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Rassegna stampa di Chantal Akerman

Chantal Akerman è un'attrice belga, regista, produttrice, sceneggiatrice, fotografa, montatrice, è nata il 6 giugno 1950 a Bruxelles (Belgio) ed è morta il 5 ottobre 2015 all'età di 65 anni a Parigi (Francia).

CRISTINA BRAGAGLIA
MYmovies.it

È figlia di genitori ebrei, operai. Frequenta, per un breve periodo, la scuola di cinema di Bruxelles. Poi gira un cortometraggio, Saute, ma ville (Salta, città mia), che rivela già alcune caratteristiche del suo stile e delle sue tematiche, come la quotidianità quale molla di eventi drammatici ed eccezionali. Nel 1971 gira a Hyères, nel sud della Francia, un secondo cortometraggio L'enfant aimé (Il bambino adorato), confessione di una prostituta in cui si affacciano le tematiche femministe. Poi, a New York, entra in contatto con il new american cinema. Dopo due cortometraggi sperimentali, realizza il suo primo lungometraggio, Hotel Monterey (1972), sulla vita di uno squallido albergo della 94 Strada. Inizia le riprese di Yonkers 73 (1973), che non porta a termine, e rientra in Europa. Nel 1974 dirige Je, tu, il, elle (Io, tu, lui, lei), dove la protagonista Chantal nell'arco di una giornata ha vari incontri più o meno liberatori e riusciti dal punto di vista della comunicazione. Del 1975 è il film che la rivela al Festival di Cannes: Jeanne Dielman, 23, Quai du Commerce 1080 Bruxelles descrizione della vita quotidiana di una casalinga, saltuariamente dedita alla prostituzione, in sequenze che sottolineano l'ossessionante ripetitività e automaticità dei gesti della protagonista. Del 1977 è News from Home (Notizie da casa), un film girato a New York. Sulle immagini (che rivelano volti diversi della città) l'autrice legge le lettere della madre, dando un addio all'adolescenza. Con Les rendez-vous d'Anna (Gli appuntamenti di Anna, 1978) ripropone nel percorso della protagonista (una regista, interpretata da Lea Massari) i suoi temi più tipici: il rapporto con la madre, i legami con la cultura ebraica, la capacità di comunicazione tra donne. Negli anni '80 gira Dix mais (Dieci mesi, 1980), Toute une nuit (Tutta una notte, 1982), Les années 80 (Gli anni '80, 1983), e il documentario sulla danzatrice Pina Bausch: Un jour Pina a demandé (Un giorno Pina ha chiesto, 1983). J'ai faim, j'ai froid (Ho fame, ho freddo , 1984), un cortometraggio, Family Business (Un affare di famiglia, 1985) il video New York, New York bis, lettre d'un cinéaste (New York, New York bis, lettera di un cineasta , 1984), Golden Eighties (I dorati anni '80, 1985), Seven Women Seven Sins (Sette donne sette peccati, 1988), Histoires d'Amerique (Storie d'America, 1988). Il suo cinema tende alla sdrammatizzazione e rifiuta le tradizionali convenzioni narrative, a favore di una destrutturazione del racconto attraverso l'uso del piano sequenza e del tempo reale. Sono procedimenti linguistici e tecnici che consentono al regista di cogliere la realtà nel suo farsi, con una insistenza minuziosa sui particolari, una volontà sperimentale e inquisitiva che hanno poche rispondenze nello stesso cinema di avanguardia o in quello ispirato dalla rivoluzione della nouvelle vague. Accettando parzialmente le convenzioni generali del racconto, ma frantumandole negli sviluppi dell'azione fra i personaggi, realizza nel 1991 Nuit et jour (Notte e giorno) con G. Londez e T. Langman, storia di un triangolo amoroso in cui è la donna a condurre il gioco (il film è presentato alla Mostra di Venezia). Nel 1993 espone al fiorentino Festival dei Popoli D'Est, un documentario romanzato che narra un lungo viaggio dalla ex Germania orientale a Mosca. Nel 1995 torna in Usa, come fa regolarmente alternando il soggiorno americano con i viaggi in Europa, e gira un film rigorosamente strutturato - Un divano a New York - con Juliette Binoche e William Hurt. Non si comprende se questo ondeggiare nevrotico da un tema all'altro, da un racconto a una sperimentazione, da un tentativo di normale fiction a una totale dissoluzione del tessuto narrativo, nasca da incertezze psichiche e culturali profonde oppure dalla riaffermazione continua di una libertà - di vita, di espressione - cui un cineasta ha diritto. Come se la regista si muovesse sul crinale di una doppia vita. Questo connotato si trova anche in La Captive - La prigioniera (2000) liberamente tratto dal romanzo di Marcel Proust La prisonnièree in De l'autre côté (2002), storia di povertà e degrado degli immigrati messicani negli USA.

DENNIS LIM
The New York Times

THE Belgian director Chantal Akerman fills her movies with patterns and textures of ordinary life, the stuff other films never even notice. The most extreme and best-known incarnation of her cinema of the everyday remains her second feature, “Jeanne Dielman, 23 Quai du Commerce, 1080 Bruxelles” (1975), a three-hour-15-minute drama that manages to extract dread and suspense from the monotonous daily routine of a Brussels housewife.
The methodical deadpan of the film's title mirrors its approach. Using static, head-on compositions and unblinking blocks of real time, it details three days in the repetitive existence of a 40ish middle-class widow (the French art-film goddess Delphine Seyrig, dowdier than in “Last Year at Marienbad” but no less enigmatic). Jeanne, who lives with her teenage son, proceeds through her endless checklist of chores with automaton efficiency. She cooks, she cleans, she shops, and every afternoon, in the window of time it takes for the dinner potatoes to boil, she has sex for money with a gentleman caller.
A portrait of female domesticity coming undone, of a woman who is both mother and whore, “Jeanne Dielman” became an instant landmark in academic circles, especially for feminist film theorists. It is no one's idea of a commercial movie; it did not receive a New York theatrical run until 1983, at Film Forum (where it is being revived in a new print starting Friday), and it has never been released on home video in this country.

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