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Una madre

Il caso Kerenes come modello di cinema d'autore.
di Roy Menarini

In foto una scena del film.
Luminita Gheorghiu (74 anni) 1 settembre 1949, Bucarest (Romania) - Vergine. Interpreta Cornelia Kerenes nel film di Cãlin Peter Netzer Il caso Kerenes.

domenica 16 giugno 2013 - Approfondimenti

Si stanno moltiplicando le cosiddette "bloody mamas" nel cinema contemporaneo, basti pensare a casi diversi come la madre spietata di Animal Kingdom e quella vendicativa e iraconda di Solo Dio perdona. La mamma di Il caso Kerenes, meritato Orso d'Oro all'ultimo festival di Berlino, non giunge a uccidere o a ordinare esecuzioni ma merita in ogni caso di entrare nella galleria delle recenti genitrici tragiche.
La differenza rispetto ad altre, come quelle citate, è offerta dal contesto di assoluto realismo e di straordinaria autenticità individuate dal regista Calin Netzer e dalla formidabile Luminita Gheorghiu, attrice dalla gamma espressiva amplissima, che abbiamo imparato a conoscere nel cinema rumeno e in particolare nei capolavori di Cristian Mungiu. La credibilità della figura, oltre che all'accuratezza delle movenze e degli abiti, deve molto alla precisione quasi chirurgica attraverso la quale Netzer osserva la società contemporanea. Capace di farsi europeo prima ancora che tipicamente rumeno, il film spiega la corruzione endemica dei rapporti di classe nell'epoca post-dittatoriale, ed esemplifica non tanto la pervicacia di una madre nel salvare un figlio colpevole e impedirgli di pagare il doveroso fio, quanto la facilità che trova nel mettere in atto tutte le piccole scorrettezze, infamie, sotterfugi e dichiarazioni mendaci allo scopo di ottenere la protezione del primogenito.
Ed è qui che interviene il cinema. Spesso, e a torto, opere come Il caso Kerenes vengono considerate dai critici e da alcuni spettatori come poco attraenti, centripete, troppo dialogate e in buona sostanza come meri esercizi di scrittura piuttosto che di regia. Tutto il contrario: Netzer lavora in maniera semplicemente magistrale sugli spazi dell'inquadratura, sui luoghi rappresentati e sulla riconoscibilità immediata delle classi sociali attraverso le tipizzazioni umane (e bisognerà una volta per tutte sottolineare che la nuova onda del cinema rumeno si costruisce proprio a partire dalla galleria umana e geografica che mette in scena). Dal punto di vista della scrittura, poi, utilizza riconoscibili meccanismi di suspense, grazie ai quali la più banale, ancorché tragica, disgrazia quotidiana mette in moto un processo di tensioni reciproche attraverso cui, hitchcockianamente, siamo chiamati a identificarci proprio nelle figure meno gloriose, come appunto la madre protagonista. Un esempio simile, e probabilmente non sconosciuto a Netzer, è naturalmente Una separazione, ma allora potremmo anche dire il contrario, cioè che a sua volta Farhadi si è forse abbeverato al cinema rumeno di Mungiu, Puiu o Porumboiu, e alla sua capacità di analizzare istituzioni sociali e giuridiche, persino burocratiche, alla stregua di vere e proprie leggi morali.
Insomma, in questo cinema che narra casi qualsiasi, che mette in scena la dissoluzione dei valori civici e umani nel privato, laddove si può piegare il pubblico a nostro vantaggio, si cela in verità un progetto poetico di ampio respiro, che non ha un nome (né Dogma né neo-neorealismo né altro) ma che conforta sullo stato del cinema d'autore internazionale, dato per morto da molti commentatori superficiali.

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