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Confessioni di menti pericolose

Microcosmi del malessere in Confessions.
di Roy Menarini

In foto un'immagine del film Confessions.

domenica 12 maggio 2013 - Approfondimenti

Il primo sentimento nei confronti del film di Tetsuya Nakashima è l'invidia, declinata in diverse direzioni. Invidia, senza dubbio, per il talento del regista, che si conferma purissimo dopo alcune prove destinate ad essere apprezzate soprattutto dai cultori del cinema nipponico. Invidia verso la salute di questa stessa cinematografia, che dopo un periodo di appannamento, sembra stia ritrovando - nell'immediato pre e post-Fukushima - una dolorosa quanto ardita capacità di ricerca. Ma l'invidia più acuta si nasconde nel paragone impossibile con il cinema italiano. Qui non ci sono scuse: Confessions non è un'opera che possa considerarsi inimitabile per motivi di budget o per dimensione tecnica. Molto più semplicemente, Confessions è un film "impensabile" (nel senso di non concepibile nemmeno nell'anticamera del cervello di un produttore) per la nostra cinematografia.
Il rilievo che qui proponiamo non va considerato un puro escamotage polemico. Serve, anzi, a scontornare l'elemento più disarmante del film di Nakashima, ovvero la rappresentazione del malessere e della disperazione nei confronti delle istituzioni e della società. Sebbene il thriller percorra vie destinate a sconvolgere gli spettatori per ben altri motivi che non l'analisi sociale, qui si potrebbe invece riflettere proprio su questo aspetto - il più irrappresentabile da noi. Come se si trattasse di una leggenda folclorica da focolare (la maestra che si vendicò dei suoi allievi), il racconto apocalittico - con le radici ben piantate nella contemporaneità giapponese - trova la sua forza proprio nel ricorso a un contesto riconoscibile, quale quello della scuola e del rapporto con i media. Il totale collasso giovanile descritto da Confessions, insieme con le insufficienze degli adulti e la violenza dei vinti (desiderosi di vendetta), fa davvero impressione a uno spettatore occidentale. Il quale, tuttavia, sbaglierebbe a considerare questa storia come tipica di un paese lontano, in preda a una seria crisi generazionale. Anzi, faremmo bene a non considerare esotico o alieno questo malessere, e a non crederci impermeabili. Bullismo e follia non sono forse al centro delle cronache delle vecchia Europa, in maniera non tanto differente da quel Giappone, dilaniato nei suoi gangli istituzionali più profondi, descritto da Nakashima?
Ciò non significa che dobbiamo interpretare Confessions - con il suo stile caleidoscopico, i suoi siparietti ipermelodrammatici, l'approccio stilistico barocco - come un film squisitamente realista. Si tratta, però, di un modo originale e (appunto) inedito da noi, di trattare con durezza e persino sensazionalismo estetico una piaga culturale drammatica. Come a dire: quando tra genitori e figli si interrompe qualsiasi fiducia, e anzi gli uni divengono i nemici di sangue degli altri, la società si trova al punto di non ritorno.

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