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Horror Frames: Camp Hope, cinema horror e religione

Il fondamentalismo religioso affrontato dall'esordiente VanBuskirk.
di Rudy Salvagnini

In foto Will Denton, protagonista di Camp Hope dell'esordiente VanBuskirk.
Will Denton - Acquario. Interpreta Tommy Leary nel film di George VanBuskirk Camp Hope.

martedì 20 settembre 2011 - Approfondimenti

Il cinema horror ha spesso inserito al centro delle sue trame tematiche religiose o che hanno a che fare con la religione. Il filone esorcistico è quello che viene subito in mente in questo senso, con la rappresentazione diretta degli effetti della possessione demoniaca che, da L'esorcista in poi, sono stati esibiti in decine di film. Ultimi esempi, nella passata stagione cinematografica, L'ultimo esorcismo e Il rito, ma altri ne verranno dato che il diavolo nelle sue varie forme resta un personaggio funzionale al racconto horror, in quanto classica personificazione del Male, quello con la 'm' maiuscola. Il genere esorcistico, pur con tutte le sue varianti, solitamente mette di fronte il Bene, rappresentato da esponenti delle istituzioni religiose, contro il Male soprannaturale. C’è quindi una contrapposizione netta, con un rispetto dei ruoli che in qualche misura rassicura. C’è il Male, ma il Bene e i suoi rappresentanti sono in grado di combatterlo. La stessa contrapposizione tra Bene e Male è stata un elemento fondamentale anche in molti film horror antecedenti il filone esorcistico, come quelli sui vampiri, dove i simboli religiosi giocano un ruolo fondamentale. La croce usata dall’inarrivabile Van Helsing di Peter Cushing nei film di Terence Fisher (Dracula il vampiro e Le spose di Dracula) per combattere il diabolico conte Dracula o qualche altro succedaneo è rimasta nell’immaginario collettivo degli spettatori cinematografici. Lo stesso Fisher avrebbe poi (Dracula principe delle tenebre) elevato a principale oppositore di Dracula un esponente dell'istituzione religiosa, un energico frate. L'horror, però, ha affrontato tematiche religiose anche in modo più iconoclasta, con film come La casa del peccato mortale di Pete Walker, dove sono i guasti di una religiosità deviata a essere al centro degli eventi e non ci sono né il soprannaturale né il Bene a contrastarli con efficacia. In questo caso, l'istituzione religiosa viene percepita come una forza repressiva, in un contesto cupo e senza speranza. L'horror ha anche esplorato le conseguenze del paganesimo in versione moderna (con un capolavoro come The Wicker Man di Robin Hardy) e quelle del presunto ritorno del Messia (con un film più curioso che riuscito, The Visitation - L’ultimo Messia).

Camp Hope e il fondamentalismo religioso
In questo affollato contesto, si inserisce il recente Camp Hope dell’esordiente George VanBuskirk, che affronta il tema del fondamentalismo religioso.
Il giovane Tommy Leary è stato allevato secondo stretti principi cristiani dai genitori Michael e Patricia, devoti osservanti e adepti di una comunità religiosa. Lo aspettano due settimane nel campo estivo della comunità, Camp Hope. A guidarlo sarà Padre Phineas che però, prima di andarci, visita in un ospedale psichiatrico il giovane e turbato Daniel, che lo accusa di aver sempre fallito nella sua missione e lo maledice per non essere stato in grado di aiutarlo. L’impatto dei giovani con il campo non è incoraggiante. Christian, il consigliere spirituale, detta le regole: niente musica rock, niente strumenti musicali, niente telefonini, divieto assoluto di lasciare il campo e via discorrendo (e vietando). Jack, il più ribelle tra i giovani, ha con sé il numero 9 di Spawn e Christian glielo strappa senza pietà. Il tempo trascorre tra preghiere e canti spirituali, sotto la guida ferma e convinta di Padre Phineas che spinge tutti a combattere la guerra contro la carne, contro il diavolo. Ma qualcosa cova sotto tanta buona volontà e Tommy ha strane visioni e degli incubi nei quali compare una creatura mostruosa.

Stereotipato, schematico ma in fondo sincero
La descrizione del fondamentalismo cristiano non trascura nessuno dei luoghi comuni e il tratteggio dei personaggi clericali e di supporto è più tendente alla caricatura di quanto dovrebbe. Se VanBuskirk voleva, come pare, spezzare una lancia contro gli eccessi del bigottismo avrebbe dovuto evitare eccessive semplificazioni. Anche il confronto con altri eccessi - quelli dei giovani aggressivi e spiritati nel bosco - ricade in schematismi sin troppo banali. Il turbamento e le pulsioni del protagonista - fotografato in un momento cruciale della propria crescita, con tutti i dubbi e i problemi che uscire dall'adolescenza comporta - sono però dipinti con toni di sincerità. Il desiderio di trovare una spiegazione alla vita e alla morte emerge fortemente ed è reso evidente come non possa avere risposte adeguate da un atteggiamento formulaico e poco flessibile. Il classico contrasto tra la richiesta di estrema morigeratezza e il prepotente emergere della sessualità è cruciale, ma è purtroppo rappresentato in modo ovvio e poco convincente.

Tra horror e romanzo di formazione
Il film sembra suggerire che l'insistenza sul concetto di peccato e di colpa indebolisca la forza psicologica delle persone più sensibili e rafforzi il demonio - vero o presunto - nei loro confronti. È un punto di vista non troppo motivato, ma di qualche originalità e consente al film di concludersi con un quarto d’ora di sturm und drang che tenta di riscattare l’eccessivo understatement sin lì dispiegato. Il ritmo letargico del film sfugge alle convenzioni del genere e difatti Camp Hope è un horror sui generis. Pur disseminando il racconto di qualche rara suggestione inquietante, trascorre buona parte del suo metraggio in un'atmosfera da romanzo di formazione. Sino a un certo punto sembra che l’obiettivo del film sia rappresentare l’innocenza dell'amore post-adolescenziale in contrapposizione agli obblighi della morale e della religione. Dopo la consumazione, però, tutto si confonde e ciò che accade sembra contraddire l’assunto: presenze demoniache, incubi collettivi e profanazioni blasfeme piombano sul campo. Ma la deriva horror poco si combina con lo psicologismo precedente e il risultato finale è sconnesso ed estremamente diseguale, lasciando la via aperta a ogni interpretazione anche e soprattutto a quella che non è successo, in fondo, niente di niente e tutto è dipeso dalla deriva dell’immaginazione. Dopo tanta semplificazione nella rappresentazione, il film, in un colpo di coda per sfuggire ai propri schematismi cerca tardivamente la complessità attraverso l’ambiguità, ma il risultato resta poco incisivo.

Giovani e veterani, un cast impegnato
Non male il cast. Bruce Davison, veterano di mille battaglie (chi se lo ricorda come protagonista di un vecchio classico del cinema ribellistico degli anni '70, Fragole e sangue?), è molto bravo nel caricare di carisma il personaggio del prete, ma i dialoghi che recita sono poco ispirati. Un altro veterano, Andrew McCarthy (Weekend con il morto è forse il suo film più noto), si ritaglia un piccolo ruolo, quello del religioso e indignato papà del protagonista. Jesse Eisenberg - emerso con The Social Network nel ruolo di Mark Zuckerberg - compare qualche minuto all’inizio nella parte del giovane disturbato. Valentina de Angelis è spontanea e vivace nel ruolo dell’interesse sentimentale di Tommy, interpretato con attonita adesione da Will Denton.

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