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Rivedendo Il vangelo secondo Matteo di Pasolini

A Gesù hanno dato corpo e volto decine di attori. In estrema sintesi la memoria rimanda le prestazioni di alcuni dei divi maggiori gestiti da registi accreditati.
di Pino Farinotti

Enrique Irazoqui 5 luglio 1944, Barcellona (Spagna) - 16 Settembre 2020, Barcellona (Spagna). Interpreta Cristo nel film di Pier Paolo Pasolini Il vangelo secondo Matteo.
sabato 19 settembre 2020 - News

La morte di Enrique Irazoqui non può non evocare il suo Gesù nel Vangelo secondo Matteo di Pierpaolo Pasolini. Non c'è dubbio che quel giovane spagnolo, che non aveva mai fatto l'attore, faccia parte di una precisa memoria del cinema. La sua intensità, favorita anche da Enrico Maria Salerno che lo doppiava, è possibile che derivasse dalla sua cultura e da una certa applicazione. Enrique aveva allora, nel 1964, vent'anni, ma già possedeva un background preciso, il segnale di un destino. Ben al di là del cinema. In famiglia respirava aria di trasgressione, di ribellione, di opposizione al regime di Franco e il ragazzo si era già iscritto a movimenti antagonisti comunisti, era appassionato e attivo. Si trovava Firenze, leader di un gruppo di studenti antifranchisti per raccogliere fondi per la causa e fu lì che conobbe la Morante e Pasolini che ne colse le qualità e la passione. In seguito continuò con la sua lotta con le conseguenze relative in un paese governato da una dittatura. Conobbe l'arresto e la prigione. Nel frattempo aveva ottenuto due lauree, in Economia a Parigi e in letteratura spagnola a New York.

Sì, Enrique non era solo "Gesù" ma quella performance lo pose come modello fermo nella storia, e certo presenta registri molto diversi dagli altri che hanno dato corpo e volto al messia.
Pino Farinotti

A Gesù hanno dato corpo e volto decine di attori. In estrema sintesi la memoria rimanda le prestazioni di alcuni dei divi maggiori gestiti da registi accreditati. Ne Il re dei re (1961) firmato da Nicholas Ray, il protagonista era Jeffrey Hunter, considerato allora l'uomo più bello del mondo. Forse Gesù non lo era, ma al cinema serve appeal. La più grande storia mai raccontata (1965) presenta nomi di eccellenza, il regista George Stevens e l'attore Max von Sydow, forse troppo legato all'estetica di Bergman che al messia in Palestina. Scorsese ha detto la sua nel trasgressivo L'Ultima tentazione di Cristo, col dolente Willem Dafoe, credibile.

Suggestivo, ultra-trasgressivo e... divertente è stato Ted Neeley in Jesus Christ Superstar (1973) diretto da Norman Jewison. Il cattolico Franco Zeffirelli, assunse lo scrittore britannico, protestante, Anthony Burgess per la stesura del suo Gesù di Nazareth del 1977 e scelse Robert Powell che si rivelò modello perfetto rispetto all'iconografia tramandata dalla tradizione. Mel Gibson ha rappresentato Gesù secondo la sua attitudine allo choc e alla violenza nella Passione di Cristo (2004) dove Jim Caviezel, trasfigurato dalla tortura, si fa certo ricordare. Da ricordare anche 7 km da Gerusalemme (2007) di Claudio Malaponti, con un Alessandro Etrusco, meno popolare dei colleghi citati, che è comunque un'istantanea che contende a Powell l'immagine del Gesù rappresentato dalla tradizione.

Un dato: Pasolini e Gibson raccontarono il loro Gesù nello stesso scenario, i Sassi di Matera. Ma non esiste un filo, seppure sottilissimo, che connetta le due opere. Il film, naturalmente sollevò dibattito, forte. Produco la scheda che fa parte del dizionario "Farinotti": <Vangelo secondo Matteo dal momento dell'Annunciazione alla Resurrezione di Gesù. Le tappe della vita di Gesù Cristo sono ripercorse senza variazioni nella storia, né cambiamenti anche testuali rispetto alla versione di san Matteo. Il Vangelo di Pasolini non intendeva mettere in discussione dogmatismi o miti, quanto far emergere l'idea della morte, uno dei temi fondamentali della sua poetica. Come negli altri film, il regista si affida a un linguaggio sonoro ricercato per didascalizzare alcune delle vicende più significative. Ecco dunque la Passione secondo Matteo di Bach e soprattutto La musica funebre massonica di Mozart - che accompagna tutta la passione di Gesù - a suggellare la propria immagine della morte: un evento necessario, per niente eroico e soprattutto ineluttabile. Il Vangelo, come quello di Matteo, disegna una figura di Cristo più umana che divina, un uomo con moltissimi tratti di dolcezza e mitezza, che però reagisce con rabbia all'ipocrisia e alla falsità. Si tratta di un Cristo motivato dalla volontà di redenzione per coloro che subiscono le conseguenze dell'istituzionalizzazione della religione operata dai farisei che ne hanno fatto uno strumento di dominio politico e sociale. È un Cristo rivoluzionario che è venuto a portare la spada piuttosto che la pace. Il film fu apprezzato dai cattolici: l'«Osservatore romano» scrisse che si trattava di un film «fedele al racconto non all'ispirazione del Vangelo». La critica di sinistra, attraverso l'Unità, si espresse in questi termini: «...il nostro cineasta ha soltanto composto il più bel film su Cristo che sia stato fatto finora, e probabilmente il più sincero che egli potesse concepire. Di entrambe le cose gli va dato obiettivamente, ma non entusiasticamente atto >>

Il francese George Sadoul, fonte autorevole, fu una voce "diversa". "Il film è ibrido e insoddisfacente per la sua visione generale, mescolanza di marxismo e cattolicesimo interpretati in modo del tutto "pasoliniano". Ho rivisto il film dopo tanti anni. Alla scheda sopra aggiungerei un concetto che non avevo inserito e che, in prospettiva sì è proposto con evidenza. Trattasi di un'autobiografia del regista dove Irazoqui diventa l'alter ego di Pasolini che offrì ruoli ad alcuni suoi amici letterati: Natalia Ginsburg (Maria di Betania), Alfonso Gatto (Andrea), Enzo Siciliano (Simone), Rodolfo Wilcock (Caifa). Fra gli altri. Maria, la mamma anziana di Gesù è Susanna, mamma di Pasolini. Ferma restando la qualità, alta, dell'opera.


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