Viene in mente quella celebre pubblicità, la facciata di un palazzo dal quale esce un tizio arruffato mentre decine di donne alle finestre sbattono le persiane urlando «Egoiste!». Nel nostro caso griderebbero «Presuntuoso!». Una Politica degli Autori dedicata a Martin Scorsese?! Suvvia. Parafrasando De Gaulle, vasto programma. E quindi stringiamo il campo. Parliamo solo del Marty documentarista. Del resto l'uscita in sala di George Harrison: Living in the Material World ben si presta. Una appassionante cavalcata attraverso vita e opere del Beatle scomparso nel 2001, corredata da testimonianze di primissima mano, alcune delle quali prestano il fianco a momenti di ipotetico crossroads, perché vedi Tom Petty e pensi che pure su di lui il regista di Taxi Driver voleva fare un film. Scorsese ha il rock nel sangue, non è una novità. Basta ascoltare le sue colonne sonore, dagli Stones in giù (Jumping Jack Flash così significativa in Mean Streets). Il film della conclamazione è L'ultimo valzer (1978) sull'addio alle scene della mitica The Band, combo di musicisti spesso con Bob Dylan e guidati da Robbie Robertson, in seguito produttore di alcune soundtrack del nostro (Toro scatenato, Casinò). Sempre a proposito di intersezioni... Nasce un metodo, anzi due. Da una parte le riprese complesse dell'evento-concerto, secondo una tipologia di montaggio che Scorsese ha imparato "in fasce" come aiuto montatore e assistente alla regia di Woodstock – Tre giorni di pace amore e musica (1970). Dall'altra interviste e testimonianze ai protagonisti di allora, tra i quali mostri sacri come Van Morrison, Neil Young e per essere bipartisan Ronnie Wood (Stones) e Ringo Starr (Beatles), che peraltro suonano assieme da amiconi. Così anche in futuro, privilegiando in certi casi il lavoro di ricerca archivistica e il confronto "campo controcampo" (è il caso di No Direction Home – Bob Dylan, 2005) oppure la forma-concerto di Shine a Light (2008) con i Rolling Stones. In verità i due metodi sono destinati a contaminarsi. Nel film sulle Pietre ci sono tra una canzone e l'altra sosprendenti inserti storici, come Jagger ragazzino che prevede di andare avanti con la band «almeno un altro anno» (e gli pare già tanto!) o il monumentale Keith Richards che alla domanda «meglio tu o Wood come chitarrista?» risponde «nessuno dei due è un granché, ma insieme valiamo per dieci».

A riprova che lo Scorsese dei rockumentary è cosa diversa rispetto all'autore di cinema a soggetto citiamo il diverso montatore. La collaboratrice di una vita Thelma Schoonmaker quando tocca ai docu lascia il posto a David Tedeschi, uno specialista che ad esempio in No Direction Home fa miracoli (per girare il film Scorsese non ha MAI incontrato Dylan!). E che anche in George Harrison: Living in the Material World dimostra un'eccezionale capacità di... sintesi. Il resto è una macchina da guerra cinematografica in cui la figura del regista coincide con quella del direttore d'orchestra. In Shine a Light la cosa è lampante: Marty in cabina con i suoi cursori, Bob Richardson (fotografia) come primo violino e poi ben 20 operatori disseminati nel Beacon Theatre di New York dove si svolge il concerto (su due serate).

Poi ci sono i progetti iniziati e mai finiti o passati ad altri. Ad esempio: Scorsese e Richardson lavorarono alacremente con le loro troupe sugli show di Bruce Springsteen al Madison Square Garden (17/10/2007) e al Giants Stadium (27-31/07/2008) durante il Magic Tour: per farne cosa? Sono invece definitivamente tramontate le ipotesi di due film di montaggio e ricerca su Bob Marley (annunciato dallo stesso cineasta al festival di Berlino nel 2008, presentando Shine a Light) e su Jimi Hendrix, del quale aveva però curato una specie di compilation musicale all'epoca del suo progetto televisivo The Blues, di cui aveva diretto l'episodio Feel Like Goin' Home dedicato al Delta.