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Il fantasma dell'attore

Philip Seymour Hoffman, La spia - A Most Wanted Man e il cinema postumo.
di Roy Menarini

In foto l'attore Philip Seymour Hoffman in una scena del film.
Philip Seymour Hoffman 23 luglio 1967, Fairport (New York - USA) - 2 Febbraio 2014, New York City (New York - USA). Interpreta Günther Bachmann nel film di Anton Corbijn La Spia - A Most Wanted Man.

domenica 2 novembre 2014 - Approfondimenti

Qualcuno pensa che, all'epoca del digitale, il cinema non consenta più di immortalare la realtà e dunque farsi testimone chimico della vita degli attori. Eppure, la rivoluzione secondo la quale avremmo presto assistito a film con attori esclusivamente sintetici è di là da venire, e abbiamo anzi la sensazione che il corpo dell'attore sia più necessario di prima, come dimostra la tecnica del motion capture, legata fisicamente ai movimenti dell'interprete. È ancora vero che il cinema è "la morte al lavoro sugli attori", come diceva Cocteau? O che ogni film è un documentario sull'attore che ne fa parte, come suggeriva Godard?
Difficile sottrarsi al fascino del cinema come "diario del corpo" di fronte a La spia - A Most Wanted Man e all'interpretazione superlativa di Philip Seymour Hoffman (alle prese, nella versione originale, con un formidabile accento tedesco studiato appositamente per il suo personaggio). Non solo, come è stato notato, la sua uscita di scena mesta e disillusa sembra annunciare quel che per noi è già accaduto, ma l'intera storia racconta di un uomo al contempo ambizioso e perduto, vicino al centro degli avvenimenti ma sempre troppo disassato per conquistare il proscenio.
Ovvio, di fronte ai tragici avvenimenti reali, farsi prendere dalla commozione, o dalla sensazione visionaria di scorgere sullo schermo segnali e tracce del lutto imminente. Proprio di Philip Seymour Hoffman incontreremo poi versioni doppelganger, con l'aiuto del digitale, in Hunger Games - Il canto della rivolta, ma rimane il fatto che l'aspetto riproduttivo, di duplicazione della vita, promesso dal cinema allo spettatore, rimane tuttora insuperato. Pensiamo anche a James Gandolfini, che in Non dico altro mette in scena un personaggio di una tale fragilità, di una così gentile inadeguatezza, da far pensare a un suo dolce addio, e all'unico ruolo possibile dopo I Soprano - e deve ancora uscire The Drop, film ancora più postumo.
E, notizia di questi giorni, talvolta rischiamo di non vedere proprio i canti del cigno degli attori prematuramente scomparsi, come Robin Williams, attore in un paio di pellicole ancora senza distribuzione e certo di essere ammirato solo in Una notte al museo 3.
Insomma, il cinema è ancora cronaca del tempo, e non è un caso che un grande progetto come Boyhood sia stato concepito proprio negli anni Duemila, dal 2002 al 2014. Raccontare una storia per dodici anni realizzandola un po' alla volta lungo tutto il periodo narrato: una fiducia nella macchina da presa come registrazione della biografia e della biologia, che diventa biografia e biologia della nazione, nei suoi aspetti più privati, provinciali e molecolari. La spia - A Most Wanted Man e Boyhood raccontano insomma di un cinema che, pur cambiando vorticosamente a causa dell'impatto tecnologico sulle sue pratiche, appare tuttora agli occhi dello spettatore un luogo di negoziazione del vero e dell'autentico.

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