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Il prigioniero coreano: le due Coree spiegate da un pescatore, uno del popolo

Kim Ki-duk si serve dell'odissea del povero Nam Chul-woo per ritrarre con drammatica lucidità le divergenze tra i due sistemi, nella cultura, nelle ideologie, nella vita quotidiana. Dal 12 aprile al cinema.
di Pino Farinotti

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Ryoo Seung-Bum . Interpreta Nam Chul-woo nel film di Kim Ki-Duk Il prigioniero coreano.
sabato 7 aprile 2018 - Focus

La Corea del Nord e quella del Sud possono essere intese come un simbolo delle differenze fra l'occidente e il comunismo. Trattasi di mondi diversi, opposti. È notorio. Una sintesi generalizzata, senza tanti racconti e analisi, può stare nelle immagini del fotografo Jacob Laukaitis, che mette a confronto alcune istantanee della vita nei due Paesi: uno scenario corale di gente che sta bene in un camping a fronte di uno schieramento di persone sull'attenti davanti all'icona del leader Kim Jong-un; un parcheggio della Corea del Sud senza un posto libero, e quello del Nord con una sola macchina; un ambiente di studenti del Sud rilassati e allegri e quello del Nord dove tutti sono immobili e schierati. E poi due stazioni, una dinamica e luccicante, l'altra tetra con gente che sembra rassegnata. La radice di queste differenze ha una data precisa, il 25 giugno del 1950, quando truppe nordcoreane attraversarono il 38° parallelo e invasero la Corea del Sud. L'Onu reagì, gli Usa si assunsero la responsabilità maggiore e il generale MacArthur accorse in aiuto del Sud. Dopo vicende alterne venne ristabilito il vecchio confine e i due Paesi divennero, di fatto, protettorati degli Usa e della Russia e della Cina. Da allora, i modi di vita furono... relativi. Nei decenni le evoluzioni portarono alle immagini, e all' identità, descritte sopra. La variabile di questa epoca è, appunto, Kim Jong-un, il cosiddetto signore della guerra, con la sua politica, i suoi azzardi, il suo modo di gestire il potere e il popolo. Sappiamo.

A rappresentare tutto questo arriva un film, Il prigioniero coreano (guarda la video recensione), di Kim Ki-duk. Non è raro che il cinema, attraverso una piccola parabola, riesca ad essere più efficace e chiaro di tanti documenti, servizi, approfondimenti, della carta e della televisione.
Pino Farinotti

La vicenda di Nam Chul-woo, un povero pescatore nordcoreano, spiega le due Coree con lucidità drammatica, nella cultura, nelle ideologie, nella vita quotidiana. Al di là delle apparenze e della propaganda. Accade che il motore della sua barca vada in panne e Nam si trovi ad attraversare, senza volerlo, il fatidico 38° parallelo. Subito catturato, viene accusato di spionaggio. Si difende disperatamente ma non gli credono. La cultura del sospetto è troppo radicata. Viene affidato al solito binomio, il poliziotto buono e quello cattivo. Non mancano le torture, sottili, senza sangue: viene costretto a scrivere, poi a riscrivere, poi ancora. Il responsabile dell'indagine intende percorrere l'altra strada. Il pescatore ha la "fortuna" di essere in un Paese democratico, di essersi salvato da quella dittatura opprimente. Dunque va accolto ed educato. Ma Nam non ne vuole sapere, vuole tornare al Nord, dove ha famiglia.


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In foto una scena del film Il prigioniero coreano.
In foto una scena del film Il prigioniero coreano.
In foto una scena del film Il prigioniero coreano.

Lasciato libero nel centro di Seul, in un quartiere che sembra la Fifth Avenue, tiene gli occhi chiusi per non vedere. Ma poi li apre, ed ecco l'opulenza occidentale: supermercati ipertrofici, vetrine sfavillanti, gente felice, giovani entusiasti, macchine di lusso. Ma non è tutto oro, incrocia una prostituta picchiata a sangue dal protettore, ascolta la sua storia. Al suo accompagnatore, quello "buono" fa le sue domande e considerazioni. "A casa mia non ho subito il lavaggio del cervello, prima di venire qui non avevo nessun problema". Sulla prostituta: "Si mette in vendita per soldi, perché umiliarsi in un paese così ricco?" E ancora "Qui c'è abbondanza, la gente è allegra, tutti hanno il telefonino, ma non voglio restare, la mia famiglia è più importante di tutte queste cose".

Lo lasciano tornare. Al Nord viene accolto come un eroe, colui che ha disprezzato l'occidente, ma è solo facciata da vendere al popolo, viene rinchiuso, interrogato e torturato, questa volta con crudeltà. Lo credono una spia dell'altra parte.
Pino Farinotti

È bastato che accettasse il regalo di un orsacchiotto di peluche per sua figlia, per accusarlo di debolezza e tradimento. Spiato ora per ora, senza lavoro, con la famiglia, senza sopravvivenza, sale sulla sua barca per tornare a pescare. Le guardie gli intimano di non farlo. "La barca è l'unica cosa che ho, ci ho messo dieci anni a comprarla". Accende il motore, fa pochi metri, gli sparano.

Kim Ki-duk è nato al Sud, ma la sua vita, all'inizio non è stata facile. Per sostenere se stesso e la famiglia, giovanissimo, fa l'operaio e il marinaio, ma il talento preme. Sa dipingere, riesce a raggiungere Parigi, sa anche scrivere, così gli si presenta l'occasione di sceneggiare, poi di dirigere, piccole cose. Che poi... diventeranno grandi. Sempre da una prospettiva sua personale, mai convenzionale, che applica anche al suo Paese. Il cliché universale "al Sud tutti sereni ricchi e democratici, al Nord tutti poveri, schiavi e indottrinati" gli appartiene solo in parte. Il Sud che racconta non sembra felice e non sembra "libero". Un'indicazione, un sospetto può persino riportare alle primavere arabe, al tentativo di democratizzazione di gente che non ne aveva né la voglia né la storia. Certo, nella Corea bassa si sta meglio che in quella alta, non c'è dubbio, ma poi, non è tutto oro... La visione critica e dolorosa del mondo fa parte della vocazione di Kim Ki-duk, che è un grande autore, una voce che va ascoltata. Siamo stati noi a valorizzarlo attribuendogli riconoscimenti importanti: il Leone d'argento a Venezia nel 2003 con Ferro 3, e il Leone d'oro, nel 2012 con Pietà. È un maestro di parabole, come questa, dove le Coree vengono spiegate da un pescatore, uno del popolo.


IL PRIGIONIERO COREANO: RECENSIONE

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