roxy19
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martedì 1 maggio 2018
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misterioso
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Oltre la indiscutibile bravura della Mezzogiorno, il film lascia un velo di incompiuto che apre a mille interpretazioni.
la crudezza delle riprese e i piani sequenza sono tra i più belli mai visti.
semplicemente Napoli, la sua vena esoterica che ci accompagna da secoli.
per chi si nn ha ancora visto il film, suggerisco di lascarsi andare e liberare la mente dal giudizio che incatena e fa perdere la poesia del film.
tutte le scene hanno un senso, anche la prima e più criticata, sensa la quale nn avrebbe Spessore tutta la trama.
nn si può etichettare il film in un genere, lascia però tantissimi spunti di riflessione.
io l'ho visto già due volte, e ad ognuna ho provato un emozione diversa .
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Oltre la indiscutibile bravura della Mezzogiorno, il film lascia un velo di incompiuto che apre a mille interpretazioni.
la crudezza delle riprese e i piani sequenza sono tra i più belli mai visti.
semplicemente Napoli, la sua vena esoterica che ci accompagna da secoli.
per chi si nn ha ancora visto il film, suggerisco di lascarsi andare e liberare la mente dal giudizio che incatena e fa perdere la poesia del film.
tutte le scene hanno un senso, anche la prima e più criticata, sensa la quale nn avrebbe Spessore tutta la trama.
nn si può etichettare il film in un genere, lascia però tantissimi spunti di riflessione.
io l'ho visto già due volte, e ad ognuna ho provato un emozione diversa .
il film ci permette di approfondire il concetto di vita e di morte.
buona visione.
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no_data
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domenica 20 maggio 2018
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grandioso regista
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Parto dicendo che è diretto da un un regista che adoro, ed ho adorato anche questo dipinto di Napoli. C'è tutto in questo film , bellezza, arte, passione, mistero , sentimenti, risentimenti . Mi stupisco ci sia gente che si sia concentrata sul fattarello insignificante dell'omicidio e si sia anche irritata per la mancata individuazione del colpevole o per il finale "velato" appunto. Stiamo parlando di una bellezza esterna ed interna di questa meravigliosa cittá , che oltre ai tanti primati ha avuto il culto dell'esoterismo del "velo", dove hanno operato Eusapia Palladino ed il Principe di San Severo (giusto per esemplificare) . Non siamo andati a vedere Montalbano (in tutta la sua grandezza) , ma Ozpetek.
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Parto dicendo che è diretto da un un regista che adoro, ed ho adorato anche questo dipinto di Napoli. C'è tutto in questo film , bellezza, arte, passione, mistero , sentimenti, risentimenti . Mi stupisco ci sia gente che si sia concentrata sul fattarello insignificante dell'omicidio e si sia anche irritata per la mancata individuazione del colpevole o per il finale "velato" appunto. Stiamo parlando di una bellezza esterna ed interna di questa meravigliosa cittá , che oltre ai tanti primati ha avuto il culto dell'esoterismo del "velo", dove hanno operato Eusapia Palladino ed il Principe di San Severo (giusto per esemplificare) . Non siamo andati a vedere Montalbano (in tutta la sua grandezza) , ma Ozpetek. Per me sale sul podio, degnamente accanto a capolavori come Nuovo Cinema Paradiso e La migliore offerta, anche grazie agli ottimi Beppe Barra, Lina Sastri e la Mezzogiorno.
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saintloup
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martedì 2 gennaio 2018
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ozpetek ritrovato
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Napoli velata. Noir dalle tinte fortemente contrastanti, l'ultima fatica di Ferzan Ozpetek colpisce per la ritrovata ispirazione artistica del regista. Infatti tutti gli elementi che caratterizzano la sua poetica vengono dipanati uno ad uno sullo sfondo di una Napoli rappresentata all'insegna del doppio : misteriosa ed esoterica nei suoi vicoli oscuri e lugubri corridoi sotterranei, ma anche sfarzosa e debordante nel fasto dei suoi palazzi antichi, barocchi e nobiliari. E su questo sfondo fa la sua passerella uno stuolo ben nutrito di personaggi grotteschi e di riti pagani, primo fra tutti il parto dei femminielli.
Ma l'ambiguità del doppio scenografico non è il delirio estetizzante di un regista sterile : esso rappresenta il simbolo esteriore di un conflitto irrisolto, amaro e tragico che dilania l'esistenza della protagonista, una splendida e intensa Giovanna Mezzogiorno.
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Napoli velata. Noir dalle tinte fortemente contrastanti, l'ultima fatica di Ferzan Ozpetek colpisce per la ritrovata ispirazione artistica del regista. Infatti tutti gli elementi che caratterizzano la sua poetica vengono dipanati uno ad uno sullo sfondo di una Napoli rappresentata all'insegna del doppio : misteriosa ed esoterica nei suoi vicoli oscuri e lugubri corridoi sotterranei, ma anche sfarzosa e debordante nel fasto dei suoi palazzi antichi, barocchi e nobiliari. E su questo sfondo fa la sua passerella uno stuolo ben nutrito di personaggi grotteschi e di riti pagani, primo fra tutti il parto dei femminielli.
Ma l'ambiguità del doppio scenografico non è il delirio estetizzante di un regista sterile : esso rappresenta il simbolo esteriore di un conflitto irrisolto, amaro e tragico che dilania l'esistenza della protagonista, una splendida e intensa Giovanna Mezzogiorno. Una notte infuocata d'amore con l'affascinante Alessandro Borghi, e il successivo e incomprensibile incontro col cadavere di lui, provocano alla protagonista la reviviscenza di un trauma infantile terribile e mai rimosso, che la porterà a convivere con visioni fantasmiche del passato e del presente. L'aspetto onirico del film però non tradisce mai la sua impalcatura mistery, tant'è che la pellicola si apre con un omicidio e si chiude con l'individuazione del ( o dei ) colpevole, seppur in maniera non esplicita.
La Napoli visionaria di Ozpetek è riscattata qui dai soliti e stucchevoli stereotipi, attraverso la commistione di riti sacri e pagani, l'ostentazione dell'opulenza barocca e rococò delle sue architetture, che raggiunge la sua apoteosi nelle carrellate lente, anzi lentissime,nella Cappella Sansevero, quasi a voler scoprire il velo del famoso Cristo, e con esso il suo mistero, sublime sineddoche dell" accattivante titolo.
Il tutto è pervaso da una straripante sensualità che fa da fil rouge per tutta la durata del film, sorretto tra l'altro da un cast di altissimo livello, tra cui spiccano le interpretazioni magistrali di Peppe Barra e Anna Bonaiuto, che caricano Napoli velata di sacro folklore e ancestrale dolore.
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michelangelomonni
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giovedì 4 gennaio 2018
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ozpetek non è pontormo!
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C’è un segreto e un dramma rimosso ma ancora drammaticamente presente nell’inconscio di Adriana, un’affascinante anatomo-patologa che, quasi per una sorta di espiazione di colpe non sue, “vive in mezzo ai morti”.
In una Napoli misteriosa e patinata, tratteggiata da una fotografia elegante, raffinata anche se un po’ fredda, da riti sincretici e teatrali (il film si apre con “la figliata dei femminielli” una rappresentazione antifrastica del parto di chi partorire non può), da una lingua spesso esibita anche nella scelta, forse un po’ artificiale, dell’allocutivo di cortesia “voi” utilizzato dalla protagonista con il poliziotto, dai dialoghi (nei quali spicca per alto tasso di “napoletanità” una quasi caricaturale Luisa Ranieri) nonché dal “coro” di personaggi che si muove intorno alla protagonista (altra costante del cinema di Ozpetek) in cui il corifeo è Peppe Barra (forse un po’ sottodimensionato) si dipana la vicenda dell’ennesima borghese inquieta (categoria assai cara a Ozpetek) che improvvisamente riscopre una sensualità lungamente repressa nel giovane aitante ed emblematico Andrea, barbaramente trucidato dopo la prima notte di sesso con la protagonista .
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C’è un segreto e un dramma rimosso ma ancora drammaticamente presente nell’inconscio di Adriana, un’affascinante anatomo-patologa che, quasi per una sorta di espiazione di colpe non sue, “vive in mezzo ai morti”.
In una Napoli misteriosa e patinata, tratteggiata da una fotografia elegante, raffinata anche se un po’ fredda, da riti sincretici e teatrali (il film si apre con “la figliata dei femminielli” una rappresentazione antifrastica del parto di chi partorire non può), da una lingua spesso esibita anche nella scelta, forse un po’ artificiale, dell’allocutivo di cortesia “voi” utilizzato dalla protagonista con il poliziotto, dai dialoghi (nei quali spicca per alto tasso di “napoletanità” una quasi caricaturale Luisa Ranieri) nonché dal “coro” di personaggi che si muove intorno alla protagonista (altra costante del cinema di Ozpetek) in cui il corifeo è Peppe Barra (forse un po’ sottodimensionato) si dipana la vicenda dell’ennesima borghese inquieta (categoria assai cara a Ozpetek) che improvvisamente riscopre una sensualità lungamente repressa nel giovane aitante ed emblematico Andrea, barbaramente trucidato dopo la prima notte di sesso con la protagonista .
Le immagini dei corpi nudi che si muovono convulsi nell’amplesso, richiamano, assai scopertamente, quelle del mondo greco-romano e ci introducono nei segreti della vita dell’ucciso. Trafficante di opere d’arte, forse autore di una truffa che gli è costata la vita. Il richiamo a un losco mondo di affari clandestini è plasticamente evidenziato dalle due esperte d’arte: Lina Sastri e Isabella Ferrari, quasi due inquietanti parche, che fanno da sfondo macabro a tutta la storia.
Ma questa sorta di thriller ardirebbe anche a trasformarsi in un dramma psicologico. Come spesso accade nei film di Ozpetek, passato e presente si confondono e si fondono, i morti rivivono, verità e sogno si intersecano. Se fino a un certo punto Ozpetek riesce a mantenere un fragile equilibrio tra dramma e farsa, tra eleganza delle forme e leziosità, tra suspence e noia, forse grazie alla maestria di Giovanna Mezzogiorno, verso metà del film un certo meccanicismo, la volontà scoperta di stupire con uno straniamento poco adatto a una sceneggiatura che non decolla mai, cominciano a stancare anche lo spettatore più ben disposto.
Perché Ozpetek, ahimè, non è Pontormo e se in Rosso Istanbul, il suo manierismo poteva in qualche modo essere funzionale al dramma del protagonista (anche lui borghese, anche lui inquieto) qui sembra quasi che la povertà dell’ispirazione debba essere compensata dalla maniera, dal mestiere, dalla frase a effetto, dal dialetto, anche, dall’immagine patinata, dal dramma psicologico già sentito, già visto.
Tutto, allora, è maniera, ma una maniera che non lascia senza fiato come un quadro di Pontormo o di Rosso Fiorentino, una maniera più simile ai teatrini macabri delle cere di Gaetano Zumbo, orribili e grotteschi come alcuni dei personaggi della tombola alla casa di riposo per anziani transessuali che si vede in una scena, anche questa di maniera, del film.
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michelangelomonni
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giovedì 4 gennaio 2018
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ozpetek non è pontormo
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C’è un segreto e un dramma rimosso ma ancora drammaticamente presente nell’inconscio di Adriana, un’affascinante anatomo-patologa che, quasi per una sorta di espiazione di colpe non sue, “vive in mezzo ai morti”. In una Napoli misteriosa e patinata, tratteggiata da una fotografia elegante, raffinata anche se un po’ fredda, da riti sincretici e teatrali (il film si apre con “la figliata dei femminielli” una rappresentazione antifrastica del parto di chi partorire non può), da una lingua spesso esibita anche nella scelta, forse un po’ artificiale, dell’allocutivo di cortesia “voi” utilizzato dalla protagonista con il poliziotto, dai dialoghi (nei quali spicca per alto tasso di “napoletanità” una quasi caricaturale Luisa Ranieri) nonché dal “coro” di personaggi che si muove intorno alla protagonista (altra costante del cinema di Ozpetek) in cui il corifeo è Peppe Barra (forse un po’ sottodimensionato) si dipana la vicenda dell’ennesima borghese inquieta (categoria assai cara a Ozpetek) che improvvisamente riscopre una sensualità lungamente repressa nel giovane aitante ed emblematico Andrea, barbaramente trucidato dopo la prima notte di sesso con la protagonista .
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C’è un segreto e un dramma rimosso ma ancora drammaticamente presente nell’inconscio di Adriana, un’affascinante anatomo-patologa che, quasi per una sorta di espiazione di colpe non sue, “vive in mezzo ai morti”. In una Napoli misteriosa e patinata, tratteggiata da una fotografia elegante, raffinata anche se un po’ fredda, da riti sincretici e teatrali (il film si apre con “la figliata dei femminielli” una rappresentazione antifrastica del parto di chi partorire non può), da una lingua spesso esibita anche nella scelta, forse un po’ artificiale, dell’allocutivo di cortesia “voi” utilizzato dalla protagonista con il poliziotto, dai dialoghi (nei quali spicca per alto tasso di “napoletanità” una quasi caricaturale Luisa Ranieri) nonché dal “coro” di personaggi che si muove intorno alla protagonista (altra costante del cinema di Ozpetek) in cui il corifeo è Peppe Barra (forse un po’ sottodimensionato) si dipana la vicenda dell’ennesima borghese inquieta (categoria assai cara a Ozpetek) che improvvisamente riscopre una sensualità lungamente repressa nel giovane aitante ed emblematico Andrea, barbaramente trucidato dopo la prima notte di sesso con la protagonista . Le immagini dei corpi nudi che si muovono convulsi nell’amplesso, richiamano, assai scopertamente, quelle del mondo greco-romano e ci introducono nei segreti della vita dell’ucciso. Trafficante di opere d’arte, forse autore di una truffa che gli è costata la vita. Il richiamo a un losco mondo di affari clandestini è plasticamente evidenziato dalle due esperte d’arte: Lina Sastri e Isabella Ferrari, quasi due inquietanti parche, che fanno da sfondo macabro a tutta la storia. Ma questa sorta di thriller ardirebbe anche a trasformarsi in un dramma psicologico. Come spesso accade nei film di Ozpetek, passato e presente si confondono e si fondono, i morti rivivono, verità e sogno si intersecano. Se fino a un certo punto Ozpetek riesce a mantenere un fragile equilibrio tra dramma e farsa, tra eleganza delle forme e leziosità, tra suspence e noia, forse grazie alla maestria di Giovanna Mezzogiorno, verso metà del film un certo meccanicismo, la volontà scoperta di stupire con uno straniamento poco adatto a una sceneggiatura che non decolla mai, cominciano a stancare anche lo spettatore più ben disposto. Perché Ozpetek, ahimè, non è Pontormo e se in Rosso Istanbul, il suo manierismo poteva in qualche modo essere funzionale al dramma del protagonista (anche lui borghese, anche lui inquieto) qui sembra quasi che la povertà dell’ispirazione debba essere compensata dalla maniera, dal mestiere, dalla frase a effetto, dal dialetto, anche, dall’immagine patinata, dal dramma psicologico già sentito, già visto. Tutto, allora, è maniera, ma una maniera che non lascia senza fiato come un quadro di Pontormo o di Rosso Fiorentino, una maniera più simile ai teatrini macabri delle cere di Gaetano Zumbo, orribili e grotteschi come alcuni dei personaggi della tombola alla casa di riposo per anziani transessuali che si vede in una scena, anche questa di maniera, del film.
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giovedì 4 gennaio 2018
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napoli cupa, spettatore sgomento....
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Centotredici minuti. Centotredici minuti per lasciare lo spettatore sgomento, magari un po irato anche. Questo "Napoli Velata", leggo sopra, apparterebbe al genere "drammatico" (ma anche ovviamente al genere "thriller"!), ed in effetti si tratta di un film drammatico (inevitabile in presenza di un efferato omicidio...), e ciò non solo per la complessiva tematica dell'opera del regista turco, non solo per la trama e per la tecnica e l'atmosfera legati al montaggio ed alla fotografia, ma soprattutto per la profondissima cupezza che pervade l'intero film ed i suoi personaggi principali (lungo tutti i 113 minuti non conterete una loro sola risata, al massimo un tiratissimo sorriso...): davvero troppo cupo.
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Centotredici minuti. Centotredici minuti per lasciare lo spettatore sgomento, magari un po irato anche. Questo "Napoli Velata", leggo sopra, apparterebbe al genere "drammatico" (ma anche ovviamente al genere "thriller"!), ed in effetti si tratta di un film drammatico (inevitabile in presenza di un efferato omicidio...), e ciò non solo per la complessiva tematica dell'opera del regista turco, non solo per la trama e per la tecnica e l'atmosfera legati al montaggio ed alla fotografia, ma soprattutto per la profondissima cupezza che pervade l'intero film ed i suoi personaggi principali (lungo tutti i 113 minuti non conterete una loro sola risata, al massimo un tiratissimo sorriso...): davvero troppo cupo. Tanto cupo da sfiorare quasi il ridicolo se solo si pensi al vivacissimo contesto cittadino (anche se le scene girate per le vie di Napoli si contano in meno di una sola mano e sono prettamente in notturna...) in cui l'intera storia è stata ambientata. Apertura del film "sontuosa" (ma non particolarmente originale...), scena audace di sesso con co-protagonista la brava Giovanna Mezzogiorno, il "day after" caratterizzato dal misterioso (ed efferato) omicidio di "lui" (anche questa una trovata non proprio originale..), segue quindi l'intero (non) sviluppo della trama condita da qualche luogo comune su Napoli (esoterica, ma anche "città dei femminielli"...), da un certo "maltrattamento" dell'immagine della Polizia che indaga sull'omicidio (il poliziotto oggettivamente mostra un infatuazione per la protagonista arrivando persino a cederle atti riservati dell'indagine in corso..), il tutto tra una varietà di sospettabilissime figure femminili (il film è prettamente "femminile"....emerge comunque l'ottimo Peppe Barra in un ruolo cucito alla perfezione su di lui). Ma! Ma Ozpetek è comunque bravo a tenere lo spettatore (magari attento a non cedere alla sonnolenza stante la lentezza della trama e la totale assenza di vivacità sui visi dei protagonisti....eppure siamo a Napoli!!) inchiodato alla poltrona mentre elabora, nel buio della sala, teorie sulla identità dell'assassino/a, sul reale (e misterioso) movente di cotanto efferato delitto, e soprattutto in fiduciosa ed ansiosa attesa del "colpo ad effetto" finale che gli riveli la "verità": nulla di tutto ciò accade. Al centotredicesimo minuto il film finisce praticamente senza un finale lasciando gli spettatori sgomenti (qualcuno anche deluso ed arrabbiato...) ancora inchiodati sulle poltrone, ma stavolta a chiedersi quale sia stato il finale del film, chi sia stato a commettere il delitto (elemento portante dell'intera storia, non un dettaglio!), e temendo che si sia trattato solo di un opera incompiuta (anche se bella) e fine a sè stessa. Unica possibile "soluzione del caso" viene invece rinvenuta, dai palati cinematograficamente più raffinati, nello stesso titolo dell'opera, o meglio in quel "velata" che giustificherebbe, ma solo ai loro occhi, centotredici minuti di un buon film giallo privo però dell'essenziale elemento della rivelazione finale dell'identità del colpevole. Ovviamente inaccettabile questa come spiegazione che possa consentire di legittimare il bravo regista turco a girare un thriller poggiante su di un omicidio, ma "autoesentandosi" (per comodità, mancanza di idee, o forse è proprio questa l'idea furba che fa sì che del film si parli) dal girare un adeguato finale (nel caso di specie, mostrando colpevole e movente!).
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andrea alberini
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venerdì 5 gennaio 2018
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lusso e spettacolo ma senza poesia
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“Napoli velata”, ultimo film di Ozpetek, si presenta da subito come una sceneggiata napoletana, nel senso forse più profondo. Il dramma, il sangue, la passione e il mistero, incarnati dalla maschera antica di Peppe Barra che riempie lo schermo mentre pronuncia enigmi a commento del parto simulato di un bambino, in uno spettacolo-cerimonia officiato durante una festa, in un lussuoso appartamento storico della città di Partenope.
Il film quindi ha intenzioni forti e ambisce a descrivere l’animo ricco e complesso di questa grande città d’Europa attraverso una vicenda fortemente drammatica. L’artista ne avrebbe le possibilità e usa un po’ tutti i ferri del mestiere, per così dire. Mostra il volto lussureggiante degli ambienti barocchi, panorami tra i più belli del mondo, l’eleganza e grandiosità degli spazi moderni (e non molto di quelli più popolari, a dire il vero) ma quello che ottiene alla fine non sembra essere tanto di più di un buon effetto estetico.
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“Napoli velata”, ultimo film di Ozpetek, si presenta da subito come una sceneggiata napoletana, nel senso forse più profondo. Il dramma, il sangue, la passione e il mistero, incarnati dalla maschera antica di Peppe Barra che riempie lo schermo mentre pronuncia enigmi a commento del parto simulato di un bambino, in uno spettacolo-cerimonia officiato durante una festa, in un lussuoso appartamento storico della città di Partenope.
Il film quindi ha intenzioni forti e ambisce a descrivere l’animo ricco e complesso di questa grande città d’Europa attraverso una vicenda fortemente drammatica. L’artista ne avrebbe le possibilità e usa un po’ tutti i ferri del mestiere, per così dire. Mostra il volto lussureggiante degli ambienti barocchi, panorami tra i più belli del mondo, l’eleganza e grandiosità degli spazi moderni (e non molto di quelli più popolari, a dire il vero) ma quello che ottiene alla fine non sembra essere tanto di più di un buon effetto estetico.
Eppure si ritrovano i temi e le modalità espressive tipiche di Ozpetek, la coralità conviviale, il gusto del passato che ancora vive, sottotraccia, nel presente, l’attrazione verso il mistero che avvolge la vita delle persone e dei luoghi in cui vivono. Quello che manca, forse, è un nucleo forte nel racconto che ne guidi coerentemente lo svolgimento. La sceneggiatura vira abbastanza rapidamente al poliziesco-psicologico (come va di moda oggi) e nella seconda metà sembra non saper bene come procedere, trovando rifugio nei colpi di scena e nella viva umanità di Barra, quasi nume tutelare e marchio indiscutibile di napoletanità.
Inevitabile, per me, il richiamo a “La finestra di fronte”, per la storia d’amore, sofferta sempre da Giovanna Mezzogiorno, e i misteri del passato che pesano sul presente. Là quelli di Roma e qui quelli di Napoli. Ma purtroppo non si ha modo di ritrovare qualcosa all’altezza di quella autentica magia di allora, peraltro arricchita dalla indimenticabile “Gocce di memoria” di Giorgia.
Insomma Ozpetek sembra andare sul sicuro, stando in superficie, piuttosto che cercare di arrivare all'essenziale. E’ forse in sintonia coi tempi: è da un po’, mi sembra, che il cinema italiano abbia perso il contatto con la poesia. Molti film ben confezionati, magari graffianti o di protesta se non proprio estetizzanti, ma niente più. Diversamente dal cinema francese, sensibile anche negli episodi più politici e impegnati, o da quello nordico, sempre un po’ velato di misticismo (ad esempio il recente “Sami blood”, scarno ma di grande forza).
Bravissima e stupenda la Mezzogiorno (come fa a non invecchiare?), musiche indovinate, messinscena di lusso. Belli i nudi e le scene d’amore, anche se un po’ forzate. Piacevole.
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lunedì 8 gennaio 2018
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un film totalmente insulso deludente e volgare
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Sabato sera come ammiratrice da anni di Ozpetek, sono stata totalmente delusa. Il film, fatta salva una buona fotografia ed una regia che siamo abituati a conoscere e non ci rivela fortunatamente sorprese, e` una totale delusione. La storia e` inconsistente, slegata, inesistente. La recitazione e` vergognosa a parte i fantastici camei di Lina Sastri, Luisa Ranieri, Anna Bonaiuto e Beppe Barra, la Mezzogiorno e Borghi sono insulsi, insespressivi e devono ricorrere al porno per attirare qualche attenzione e scuotere lo spettatore dal torpore emotivo. I quadri estetici di una Napoli difficilmente riconoscibili sono molto simili a delle cartoline turistiche e poco paragonabili ai quadri meravigliosi ai quali Ozpetek ci aveva abituati (vedi la splendida Lecce di Mine Vaganti).
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Sabato sera come ammiratrice da anni di Ozpetek, sono stata totalmente delusa. Il film, fatta salva una buona fotografia ed una regia che siamo abituati a conoscere e non ci rivela fortunatamente sorprese, e` una totale delusione. La storia e` inconsistente, slegata, inesistente. La recitazione e` vergognosa a parte i fantastici camei di Lina Sastri, Luisa Ranieri, Anna Bonaiuto e Beppe Barra, la Mezzogiorno e Borghi sono insulsi, insespressivi e devono ricorrere al porno per attirare qualche attenzione e scuotere lo spettatore dal torpore emotivo. I quadri estetici di una Napoli difficilmente riconoscibili sono molto simili a delle cartoline turistiche e poco paragonabili ai quadri meravigliosi ai quali Ozpetek ci aveva abituati (vedi la splendida Lecce di Mine Vaganti). Sinceramente la scena iniziale di oltre 10 minuti di....un amplesso con dettagli esagerati e realmente pornografici e` totalmente inutile ed imbarazzante. Ai bravi registi basta poco, anche un`occhiata, una scena, una frase per far capire cosa sia successo fra 2 persone. Non occorre imitare Rocco Siffredi. Mi spiace che Ozpetek abbia perso totalmente la sua vena artistica e che cio` sia talmente evidente fino alla fine quando per cercare di salvare una trama totalmente impalpabile, ricorre al coup de scene hitchkokiano ma....anche questo...risulta ridicolo e fallimentare. Non lascia lo spettatore piacevolmene intrigato e affascinato ma soltanto innervosito per aver speso soldi per vedere Borghi e la Mezzogiorno che fanno sesso spinto in qualche bella location di Napoli. Mi spiace ma il film non e` niente di piu`. Risparmiate i vostri soldi. Non andate a vederlo.
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zim
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mercoledì 10 gennaio 2018
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simulacri e spostamenti
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Cosa spinge una distinta dottoressa in età ad accettare la perentoria ed esplicita proposta sessuale di un giovanotto tanto simpatico quanto sbrigativo e impertinente?
C'è uno sparo all'inizio, un nodo edipico non risolto, una fame insaziabile che sembra non fermarsi nemmeno con la misteriosa elisione del giovanotto che poi è ritrovato morto sul banco di lavoro della dottoressa, appunto come Edipo: senza occhi. Non basta, il suo fantasma si ripresenta nella persona di un fratello gemello altrettanto intraprendente e bello e lei la dottoressa non gli fa mancare nulla cibo vestiti e sesso. Spunta anche un prezioso reperto arcaico a forma d' occhio che sembra risarcire, uno per due, quelli persi e si intreccia nel destino disordinato di cabale familiari e tradizioni cittadine, napoletane, non sempre "oh sole mio" Ci vuole ordine e per fortuna c'è il poliziotto buono che non è mai In divisa ma recupera le foto degli scatti compromettenti della bella dottoressa, le svuota il frigorifero dall'eccesso di manicaretti andati a cattivo fine e mette nel sacco dell'immondizia i vestiti di troppo e le cravatte incellofanate mai usate dal fratello gemello che da simulacro del morto sta sempre fra i piedi, a torso nudo.
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Cosa spinge una distinta dottoressa in età ad accettare la perentoria ed esplicita proposta sessuale di un giovanotto tanto simpatico quanto sbrigativo e impertinente?
C'è uno sparo all'inizio, un nodo edipico non risolto, una fame insaziabile che sembra non fermarsi nemmeno con la misteriosa elisione del giovanotto che poi è ritrovato morto sul banco di lavoro della dottoressa, appunto come Edipo: senza occhi. Non basta, il suo fantasma si ripresenta nella persona di un fratello gemello altrettanto intraprendente e bello e lei la dottoressa non gli fa mancare nulla cibo vestiti e sesso. Spunta anche un prezioso reperto arcaico a forma d' occhio che sembra risarcire, uno per due, quelli persi e si intreccia nel destino disordinato di cabale familiari e tradizioni cittadine, napoletane, non sempre "oh sole mio" Ci vuole ordine e per fortuna c'è il poliziotto buono che non è mai In divisa ma recupera le foto degli scatti compromettenti della bella dottoressa, le svuota il frigorifero dall'eccesso di manicaretti andati a cattivo fine e mette nel sacco dell'immondizia i vestiti di troppo e le cravatte incellofanate mai usate dal fratello gemello che da simulacro del morto sta sempre fra i piedi, a torso nudo. Il buon poliziotto inoltre sembrerebbe suggerire per la gentilezza dei suoi modi, un insistente quanto onesto corteggiamento più vicino all'affetto familiare paterno che alla passione.
Può bastare? C'È da scegliere e prima ancora da capire. Non è facile, ne per la dottoressa che sta facendo i conti con una zia chiacchierona e la memoria scivolosa di una madre con la pistola e di un padre libertino, ne per noi. Sono stati citati tanti film di riferimento io mi permetto di aggiungerne uno: un chien andalou di Bunuel e D'Alì. La macchina da presa si muove agile. Accattivante l'uso dei flash-back. La tanto citata scena di sesso in realtà si mantiene nei limiti del bollino rosso televisivo, bravi tutti gli attori e naturalmente la regia che ha il merito di sperimentare evitando facili soluzioni e lasciando qualche domanda indiscreta: sarà stata lei a farlo fuori? ma no, non è così.
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maria patrizia maccotta
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sabato 13 gennaio 2018
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napoli velata o la trama dello sguardo
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Nell'ultimo film di Ozpetek affascina la trama dello sguardo. In psicanalisi lo sguardo, la vista, è il senso più celebrale, legato alla sfera della razionalità, dell'intelletto. Non a caso Edipo si acceca, quando vede le conseguenze delle sue azioni. La protagonista del film, Adriana, vede - da bambina - l'omicidio/suicidio della madre. I suoi occhi azzurri ingranditi sullo schermo ne assorbono tutto l'orrore. E' con gli sguardi che si tratteggia l'incontro con Andrea, grazie al quale lei, per la prima volta, si abbandona al mondo delle emozioni, delle sensazioni. E' l'occhio/lente - appartenuto a suo padre e consegnatole dalla zia - che risveglia in lei il ricordo del trauma rimosso.
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Nell'ultimo film di Ozpetek affascina la trama dello sguardo. In psicanalisi lo sguardo, la vista, è il senso più celebrale, legato alla sfera della razionalità, dell'intelletto. Non a caso Edipo si acceca, quando vede le conseguenze delle sue azioni. La protagonista del film, Adriana, vede - da bambina - l'omicidio/suicidio della madre. I suoi occhi azzurri ingranditi sullo schermo ne assorbono tutto l'orrore. E' con gli sguardi che si tratteggia l'incontro con Andrea, grazie al quale lei, per la prima volta, si abbandona al mondo delle emozioni, delle sensazioni. E' l'occhio/lente - appartenuto a suo padre e consegnatole dalla zia - che risveglia in lei il ricordo del trauma rimosso. E' con la vista che, nel suo delirio, la parte malata della mente della donna ricrea, inventa, il doppio di Andrea , incapace di rivivere un altro terribile lutto( il suo sguardo dovrà sopportare la vista del cadavere deturpato dell'uomo con il quale si era lasciata andare). In una via della sua Napoli, incontrerà un gruppo di cechi premonitori del suo rifiuto di accettare, vedere la realtà della sua parte malata. E alla fine della pellicola, lasciando cadere lei l'occhio gioiello ed inventandosi lei le parole della custode che attribuiscono la caduta dell'oggetto al passaggio di Luca ( mai esistito, fantasma della sua mente), Adriana ci farà capire che la parte malata della sua mente avrà il sopravvento sulla parte razionale, sana, e che l'amore concreto del commissario non riuscirà a guarirla, ad agganciarla al reale. Come Adriana, la città di Napoli possiede un aspetto di bellezza affascinante e un aspetto malato, deviato. Difficile è capirla, come difficile è capire il processo mentale della donna che il danno subito ha scisso per sempre.
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