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Mezzo secolo fa: La dolce vita

Una rassegna al Museo di Roma sull'età d'oro di Cinecittà.
di Pino Farinotti

L'età d'oro di Cinecittà
Anita Ekberg (Kerstin Anita Marianne Ekberg) 29 settembre 1931, Malmö (Svezia) - 11 Gennaio 2015, Roma (Italia). Interpreta Sylvia nel film di Federico Fellini La dolce vita.

lunedì 7 giugno 2010 - Focus

L'età d'oro di Cinecittà
Il Museo di Roma ricorda La dolce vita di Fellini in una rassegna che porta lo stesso titolo. Verranno presentati, film prodotti a Cinecittà nei suoi anni d'oro. Passeranno opere come Ben Hur e Il Gattopardo. Questi suoni, oggi, fanno male al cuore. Era il 1960 quando La dolce vita uscì nelle sale. Dopo difficile gestazione. Il regista aveva davvero troppo rimescolato nel suo contenitore, riportando il degrado di tutto, dai nobili, alle tribù, al popolo, al cinema, alla chiesa, all' "intelligenza". Era prevedibile un'eco scandalosa, ma l'eco fu molto di più.

Spartiacque
Quel 1960. Può certo essere considerato un anno spartiacque, un anno "romano". Per cominciare la grande Olimpiade, l'immane "gioco" insieme a Cinecittà, allora molto importante nel mondo. Davvero si produce l'eccellenza, per qualità e denaro. La politica è, come sempre, disordinata. A un governo monocolore DC, ma sostenuto da monarchici e neofascisti, ne segue uno (Fanfani), che ottiene l'appoggio dei socialisti. Cose italiane conosciute. In libreria arrivano due ... neo-classici, chiamiamoli così, La noia di Moravia e La ragazza di Bube di Cassola. Il primo racconta l'alienazione dell'individuo che non avverte più niente di vitale e praticabile, il secondo è un racconto di Resistenza: erano passati quindici anni dalla fine della guerra, cominciava ad esserci una prospettiva sufficiente.

Realismo
Nel cinema venivamo dalla stagione del realismo, genere eroico riconosciuto dovunque che si era evoluto nella nostra famosa Commedia, quella dei Soliti ignoti, e poi in titoli come La grande guerra e Il generale della Rovere, Leoni d'oro a Venezia.
Il '60 è una grande stagione. È l'anno di Psyco (Hitchcock), L'appartamento (Wilder, premio Oscar), Spartacus (Kubrick), Rocco e i suoi fratelli (Visconti). Infine Godard: col suo allarmante, diverso, Fino all'ultimo respiro, dà il là a quella che sarà la Nouvelle vague. Titoli storici, spina dorsale.

Contesto
L a dolce vita arriva in questo contesto. Gli autori sono, oltre allo stesso Fellini, Pinelli e Brunello Rondi, sceneggiatori puri, e Flaiano, scrittore tout court. Tutte garanzie di qualità e di invenzione. Si racconta la vicenda di Marcello, giornalista pigro che sta scrivendo un romanzo che non finirà mai, e si muove nei vari ambienti romani che trovano un collettore generale nella via Veneto di allora. C'è la mistica, con un'immane effige di Gesù che sorvola la città eterna imbragato a un elicottero e con la diva che visita San Pietro vestita da prete. C'è l'apparizione della madonna nel paesino, che subito innesca il marketing relativo; c'è l'intellettuale, mite e sereno, dispensatore di consigli perfetti, che poi uccide se stesso e i suoi bambini; c'è il night dove si parla di Roma, delle sue lobbie mentre canta il ventenne Celentano; ci sono orge promiscue, i personaggi parlano molte lingue, come accadeva a Roma; e poi Marcello che porta in giro Anita e si bagna con lei nella fontana di Trevi in quella storica sequenza estetica e "tattile", che può da sola raccontare l'abbandono, il cedimento da stanchezza, perché davvero non c'è più niente da perseguire e in cui sperare. E poi la ragazzina alla fine, che sarebbe la purezza, sulla spiaggia all'alba, che Marcello ha conosciuto e non riconosce. E quel pesce inverosimile, morto sulla sabbia, che sarebbe tutto ciò che di mostruoso incombe su di noi. Seguì uno scandalo che naturalmente giovò al film, ma soprattutto gli giovò la straordinaria qualità.
Dopo La strada, Il bidone e Le notti di Cabiria (il primo e il terzo premi Oscar), storie intense ma "autoctone" il regista era naturalmente artista accreditato in assoluto, ma con La dolce vita strutturò un "polittico" che sarebbe diventato un titolo d'arte generale, e divenne l'autore forse più "prezioso" del mondo. Successivamente mantenne tutte le promesse assunte coi film che sappiamo. La dolce vita non era il film del boom economico italiano, era il quadro, estetico, sentimentale e culturale, e trasversale che cercava di porre l'attenzione di tutti quanti su ciò che eravamo. Attraverso il sortilegio impietoso ed esclusivo di un autore che la fortuna aveva attribuito a noi.

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