Napoli velata |
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Un film di Ferzan Ozpetek.
Con Giovanna Mezzogiorno, Alessandro Borghi, Anna Bonaiuto, Peppe Barra.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 113 min.
- Italia 2017.
- Warner Bros Italia
uscita giovedì 28 dicembre 2017.
MYMONETRO
Napoli velata
valutazione media:
3,08
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Ozpetek non è Pontormo!di michelangelomonniFeedback: 110 | altri commenti e recensioni di michelangelomonni |
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giovedì 4 gennaio 2018 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
C’è un segreto e un dramma rimosso ma ancora drammaticamente presente nell’inconscio di Adriana, un’affascinante anatomo-patologa che, quasi per una sorta di espiazione di colpe non sue, “vive in mezzo ai morti”.
In una Napoli misteriosa e patinata, tratteggiata da una fotografia elegante, raffinata anche se un po’ fredda, da riti sincretici e teatrali (il film si apre con “la figliata dei femminielli” una rappresentazione antifrastica del parto di chi partorire non può), da una lingua spesso esibita anche nella scelta, forse un po’ artificiale, dell’allocutivo di cortesia “voi” utilizzato dalla protagonista con il poliziotto, dai dialoghi (nei quali spicca per alto tasso di “napoletanità” una quasi caricaturale Luisa Ranieri) nonché dal “coro” di personaggi che si muove intorno alla protagonista (altra costante del cinema di Ozpetek) in cui il corifeo è Peppe Barra (forse un po’ sottodimensionato) si dipana la vicenda dell’ennesima borghese inquieta (categoria assai cara a Ozpetek) che improvvisamente riscopre una sensualità lungamente repressa nel giovane aitante ed emblematico Andrea, barbaramente trucidato dopo la prima notte di sesso con la protagonista .
Le immagini dei corpi nudi che si muovono convulsi nell’amplesso, richiamano, assai scopertamente, quelle del mondo greco-romano e ci introducono nei segreti della vita dell’ucciso. Trafficante di opere d’arte, forse autore di una truffa che gli è costata la vita. Il richiamo a un losco mondo di affari clandestini è plasticamente evidenziato dalle due esperte d’arte: Lina Sastri e Isabella Ferrari, quasi due inquietanti parche, che fanno da sfondo macabro a tutta la storia.
Ma questa sorta di thriller ardirebbe anche a trasformarsi in un dramma psicologico. Come spesso accade nei film di Ozpetek, passato e presente si confondono e si fondono, i morti rivivono, verità e sogno si intersecano. Se fino a un certo punto Ozpetek riesce a mantenere un fragile equilibrio tra dramma e farsa, tra eleganza delle forme e leziosità, tra suspence e noia, forse grazie alla maestria di Giovanna Mezzogiorno, verso metà del film un certo meccanicismo, la volontà scoperta di stupire con uno straniamento poco adatto a una sceneggiatura che non decolla mai, cominciano a stancare anche lo spettatore più ben disposto.
Perché Ozpetek, ahimè, non è Pontormo e se in Rosso Istanbul, il suo manierismo poteva in qualche modo essere funzionale al dramma del protagonista (anche lui borghese, anche lui inquieto) qui sembra quasi che la povertà dell’ispirazione debba essere compensata dalla maniera, dal mestiere, dalla frase a effetto, dal dialetto, anche, dall’immagine patinata, dal dramma psicologico già sentito, già visto.
Tutto, allora, è maniera, ma una maniera che non lascia senza fiato come un quadro di Pontormo o di Rosso Fiorentino, una maniera più simile ai teatrini macabri delle cere di Gaetano Zumbo, orribili e grotteschi come alcuni dei personaggi della tombola alla casa di riposo per anziani transessuali che si vede in una scena, anche questa di maniera, del film.
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