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Cell, la critica di Stephen King alla civiltà dello smartphone

Tod Williams traspone l'apocalittico ritratto che l'autore del Maine fa della crescente dipendenza da cellulari, rappresentata e narrata come un virus rabbioso e spersonalizzante. Al cinema.
di Roy Menarini

Cell

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In foto John Cusack e Samuel L. Jackson, protagonisti di Cell di Tod Williams. Al cinema.
domenica 17 luglio 2016 - Focus

Ci sono almeno due temi che emergono vedendo Cell di Tod Williams: la lunga diatriba sui film tratti da Stephen King e la critica alla civiltà degli smartphone. Cominciamo dal primo, forse il più caro ai fan dello scrittore americano. La vulgata afferma che sia difficile trarre buoni film dai romanzi di King, il che è senz'altro vero, anche se bisognerebbe mitigare le affermazioni troppo perentorie ricordandosi di pellicole come Shining, La metà oscura, Misery non deve morire, Carrie, The Mist, Stand By Me, La zona morta - solo per citarne rapidamente alcuni - e che davvero non paiono pochi in relazione alla pur ricca filmografia di riferimento.

Qualcuno afferma che spesso si tratta di vere e proprie "reinvenzioni" di registi di qualità (come Stanley Kubrick, George A. Romero, David Cronenberg ecc.), e che quindi vanno annoverate a parte. Ma chi lo ha detto che per misurare il successo di una trasposizione si debba partire da quelle più letterali e scolastiche? Forse i registi di cui sopra, invece che ignorare King, ne hanno tratto materiale meno superficiale e più profondo di quanto non si creda.
Roy Menarini

E anzi, film più pigri - come Cell - rischiano di non accontentare appassionati e specialisti proprio perché subiscono la pressione della trama e lavorano poco su ciò che di meno sondabile si trova nei testi kinghiani - che poi questo errore lo compia spesso lo stesso autore del Maine in sede di sceneggiatura è solo uno dei paradossi cui il cinema ci ha da sempre abituati.


SCOPRI IL FILM: CELL
John Cusack, Samuel L. Jackson e Isabelle Fuhrman.
Samuel L. Jackson.
John Cusack.

Quando uscì il romanzo omonimo nel 2006, molti trovarono tempestivo l'apocalittico ritratto di King sulla crescente dipendenza da cellulari, rappresentata e narrata come un virus rabbioso e spersonalizzante. Già nel libro si percepiva qualche eco da L'invasione degli ultracorpi, inteso sia come film di Don Siegel sia come romanzo di Jack Finney. La versione cinematografica non disdegna questa pista, e anzi rappresenta le vittime del contagio con la bocca spalancata e stravolti da espressioni ferine come in una (e non la peggiore) delle tante versioni della storia, ovvero Terrore dallo spazio profondo di Philip Kaufman.

Tuttavia gli anni sono passati, e da allora la nostra inter-relazione con gli smartphone è tale che - secondo i sociologi dei media - è persino difficile affermare che essi siano qualcosa di meccanico, virtuale e poco autentico, in opposizione a qualcosa di umano, vero e reale. Questi strumenti sono ormai nostre estensioni, e - curiosamente - oggi sarebbe più interessante mostrarci supini agli schermi tattili, ricurvi e mezzi ciechi sulla tastiera, piuttosto che soggiogati da chiamate telefoniche e dunque spossessati di noi stessi da un ripetitore di segnale.
Roy Menarini

D'altra parte il cinema del sottogenere virale non ha molte varianti, e si fa fatica a distinguere le casistiche specifiche di Cell rispetto ai film con gli zombi, o 28 giorni dopo rispetto a Contagion e così via. Si tratta di sfumature stilistiche, di metodi di racconto, di capacità evocativa, di stimoli del presente. In tutti questi film - anche per risparmiare sul budget dei costosi set urbani - i personaggi passano moltissimo tempo in strade di campagna, boschi irti di pericoli, percorsi sterrati, cascine abbandonate e così via. Al di là delle concause produttive, questo cinema è dunque sempre legato al viaggio, alla ricerca dei famigliari, di casa, di cibo, e così via. Viene da pensare che - oltre all'ovvio brivido di immaginarci sconnessi da tutto e in battaglia per la vita - il genere virale sia il racconto nomade per eccellenza, indipendentemente dalla letteratura di Stephen King e dai telefonini nelle nostre tasche.


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