In attesa della cerimonia di premiazione della 66. Berlinale, scopriamo gli autori che hanno già vinto un premio e le probabilità che hanno di vincere l'Orso d'Oro stasera.
di Gabriele Niola
Tra i nomi maggiori del Festival di Berlino ci sono una decina di registi che in carriera già hanno vinto premi importanti, sono quelli più attesi e seguiti, i più originali e meno conformisti.
Con molti degli autori di quest'anno la Berlinale ha un rapporto speciale ed esclusivo, altri invece sono alla loro prima volta. Neanche a dirlo ce ne sono circa una decina, tra i più titolati, a cui guardiamo con speranza per la conquista dell'Orso d'Oro.
Per quanto un festival si misuri sulla capacità di attirare il meglio del nuovo, su quanto sia in grado di scovare i nuovi autori, le nuove tendenze o anche solo le nuove zone del mondo in cui fiorisce il cinema più stimolante, è anche il luogo in cui i nomi più grandi del mondo presentano le loro nuove opere.
Fresco fresco di polemica per la mancata nomination di artisti di colore agli ultimi Oscar (è il secondo anno di fila) e determinato a boicottare la serata, Spike Lee porta a Berlino un film particolare. Pensato sulla struttura della "Lisistrata" di Aristofane ma anche messo in scena come un musical, Chi-raq ha l'ambizione di unire satira sociale a commento politico utilizzando la leggerezza e la forza della commedia.
Vincitore di Orizzonti nel 2006 con il suo documentario When the levees broke: a requiem in four acts, Spike Lee aveva già vinto a Berlino una menzione speciale nel 1996 con Bus - in viaggio e quest'anno è stato insignito dall'Academy dell'Oscar alla carriera.
C'è ancora una famiglia in un film di Vinterberg, anche se non è composta da consanguinei. La comune racconta dell'esperimento di una comune negli anni '70, uomini e donne che cominciano a vivere insieme. Cosa li possa tenere uniti e cosa li divida è il centro della trama: cosa ci voglia per essere come una famiglia.
Nel 1998 il talento di Vinterberg veniva contemporaneamente scoperto e sancito con il Premio della Giuria a Cannes per Festen.
Grande amico e ospite quasi fisso della Berlinale, Téchiné porta quest'anno un film che racconta cosa comporti crescere in ambienti sociali diversi. Being 17 è la storia di due ragazzi, di estrazioni e culture diverse continuamente in conflitto tra di loro, che però gli eventi costringeranno a dover vivere sotto lo stesso tetto.
Nel 1985 André Téchiné vinceva il premio per il miglior regista a Cannes grazie al suo Rendez-Vous.
Di nuovo una commedia per i fratelli Coen, una storia di scemi sballottati dagli eventi del mondo. Stavolta l'ambientazione è hollywoodiana, un ritorno alle trame che hanno a che vedere con filmmaker e produttori: una trama criminale si inserisce nella vita di attori e attrici completamente cretini.
Tra i cineasti più importanti del mondo i Coen contano tre Oscar per Non è un paese per vecchi (miglior film, miglior regia e miglior sceneggiatura) e uno per Fargo (miglior sceneggiatura). Hanno una palma d'oro al loro attivo per Barton Fink e sempre a Cannes sono stati premiati con la palma alla regia per Fargo e L'uomo che non c'era, nonchè con il Gran premio della giuria per A proposito di Davis. Nel 1998 portarono Il grande Lebowski alla Berlinale ma non vinsero nulla.
Dal Quebec arriva un film che sembra poter vivere nella filmografia di Michael Haneke. Un uomo e una donna di successo, sposati ma distanti sono costretti a cambiare vita dalla depressione di lei e dall'arrivo di uno sconosciuto che pone a lui inquietanti domande nella notte. Tra metafora e realtà Cotè ambisce a recarsi in quella zona dell'inconscio in cui le aspirazioni confinano con la paura.
Pardo d'Argento nel 2008 a Locarno per Elle veut le chaos e premio per la miglior regia sempre a Locarno nel 2010 per Curling, Denis Coté è stato uno dei primi scampoli del nuovo cinema franco-canadese ad arrivare in Europa.
La coppia di autori più indecifrabile del cinema francese sembra voler prendere di petto il rapporto padre-figlio e la dimensione più semplice della vita in un film che racconta di un viaggio enologico. Un viticoltore e suo figlio (appassionato di vino ma non del lavoro che serve a produrlo) girano con un tassista per i vigneti francesi, formando in tre un curioso ensemble. Come sempre per la coppia di cineasti è meglio entrare in sala pronti ad essere sorpresi.
Ci sono voluti 5 film per giungere al primo riconoscimento europeo, nel 2012 Delepine e Kervern sbancano il Certain Regard a Cannes con Le grand soir, mentre solo tre anni prima vincevano il premio speciale della giuria al Sundance con Louise Michel.
Forse il più grande documentarista al mondo, di certo uno dei più attivi e inarrestabili. Con una produttività inarrivabile Gibney ha formato un suo stile narrativo unico e semplice, che sa unire ad un rigore espressivo inesorabile. Stavolta il regista ha puntato il suo obiettivo sul più inafferrabile degli oggetti: il virus per computer Stuxnet, codificato dal governo americano e quello israeliano al fine di sabotare il programma nucleare iraniano ma che ha finito per causare molti più danni ai suoi stessi autori.
Il nome di Gibney è diventato definitivamente noto a tutti, anche fuori dal reame dei documentari, quando nel 2008 ha vinto l'Oscar raccontando il lato più duro dei sistemi di tortura e detenzione dell'esercito americano in Afghanistan in Taxi to the dark side.
È di certo il regista che a Berlino porta l'opera più lunga, circa 8 ore di ricostruzione storica ambientata nelle Filippine. Nel raccontare il passato del suo paese, questo regista che sembra fagocitare il minutaggio, si propone di cercare una dimensione superiore che il bianco e nero possa cogliere. Andres Bonifacio, padre della rivoluzione filippina, è presente nella forma di un cadavere che la moglie cerca nel bosco mentre il governatore spagnolo cerca di giostrare le diverse fazioni in lotta.
Con Melancholia nel 2008 Lav Diaz si impose all'attenzione del mondo vincendo Orizzonti a Venezia, il pardo d'oro nel 2014 per Mula sa kung ano ang noon, ne ha solo che confermato il talento.
Il documentarista italiano sta sul confine della sperimentazione tra osservazione della realtà e contaminazione con la finzione. Ha lavorato sui luoghi e chi li abita, sulle sottoculture e le tribù che sono tali anche quando non sanno di esserlo. Ora porta a Berlino Fuocoammare, in cui Lampedusa è il teatro di immense atrocità ma nella quale un ragazzo sembra lo stesso poter essere distante da tutto.
Sacro GRA, l'opera più importante e imponente di Gianfranco Rosi, è stata insignita del Leone d'Oro direttamente da Bernardo Bertolucci a Venezia nel 2013.