti principali sono Re per una notte (con Robert De Niro che stavolta prende il posto di Jerry Lewis) e Taxi Driver.
Non a caso, il regista ha girato il film a New York: la sua Gotham City è la New York City lercia e fuori controllo di fine anni ’70 / primi ’80, con la criminalità che dilaga, i vicoli sudici e malfamati e gli edifici vecchi che stanno su per miracolo.
In quanto puro spettacolo, al netto di un finale frettoloso e un po’ deludente, Joker è di prim’ordine: dalla fotografia alle scenografie, dalle scene di violenza all’interpretazione di Joaquin Phoenix, su cui chiaramente lui ha lavorato con la stessa serietà che si riserva oggi alla preparazione di un biopic, o comunque di un ruolo importante, di quelli “da Oscar”, tutto si somma alla perfezione.
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Joker è un bel noir, sporco e cattivo, che pesca a piene mani, sia nell’estetica che nei temi, dal cinema della New Hollywood.
I due riferimenti principali sono Re per una notte (con Robert De Niro che stavolta prende il posto di Jerry Lewis) e Taxi Driver.
Non a caso, il regista ha girato il film a New York: la sua Gotham City è la New York City lercia e fuori controllo di fine anni ’70 / primi ’80, con la criminalità che dilaga, i vicoli sudici e malfamati e gli edifici vecchi che stanno su per miracolo.
In quanto puro spettacolo, al netto di un finale frettoloso e un po’ deludente, Joker è di prim’ordine: dalla fotografia alle scenografie, dalle scene di violenza all’interpretazione di Joaquin Phoenix, su cui chiaramente lui ha lavorato con la stessa serietà che si riserva oggi alla preparazione di un biopic, o comunque di un ruolo importante, di quelli “da Oscar”, tutto si somma alla perfezione.
Detto ciò, Joker è l’ennesimo matto che sbrocca perché la madre lo trattava male e la società lo tratta male e la gente fa schifo.
Con tutte le sue buone intenzioni di creare un nuovo villain scorsesiano memorabile, il film finisce solamente per confermare ancora una volta la dura legge del prequel: che se racconti troppo di un’icona, la svilisci.
Un classico caso di film che viene sopravvalutato perché grazie a un trucchettino di marketing ti ipnotizza a paragonarlo a un genere considerato storicamente inferiore a quelli a cui in realtà chiaramente si ispira e aspira ad essere.
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rizric
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lunedì 3 febbraio 2020
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uno dei migliori film del decennio!
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Todd Phillips inventa di sana pianta la Origin Story del Joker DC Comics creando un prodotto inedito, a suo modo, per il genere di appartenenza. In termini di realismo siamo ben oltre l'idea di Christopher Nolan, tutto è incredibilmente doloroso, pungente, si può inoltre respirare chiaramente il tanfo dei rifiuti e sentire i topi scorrazzare liberi per la città. Gli elementi fantastici, o più fumettosi se vogliamo, sono quasi del tutto assenti, a vantaggio della credibilità del progetto. Persino le risate di Arthur Fleck provocano malessere, nausea, anziché essere contagiose, anche se questo è merito soprattutto di un Joaquin Phoenix superlativo, un clown pregno di un'incredibile umanità che chiede solo di essere ascoltato - danzando costantemente e muovendo sinuosamente il suo corpo nello spazio, come a ribadire la sua esistenza in carne e ossa.
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Todd Phillips inventa di sana pianta la Origin Story del Joker DC Comics creando un prodotto inedito, a suo modo, per il genere di appartenenza. In termini di realismo siamo ben oltre l'idea di Christopher Nolan, tutto è incredibilmente doloroso, pungente, si può inoltre respirare chiaramente il tanfo dei rifiuti e sentire i topi scorrazzare liberi per la città. Gli elementi fantastici, o più fumettosi se vogliamo, sono quasi del tutto assenti, a vantaggio della credibilità del progetto. Persino le risate di Arthur Fleck provocano malessere, nausea, anziché essere contagiose, anche se questo è merito soprattutto di un Joaquin Phoenix superlativo, un clown pregno di un'incredibile umanità che chiede solo di essere ascoltato - danzando costantemente e muovendo sinuosamente il suo corpo nello spazio, come a ribadire la sua esistenza in carne e ossa. Il suo obiettivo infatti non è mettere il mondo a ferro e fuoco per partito preso, lui vorrebbe solo far ridere le persone, in modo genuino e naturale, invece finisce sempre con la gente che ride di lui. Un dramma che spezza il cuore e apre le coscienze di chi siede nelle poltrone del cinema, diretto con il giusto piglio autoriale ma con un linguaggio adatto a tutti, anche a chi mastica poco i cinecomic - o li odia del tutto. Il Joker saprà colpire a fondo anche loro, questa volta.
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gbavila
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lunedì 24 febbraio 2020
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contro i mulini a vento
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"Tutti sono orrendi oggigiorno, abbastanza da far impazzire chiunque". E' lo sfogo di Arthur che da troppo buono diventa troppo cattivo o troppo folle. L'ombra di don Chisciotte è immanente, e il novello cavaliere errante intraprende la sua missione di difensore dei deboli incurante delle conseguenze, contro i gigant (mulini a vento?) di cui questo mondo si riempie. "Quelli di noi che hanno prodotto qualcosa nella virta vedranno quelli che non l'hanno fatto soltanto come clown", così speiga l'aspirante sindaco di Gotham City, Thomas Waine, che è anche genitore negato di Arhur il cui riso somigia tanto a un pianto: "è che non voglio più stare così male" sussurra Arthur.
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"Tutti sono orrendi oggigiorno, abbastanza da far impazzire chiunque". E' lo sfogo di Arthur che da troppo buono diventa troppo cattivo o troppo folle. L'ombra di don Chisciotte è immanente, e il novello cavaliere errante intraprende la sua missione di difensore dei deboli incurante delle conseguenze, contro i gigant (mulini a vento?) di cui questo mondo si riempie. "Quelli di noi che hanno prodotto qualcosa nella virta vedranno quelli che non l'hanno fatto soltanto come clown", così speiga l'aspirante sindaco di Gotham City, Thomas Waine, che è anche genitore negato di Arhur il cui riso somigia tanto a un pianto: "è che non voglio più stare così male" sussurra Arthur. Ma non c'è pietà, il municipio ha tagliato i fondi, non vuole ascoltare il pianto di tanti e non vuole che alcuno li ascolti, anche la psicologa (sacerdote), lo showman (barbiere), l'investigatore (baccelliere). Gi rimane la vicina Sophie (Dulcinea) che lenisce appena la sua angoscia finendo col testimoniare l'inevitabile vortice autodistruttivo di Arthur che nel diario evidenzia il suo epitaffio: "spero che la mia morte abbia più senso della mia vita". Questa amara riflessione ci richiama a quella dell'antesignano del romanzo, Cervantes, che ha saputo guardarci come eravamo e siamo: "io penso che quel tizio che l'ha fatto sia un eroe". Grande lavoro anche pedagogico con un gigantesco Joaquin Phoenix, sempre fortemente credibile, e un Todd Philips coraggiosissimo.
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massimiliano santucci
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domenica 6 ottobre 2019
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un pugno allo stomaco per farci riflettere
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Indiscutibile la qualità della regia, ottime la sceneggiatura e la fotografia, magistrale l'interpretazione di Phoenix. Ciò che mi ha colpito di più è però il significato sul piano sociale di questo film. Un pugno allo stomaco con cui fare i conti tornati a casa. Una condanna senza sconti ad una società che produce duseguaglianza, ghettizzazione e sfruttamento del più debole (Arthur non è stato adottato, lo prova finalmente la fotografia della sua povera mamma con su scritto "come sei bella quando sorridi" e firmata Thomas Wilson, in corsa per la poltrona di sindaco della città). La patologia mentale del protagonista, eredità materna e frutto di soprusi infantili, è soltanto l'appiglio che il regista porge alla coscienza dello spettatore per consentirgli di giustificare la sua violenza.
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Indiscutibile la qualità della regia, ottime la sceneggiatura e la fotografia, magistrale l'interpretazione di Phoenix. Ciò che mi ha colpito di più è però il significato sul piano sociale di questo film. Un pugno allo stomaco con cui fare i conti tornati a casa. Una condanna senza sconti ad una società che produce duseguaglianza, ghettizzazione e sfruttamento del più debole (Arthur non è stato adottato, lo prova finalmente la fotografia della sua povera mamma con su scritto "come sei bella quando sorridi" e firmata Thomas Wilson, in corsa per la poltrona di sindaco della città). La patologia mentale del protagonista, eredità materna e frutto di soprusi infantili, è soltanto l'appiglio che il regista porge alla coscienza dello spettatore per consentirgli di giustificare la sua violenza. Una violenza acclamata dal popolo grigio di Gotham, specchio dei movimenti populistici sorti in varie parti del mondo. Un invito urgente a riflettere, ad integrare il diverso, sia esso ispanoamericano o figlio illegittimo della classe dirigente. Ad oggi però le città messe a ferro e fuoco non hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere e magra risulta la consolazione di Arthur, che rinuncia al più volte vaticinato suicidio per godersi, felice per la prima volta in vita sua, il successo della sua "commedia".
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