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I tre moschettieri: fra 007, Indiana Jones e l'Uomo Ragno

Un grande spettacolo. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti


lunedì 17 ottobre 2011 - Focus

I tre moschettieri di Paul W.S. Anderson è un grande spettacolo. C’entra poco con la matrice del libro di Dumas, ma qualcosa c’entra. Prima sequenza: siamo a Venezia (!?), un armigero è in piedi sui gradini che scendono al canale. L’acqua si muove, emerge un uomo mascherato, ha due faretre meccaniche sulle spalle dalle quali escono le frecce che trafiggono l’armigero. L’arciere-sub è Athos, il moschettiere. Il cinefilo non potrà non ricordare il Bond di “Goldfinger” che usciva in muta dall’acqua, eliminava il cattivo, toglieva la muta con sotto lo smoking bianco già pronto, entrava nel casinò. Seguono “aeronavi” –il termine è di Richelieu- che scendono dal cielo, armi da fantascienza nel seicento, una Milady che balza fra i balconi della reggia come l’uomo ragno, un lord Buckingham che sembra Jack Sparrow.
Un purista, al quale stesse a cuore la sacralità dell’originale, rimarrebbe senza ossigeno dopo i primi cinque minuti di film. I tre moschettieri è una di quelle opere che il cinema riprende continuamente. Comanda l’edizione di 1948, di Sidney, con Gene Kelly che faceva d’Artagnan. Capolavoro da cinque stelle, allora come adesso. Poi ci sono state le solite riproposte “decennali”. Negli anni Settanta, quando tutto era in discussione e magari capovolto, Richard Lester fece di Milady un’eroina moderna e simpatica, e di d’Artagnan quasi un idiota. Negli anni Novanta ci furono i tre moschettieri secondo Walt Disney: sembrava una buona idea di marketing. Quel titolo, è dunque perfetto per i ricorsi. Ci sono indubbie possibilità cinematografiche, c’è il successo trasversale, il richiamo mnemonico, soprattutto c’è sostanza. Il cinema “ricorre” spesso. Ci sono titoli eroici in quel senso. Sappiamo: romanzi come "I miserabili", "Il grande Gatsby", "Cime tempestose", e poi gli “Sherlock Holmes” e i “Christie”. Shakespeare è il leader imbattibile, fra Giuliette e Amleti, vedendosi collocare, nelle riedizioni, fra Asburgo, nazisti e Los Angeles. E poi eroi di letteratura (ultra)popolare come Zorro e Tarzan. Tutta roba comoda, riferimenti opportuni e favorevoli, in un momento, ormai lungo, di mancanza di creatività e di ispirazione della narrativa, sullo schermo o sulla carta. Poi naturalmente il cineasta adatterà i contenuti secondo l’epoca e il mercato. Adesso è il momento della fantasy, degli effetti speciali, del computer, del paradosso storico. Ed è il momento, per dirla con una sola voce, di Jack Sparrow.

Cultura
Alexandre Dumas, padre, pubblicò I tre moschettieri nel 1844. Trattasi di opera fondamentale della letteratura e della cultura generale. La definizione più semplice sarebbe “capostipite dell’avventura moderna”, in realtà c’è molto di più. C’è un secolo. Basta una lettura dei caratteri dei quattro inseparabili, eroici “tutti per uno, uno per tutti”: Athos, conte di La Fère, romantico disperato, tragica vittima della moglie “milady”, si è fatto moschettiere per affrancarsi; Portos, vero nome Du Vallon, anima semplice, gigante buono e vanitoso; Aramis, cavaliere d’Herblai, complesso, mistico, spretato, seduttore tormentato di nobildonne; d’Artagnan, guascone arrogante e talentoso, provinciale ambizioso da cuore oltre tutti gli ostacoli. I quattro caratteri rappresentavano l’istanza sentimentale e culturale di quel secolo, la parola è romanticismo. La letteratura aveva dato quell’indicazione con un romanzo cardine, una cinquantina di anni prima, il “Werther” di Goethe, modello dolente e mortale, ancora astratto, rinchiuso nei dolori d’amore di un giovane smarrito. Ma Dumas ci mise azione e racconto. Ci sono duelli e intrighi, amori, tradimenti, gioielli che possono scatenare guerre, veleni che cambiano destini, con un re, una regina, un cardinale, una nazione al centro della vera storia del mondo. In uno stile e in una drammaturgia che mandavano eredità e segnali buoni per i secoli successivi. Un’opera che allora cambiò tutto. Evolvendo, anzi contrastando, lo spirito illuminista dettato da un altro grande romanzo, del Settecento, inglese, il Robinson Crusoe di Daniel Defoe. Robinson, solo su un’isola deve, come si dice, aguzzare l’ingegno, reinventare il fuoco, le armi per cacciare, farsi una capanna e una fogna, costruirsi un sociale “individuale”, rapportarsi con se stesso per non impazzire. Un altare per pregare, servirà a poco. La ragione, l’illuminismo, appunto. “Robinson" e “I moschettieri” così diversi, opposti, furono i romanzi di maggiore successo delle due epoche. La “fiction” dettava le regole e, come ho detto, i sentimenti. D’Artagnan e gli altri dunque non erano solo cappa, spada e melo, ma un’opera con codici eterni. E ripropongo il lemma “cultura”, alta. Sapendo anche essere letteratura popolare. Ed è un’altra medaglia.

Licenze
Il regista Anderson, al di là delle licenze e contaminazioni persino grottesche, ha tuttavia rispettato Dumas almeno in una fase, importante. I segmenti romantici che ho detto sopra, che fanno parte della personalità degli eroi e dell’identità di quell’epoca, emergono. I “quattro” non risparmiano tempo e dialettica per trasmettere caratteri, ma anche debolezze e nevrosi, fra un bicchiere e un duello. Mediando con una buona cifra ironica. Dunque meritano una citazione gli sceneggiatori: Andrew Davis e Alex Litvak. Poi si può dibattere all’infinito sulla “sacralità”, come ho detto sopra. Ma il cinema è notorio, può permettersi tutto. Una delle sue opzioni fondamentali, forse la prima, è lo spettacolo. Così concludo come ho cominciato. Lo spettacolo c’è.

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