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Ultimo aggiornamento giovedì 2 novembre 2017
Tre malviventi usciti di galera pianificano un loro ultimo colpo, ma la giustizia non li ha persi d'occhio. In Italia al Box Office Cane mangia cane ha incassato 24,1 mila euro .
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CONSIGLIATO NÌ
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Troy, Mad Dog e Diesel si sono conosciuti in carcere e hanno formato un sodalizio che dura anche fuori dalle sbarre. La loro quotidianità è fatta di violenza efferata e sopraffazione, perpetrata e subìta. Un boss affida loro l'incarico di rapire un bambino ma le cose si complicano e il trio si trova a sfuggire a tutori della legge e malviventi in egual misura.
Paul Schrader, sceneggiatore di (fra gli altri) Taxi Driver e Toro scatenato e regista di (fra gli altri) American Gigolo e Lo spacciatore, torna dietro la cinepresa dopo l'inclassificabile The Canyons.
Questa volta dirige una sceneggiatura tratta dal romanzo "Cane mangia cane" di Edward Bunker, lo scrittore ed ex carcerato sui cui testi sono stati basati noir di culto come Le iene e Animal Factory. E Schrader si butta nell'impresa con lo spirito anarchico e la libertà d'azione a lui concessa dal bassissimo budget, dalla cementata reputazione e dai 70 anni ormai raggiunti. Così come Martin Scorsese - l'autore con cui Schrader ha più spesso lavorato da sceneggiatore - a 70 anni si è regalato The Wolf of Wall Street, il regista di Cane mangia cane si regala questo noir fuori formato, violentissimo e ironico, nichilista come solo Bunker sa essere e allo stesso tempo fedele ad un codice d'onore tutto sommato romantico fatto di lealtà e amicizia.
Schrader, la cui matrice spirituale resta fortissima (è calvinista e ha sceneggiato L'ultima tentazione di Cristo, per dirne due), dà voce a un personaggio, Mad Dog, che afferma di cercare la redenzione (tema portante di tutto il cinema del regista-autore) e tuttavia continua a compiere delitti terrificanti: addirittura il film (come il romanzo) si apre su un duplice omicidio di Mad Dog contro una donna e una bambina, facendoci credere che sia lui il protagonista unico della storia.
Cane mangia cane procede a spiazzarci e a vagare in maniera disordinata e confusa attraverso gli eventi esattamente come i tre protagonisti, la cui uscita dal carcere non rappresenta l'inizio di una vita più lineare ma il proseguimento del caos esistenziale. La loro progressione è orizzontale come tutte le immagini del film, che sconfinano l'una nell'altra "a tendina", replicando la longitudinalità strutturale di certa architettura americana: il diner, la sala da giochi, il supermercato. Troy, Mad Dog e Diesel sono personaggi senza profondità che non sanno muoversi (men che meno guardare) verso l'alto, e dunque si spostano da un luogo all'altro come i granchi, senza mai provare l'ebbrezza dell'ascesa.
Paul Schrader non è Martin Scorsese, e il suo excursus nella follia criminale non ha le punte di genialità registica di The Wolf of Wall Street: la sceneggiatura di Cane mangia cane è pasticciata e molto già vista, il che stupisce perché l'autore è innanzitutto un ottimo costruttore di storie. Ma la gioia bulimica con cui Schrader attinge a piene mani sia al cinema che lo ha preceduto - Scorsese e Tarantino ma anche (e soprattutto) Paul Thomas Anderson e Steven Soderbergh - sia alla letteratura di genere - Bunker ma anche (e soprattutto) Elmore Leonard - creano un effetto ipnotico che terrà incollati alla sedia il cinefilo incallito e l'estimatore dell'estetica pop, stregati da una regia citazionista da ex critico cinematografico e dai ripetuti omaggi alla psichedelia, l'illuminazione al neon e la costruzione del mito americano. Lo spettatore meno malato di cinema resterà invece confuso e poco persuaso da un film che si avvita su se stesso senza portare niente di nuovo in termini di trama e personaggi. Cane mangia cane resta comunque una gioia per gli occhi, complici anche due volti che fanno immediatamente cinema: Nicolas Cage, ormai specializzato in ruoli in bilico fra il sublime e il ridicolo, e Willem Dafoe, maschera (e vittima) del Male. Lo stesso Schrader si ritaglia un cammeo nei panni del Greco, confermando il proprio divertimento infantile nel raccontare questa storia di perdizione e perversione.
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Film nichilista, location banali, suoni e dialoghi alla Tarantino, non si capisce bene il legame tra una sequenza e una scena, non si capisce bene la valenza di una tale storia. Una regia buttata li’ e soldi del biglietto buttati via.
Questa pellicola del navigato Paul Schrader ha al centro della propria narrazione la violenza, che viene messa in scena in modo estremamente spinto e perfino grottesco. Schrader, celebre come sceneggiatore (tra gli altri si ricordano le scritture per i capolavori di Martin Scorsese “Taxi Driver” e “Toro scatenato”), qui cura unicamente la regia, mentre l’opera è [...] Vai alla recensione »
Un noir sanguinolento che viene reso interessante da una regia inusuale , un montaggio bizzarro e una fotografia ipnotica. Sarebbe stato un grande bel film, l'idea c'era e anche gli elementi giusti, purtroppo però il film parte troppo tardi, perdendo l'occasione di coinvolgere il pubblico che si disinteressa completamente alla storia già dopo mezz'ora dall'inizio. [...] Vai alla recensione »
Fresca della lettura del libro i cui personaggi avevano già assunto la faccia di Cage e Dafoe ho cercato invano le scene che mi ero immaginata in questa maldestra pellicola. Schrader ha letto un altro libro o peggio un tossico strafatto gli fatto il riassunto storpiando la trama e il significato. E' tutto penoso, persino il doppiaggio e la fotografia, le ambientazioni.
E' un film ignobile e basta. Sgangheratissimo, altro che ipnotico...Schrader, come tanti, invecchia assai male, ma siccome ha scritto capolavori, c'è la tendenza a essere indulgenti, quando invece andrebbe stroncato e basta, con un simile tonfo!
Il film non è perfetto, ma imperdibile per i fan di Cage, Dafoe e Schrader. Disordinato, confuso, ma affascinante. Privo di senso e di logica, ma bello esteticamente. Molto violento. Personaggi alla deriva, nei dialoghi e nei comportamenti contraddittori. Un film non per tutti, perchè semplicemente non porta da nessuna parte.
L’esponente della “New Hollywood” Schrader ritorna dietro la cinepresa per regalare un noir fuori formato, violento e ironico. L’amicizia di tre malviventi che sognano, attraverso il colpo della vita, la rivincita personale. Un’opera non all’altezza della fama del suo regista che da anni ormai lotta, come i protagonisti del suo ultimo film, per ritrovare la gloria perduta.(www.cinecapolavori.com)
L’esponente della “New Hollywood” Schrader ritorna dietro la cinepresa per regalare un noir fuori formato, violento e ironico. L’amicizia di tre malviventi che sognano, attraverso il colpo della vita, la rivincita personale. Un’opera non all’altezza della fama del suo regista che da anni ormai lotta, come i protagonisti del suo ultimo film, per ritrovare la gloria perduta.(www.cinecapolavori.com)
Dall'omonimo romanzo di Edward Bunker,la solita scorrazzata pulp dove tutto è già perfettamente intuibile dall'inizio alla fine,compreso lo stile esagitato e violento tra Stone,Tarantino,Gilliam e Ferrara.E il tema stratrito del gruppo di amici inevitabilmente destinato a scannarsi o comunque alla disfatta nel solito mondo crudele.
Quella di Paul Schrader è a dir poco una carriera diseguale. Sceneggiatore di fiducia di Martin Scorsese per molti anni, ma già precedentemente critico e raffinato studioso di cinema, protagonista della New Hollywood, l'autore statunitense va considerato una delle più rare figure di veri intellettuali americani dentro l'industria contemporanea. Certo, se American Gigolo ha modificato forse per sempre un certo trattamento dell'immagine nel cinema americano - patinata, per qualcuno, in verità ispirata ai maestri del cinema europeo e mescolata col pop a stelle e strisce - lo stesso forse non si può dire di altri film della sua carriera. Vittima dei cambiamenti industriali che egli stesso ha contribuito a mettere in moto (Richard Gere, Giorgio Armani, e così via), Schrader si è trasformato in qualcosa a metà tra un reduce della golden age e un regista fieramente indipendente.
Anche negli anni Novanta e Duemila non sono mancati acuti, come Affliction, Autofocus e il controverso (a dir poco) The Canyons - peraltro flop annunciato. Poi altre disavventure produttive e infine questo, ultra indipendente e battagliero, Cane mangia cane.
Basta guardare attentamente il film per capire con quale spirito il regista abbia affrontato la materia, quindi in maniera profondamente ironica e con un solo piano in mente, non dare nessun appiglio allo spettatore: passare dal comico al noir, dal raggelante al religioso, dall'action allo slapstick, dallo sperimentale al triviale ogni dieci minuti, il tutto senza scivolare per forza nella parodia postmoderna in stile tarantinesco anni Novanta. O meglio, qualche volta Cane mangia cane sembra uno studio su quel cinema, più che una imitazione.
Le mani avanti le ha messe: "Posso fare qualunque cosa, ma la gente mi ricorderà sempre come lo sceneggiatore di Taxi Driver e Toro scatenato". Ma dopo aver lanciato il sasso in sala, intervistato dal britannico The Observer, non le ha tolte: "Ho fatto dei film importanti. Dog Eat Dog non è uno di questi". Chi lo conosce lo sa, per Paul Schrader la sincerità non è un optional.
Tre criminali vogliono fare il colpo della vita. Non tutto filerà per il verso giusto. Parte bene, ma poi si impantana in logorroiche elucubrazioni e ridicole imitazioni tarantiniane. Del resto Schrader ha ammesso: «Ho fatto film importanti. Cane mangia cane non è tra questi». E se lo dice chi lo ha diretto, figuratevi chi paga per vedere Nicolas Cage usare la sua sola espressione facciale come se [...] Vai alla recensione »
Nel 1992, Quentin Tarantino aveva dimostrato il suo amore per l'hard boiled iperbolico dello scrittore (ex criminale ed ex residente di San Quentin) Eddie Bunker scritturandolo nel ruolo di Mr. Blue in Reservoir Dogs (Le iene, in Italia). Per ricambiare la cortesia, qualche anno dopo, strizzando l'occhio al titolo del film di Tarantino, Bunker avrebbe intitolato il suo nuovo romanzo Dog Eat Dog (Cane [...] Vai alla recensione »
Possedere, dalla nascita, una maschera tragica, originale e riconoscibile può essere per un attore una gran fortuna, ma anche una tremenda maledizione. Per Willem Dafoe, classe 1955, celebre dai tempi di Platoon di Oliver Stone, i tratti somatici sono come una carta d'identità che assicura la buona condotta recitativa, soprattutto nei ruoli di maledetto perdente.