Il dono della sintesi.
di Roy Menarini
Che cosa è Il cinema in movimento? Una rubrica dedicata alle trasformazioni del cinema nell'epoca dei new media e alle riflessioni che si possono trarre dalle novità in atto.
Se le immagini di sintesi ci sembrano la vera realtà di oggi, il dono della sintesi si candida a diventare la soluzione a tutti i problemi. I blockbuster durano sempre di più, e veleggiano verso le tre ore, mentre i video (e il cinema) fatti in casa si frantumano fino a diventare subliminali. Era inevitabile che l'epoca degli sms e di Twitter contagiasse anche le forme espressive audiovisive. E Vine, l'applicazione per smartphone, consente di realizzare e condividere brevi video loop di soli 6 secondi. David Lynch è stato uno dei primi a sperimentarlo, postando poi anche su Youtube il suo Another Mystery: il bello è che in pochi secondi ci sono numerose e riconoscibili figure lynchane, dalla luce intermittente alla passione per l'elettricità, dalla gradazione indistinta dell'immagine al rumore di una radio che non trova la stazione su cui sintonizzarsi.
Come a dire che anche in pochi secondi la creatività fluisce. Nel caso di Lynch è difficile capire se il fascino deriva dai vuoti che noi spettatori riempiamo, mettendo in collegamento il video loop con i suoi film. In altri casi, sarà interessante vedere se questa sorta di Twitter delle immagini in movimento potrà sortire risultati artistici e mediali di riferimento universale.
Questo ci riporta nuovamente al tema della durata dei prodotti. Il cinema, in questo inevitabilmente conservatore, mantiene uno standard del lungometraggio che oscilla, salvo rari e conclamati casi, tra i 90 e i 150 minuti. Segno dell'avvenuta nobilitazione dello spettacolo cinematografico. Anche se molti commentatori continuano a pensare ai multiplex come a luoghi di istupidimento di massa frequentati da ragazzacci urlanti, in verità il sistema delle sale e dei film da distribuzione internazionale ha via via rafforzato un'idea molto stabile e tradizionalista di intrattenimento e spettacolo, attraverso cioè un consolidamento culturale del sistema-lungometraggio, anche per difenderlo dai sempre più aggressivi prodotti brevi multimediali (web series, corti online, serie tv su televisore, streaming, download o VOD, e così via).
Detto questo, bisogna chiedersi se questa direzione sia davvero quella giusta. La forbice tra grandi produzioni e piccole realizzazione si sta allargando, il prodotto medio è ormai del tutto metabolizzato dalla televisione, e la multiprogrammazione sta suggerendo - attraverso documentari, concerti, balletti e altro - che la flessibilità di durata è un approdo vicino. Perché non cominciare a immaginare film con tutti i crismi da 50-60 minuti? O da 5 ore, magari con pausa e coffee break offerto da esercente e distributore? Perché non pensare a biglietti di differente costo non solo a seconda della fascia oraria e della presenza o meno del 3D, ma a seconda della taglia di prodotto? Siamo sicuri che l'industria cinematografica - che nel corso degli anni ha cambiato tutto, dal muto al sonoro, dalle sale al 3D, dalla pellicola al digitale - non debba mai, proprio mai mutare la tipologia dell'oggetto che vende? In fondo, i tempi della vita quotidiana e le forme ritmiche che viviamo nella società sono mutate spesso e vorticosamente. Possibile che il tempo di fruizione previsto dal film (le canoniche due ore) non sia mai cambiato dagli anni Venti a oggi?
Intanto, esempi come Vine continueranno a proliferare e, siamo sicuri, sono destinati a lasciare il segno.