Il Pantani della televisione, ora protagonista della Nuova squadra, non resiste al brivido della velocità: « È una febbre inspiegabile che riesco a sfogare solo in gara. Una terapia che consiglio a tutti i deficienti che scambiano la Tiburtina per Monza»
Pantani fa i trecento. La dannata passione di Rolando Ravello, protagonista della «Nuova squadra», di RaiTre, è la velocità. Correre: non in bici, come il Pirata che ha in terpretato, ma a motore. Roba che fa molto Steve McQueen, però a Hollywood Il fatto è che il mite Ravello non sembrerebbe proprio il tipo da vita spericolata: « È un controsenso, infatti: non c'entra niente col mio stile di vita e coi miei valori morali, completamente opposti. Ma non posso farci niente: è una malattia, una febbre. Le auto e le moto mi è sempre piaciuto comprarle non per possederle o esibirle, ma proprio per andacce a tirà. In pista, sia chiaro, non in strada».
Quando le è presa questa mania?
«A 13 anni rubavo l'auto di mio padre, una Mini, per andare a correre dappertutto, anche sul ghiaccio».
Cominciamo bene.
«Sennò prendevo il motorino e andavo anche per campi: inchiodavo e volavo via, solo per vedere l'effetto che fa».
E che effetto faceva? «Boh».
Suo padre era contento? «Non mi ha mai scoperto: sto facendo outing adesso. Ho fatto qualche stupidaggine da ragazzino, come tanti, ma ho rimesso la testa a posto in fretta. Non ho mai fatto danni seri, per fortuna. Giusto qualche ammaccatura alla Uno. Solo crescendo ti rendi conto dei rischi che hai corso. Sono stato un p& deficiente, è vero, ma, ripeto, è durata poco».
Pensi quando sua figlia Sofia, fra quattro anni, le chiederà la mini-car.
«Neanche per sogno. Quelle sono trappole pericolosissime».
Quando ha alzato il piede dall'acceleratore?
«Da ragazzo, quando, una sera, ho visto uno che faceva il fenomeno, giù per la strada che scende da Porto Santo Stefano, fare un botto pauroso proprio davanti a me. Capisco la tentazione di correre, l'emozione che si prova. Ma ho capito anche subito che quel mostro che qualcuno si porta dentro bisogna liberarlo in pista. A me ha aiutato tanto. Lo consiglio a tutti quei deficienti che scambiano la Tiburtina per un circuito».
Quando ha iniziato a gareggiare?
«Verso i 24 anni, sui go-kart. Molto divertente, anche se la guida è tutta diversa. Ancora oggi ci vado ogni volta che posso».
Poi?
«Poi sono passato alle gare monomarca: Alfa Boxer, Mazda U5... Ne ho fatte una ventina. Pur andando a correre poco, riesco a fare i tempi dei professionisti».
Son soddisfazioni.
«Quando senti l'auto che in curva comincia ad andarsene e lì o tieni giù il pedale o lo alzi: quando sei ad un pelo dall'uscire di pista, vedi quanto fegato hai. Non mi capisce, eh?».
Il brivido...
«Mi sono anche buttato col paracadute da quattromila metri a Cervia, insieme a Valerio Mastandrea, Marco Giallini e Massimiliano Francioso. Avevamo uno spettacolo la sera e facemmo questa fuga di nascosto».
Ha mai avuto paura?
«Me la sono fatta sotto in mongolfiera».
Pure quella.
«Pare innocua, ma quando c'è vento prendi certi colpi per atterrare dentro quella cesta...».
Mai provato con un bravo analista?
«Sicuramente avrei speso meno».
Riesce anche a vincere qualche gara?
«Ogni tanto. Alla Sei ore di Vallelunga due anni fa, in equipaggio con D'Alatri, il regista, e Patrizio Rispo, quello di Un posto al sole, siamo arrivati terzi. Un bel risultato. Ricordo con piacere due vittorie: una al Motorshow di Bologna su una Mx5 e poi la prima sul kart a Formigine. Un'emozione indimenticabile per uno come me, molto timido, solitario, uno che vola sempre molto basso: non riuscivo a crederci. È stato come dare una spallata ad un portone».
Qual è il mezzo più veloce sul quale ha messo le terga?
«Ho avuto molte motociclette potenti. L'Honda Cbr 1100xx faceva più dei 300».
Un missile.
«Bellissima, ma inutile: dove ci vai? Non l'ho più, infatti. Basta moto».
Auto?
«Un Honda Civic. Vorrei un'Audi. Macchine vivaci, non bolidi. Non ho il pallino della Ferrari».
Si può sfogare sul set.
«Ma nella Squadra con la moto facciamo solo arrivi e partenze. Per ora non abbiamo girato inseguimenti e comunque penso che li farebbero fare ad uno stuntman: se ci facciamo male noi attori rischiamo di bloccare tutta la produzione. Mi accontento di fare le scazzottate: sono cintura marrone di ju jitsu».
Fa teatro d'autore, ma in realtà vorrebbe fare 007.
«Magari. Mi piacciono le scene d'azione. Ma anche per interpretare Pantani mi sono preparato un anno intero pedalando. Sarebbe bello fare un film sul mondo delle corse, ma se il genere non ha mai avuto un gran successo un motivo ci sarà: l'odore della benzina o il rombo dei motori sono sensazioni che non si possono riprodurre su uno schermo. Sembra tutto finto».
La velocità l'appassiona anche da spettatore?
«Non guardo la Formula Uno in tv perché mi annoia: ormai la gara si decide ai box. Meglio le Granturismo, dove si menano come orchi. Mi piacciono la Motogp e la Superbike: sono un grande tifoso di Valentino e Biaggi».
Il suo sogno proibito da pilota? «Una gara internazionale importante. Magari la 24 ore di Le Mans. Ma tutto il mio tempo libero ora lo dedico a mia figlia. Ho anche provato a portarla qualche volta sui circuiti, ma si annoia».
Meno male.
«Ho fatto la figura del deficiente in quest'intervista, vero?».
Da Il Venerdì di Repubblica, 25 aprile 2008