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Il Farinotti 2016 raggiunge la sua ventesima edizione

Le novità del dizionario di tutti i film: giudizi aggiornati, oltre 500 titoli nuovi, quasi 2.700 pagine.
di Pino Farinotti

Tom Cruise (Thomas Cruise Mapother IV) (62 anni) 3 luglio 1962, Syracuse (New York - USA) - Cancro. Interpreta Ethan Hunt nel film di Christopher McQuarrie Mission: Impossible - Rogue Nation.

giovedì 17 dicembre 2015 - News

In occasione della ventesima edizione, Il FARINOTTI non è stato semplicemente aggiornato, ma è stato anche ampiamente rivisto. Perché? Per aggiornare il giudizio su titoli che oggi sono stati rivalutati come di culto, pur non apparendo come folgorazioni ai tempi dell'uscita; per ridimensionare l'eco di popolarità di quei film che invece non hanno più spettatori. E, soprattutto, perché un giudizio che intenda coniugare il rigore del critico e la preferenza del pubblico è necessariamente soggetto a revisioni e mutamenti di prospettiva. Questo cerca di fare da vent'anni con passione e attenzione il FARINOTTI: oltre 35.000 titoli (tutti quelli distribuiti in Italia), quasi 2.700 pagine, costantemente aggiornato grazie alla collaborazione con il sito MYmovies.it. Un dizionario che spazia su tutte le epoche e tutti i generi, e che non manca di sottolineare la rinascita del cinema italiano, dimostrata dalla candidatura di ben tre registi (Garrone, Moretti e Sorrentino) all'ultimo Festival di Cannes. Questa edizione è aggiornata con le schede di tutti i film presentati alla 72ª Mostra del Cinema di Venezia.

Momenti e istantanee: ciò che (mi) è rimasto come memoria della stagione. Focus. Il "Farinotti" presenta oltre 500 nuovi titoli. Le produzioni ci sono state. Tuttavia non abbiamo attribuito neppure un "cinquestelle". Nessun capolavoro. Rilevata una serie di documentari di qualità. Forse è il segnale migliore che identifica la stagione.
Il focus sui grandi premi: Cannes ci ha ignorato. Dico che lo temevo, soprattutto quando ho visto la nostra triade Moretti-Sorrentino-Garrone presentarsi alle Prime e alle conferenze sventolando bandiera, muscoli, marketing e applausometri. Come è vero che quando escono pronostici dal conclave quei nomi sono sistematicamente bruciati, i nostri cineasti dovevano restare sottotono, confondersi con altri partecipanti. Quando ho visto sui giornali quella loro foto, insieme, trionfanti, ho capito che per loro non c'erano speranze. I francesi sono suscettibili su certe cose. Infatti hanno, abbondantemente, premiato se stessi. È significativa, in questo senso, la dichiarazione, quella sì giustamente trionfale, del primo ministro Valls: "il cinema francese splende a Cannes e nel mondo". Questo non significa che la "francesità" premiata sia migliore dell'italianità. Anche se nessuno dei nostri titoli era da Palma d'oro. Il "racconto" di Garrone è un compito bene eseguito, un'anomalia estetica di cui mi sfugge la funzione, sempre che il cinema debba avere un funzione. La "madre" di Moretti è qualcosa di già visto e senza potenza, molto lontano dalla "stanza" che raccolse, meritatamente, la Palma d'oro. Poi c'è il titolo della grande speranza. Youth - La giovinezza è stato al centro del cinema. È un film di qualità, non c'è dubbio. Premesso che Sorrentino è un talento superdotato, dell'estetica, dell'immagine e della fantasia: spero che in futuro aggiusti la sua cifra e che il suo nome, nel tempo lungo, possa entrare nel cartello dove spiccano quelli dei Fellini, De Sica, Visconti, Rossellini eccetera.

Mostra di Venezia: l'aggettivo che ispira, edulcorato, è "perplessità". Ed è emersa la scelta dei capi che si erano impegnati e magari logorati in una difficile e confusa ricerca di identità. Venezia doveva smarcarsi dall'Oscar, guardato dall'alto quasi con disprezzo, e dalla Palma d'oro che dà un colpo all'arte e un colpo al mercato. Così è stata organizzata una mostra solo per cinefili e (super) addetti. Nuovi autori e nuove vie da percorrere. Insomma: ricerca. E distacco totale dal grande pubblico, e anche da quello... meno grande. L'identità del "Farinotti" è "dalla parte del pubblico", dunque non possiamo essere contenti. Vedere quei Leoni che passavano fra le mani di gente sconosciuta salvo rare eccezioni - come quella della nostra Valeria Golino - suscitava, appunto, perplessità. O magari tristezza.

Focus: gli applausi. È bene chiarire questo aspetto. Le cronache riportano: dieci minuti di applausi, quindici minuti di applausi. Non vale. Semplicemente perché gli applausi vanni divisi. Alla fine del film si applaude, è normale, ma poi in sala sono presenti: il regista, il produttore, magari lo sceneggiatore e poi gli attori, magari molti. L'applauso riguarda tutti, perché i "cineasti", finita la proiezione, si alzano dalle loro poltroncine, si rivolgono al pubblico e... non sarebbe educato non applaudirli. Quest'anno non c'erano film che meritassero, di luce propria, tutti quei minuti.
La premiazione, lenta e zoppicante è stata la sintesi della mostra generale. I responsabili Barbera e Baratta erano quasi immobili, insicuri, cercavano le parole più adatte. Red carpet: spingere nella confezione nomi popolari come Depp e Vasco era un assurdo concettuale ed estetico, ma necessario. È servito solo a rimarcare distanza e diversità. Il Palazzo del cinema di Venezia ospitava aristocrazie con la puzzetta sotto il naso. La gente che paga il biglietto e permette al cinema di esistere è stata chiusa fuori.
Proprio non va. Provvedere.

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