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Il ragazzo invisibile, supereroe tra Omero e X-Men

Intervista a Gabriele Salvatores, regista del film.
di Marzia Gandolfi

In foto il regista Gabriele Salvatores.
Gabriele Salvatores (73 anni) 30 luglio 1950, Napoli (Italia) - Leone. Regista del film Il ragazzo invisibile.

venerdì 12 dicembre 2014 - Incontri

Non è la prima volta che Gabriele Salvatores si prende il rischio e dispiega sullo schermo un impianto visivo originale, altro e inconsueto per il cinema italiano. Nondimeno Il ragazzo invisibile, storia di un adolescente insicuro che acquista dentro una notte buia e tempestosa il superpotere dell'invisibilità, ribadisce con netta evidenza il tema ricorrente in tutto il cinema di Salvatores. Dagli esordi ai film più recenti, l'autore milanese ha sempre raccontato lo spiazzamento di personaggi costretti ad agire in un contesto diverso da quello abituale e obbligati, in una condizione di emergenza, a fare i conti con la necessità di crescere e di diventare grandi. Nel cinema di ieri lasciandosi alle spalle quel complesso di Peter Pan che da sempre li affligge e che li porta a comportarsi, a trenta come a quarant'anni, come se ne avessero diciotto, nel cinema del presente crescendo anzitempo e mostrandosi più maturi e responsabili dei loro infantili e grotteschi genitori. Il ragazzo invisibile appartiene al secondo movimento e come Io non ho paura o Come dio comanda racconta una bildung, una formazione umana, una crescita interiore verso forme di personalità sempre più complesse ed armoniche. Il ragazzo invisibile ha il sapore di una favola e lo sguardo ad altezza di fanciullo. Sguardo che impone un punto di vista forte sulla vicenda e su un'età ingrata che non riesce più a partecipare ai giochi immaginari. Perché diventare grandi significa passare dal solipsismo fantasticante delle visioni infantili alla cruda oggettività della visione degli adulti. Così, dopo una tempesta 'ormonale' che scatena il desiderio e insieme la paura di essere invisibile, Michele assumerà la coscienza del mondo e di sé. Un sé che impara a vedere immergendosi nel buio delle favole. Gabriele Salvatores ci introduce al suo nuovo film e a un nuovo (super)eroe che guarda al futuro ma affonda le radici nel mito.

Diversamente da Io non ho paura, Come dio comanda o Educazione siberiana, Il ragazzo invisibile non è una trasposizione di un romanzo ma ne ha addirittura ispirato uno...
Esatto, Il ragazzo invisibile è diventato un romanzo edito da Salani, la casa editrice di "Harry Potter", e scritto da Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, gli sceneggiatori del mio film. Ma c'è dell'altro, a ottobre al Lucca Comics è stato presentato il "fumetto omonimo", una miniserie composta da tre albi e prodotta da Panini Comics in collaborazione con Indigo Film e Rai Cinema. Il fumetto, che espande, approfondisce e prosegue il racconto cinematografico, è uscito a novembre in formato comic-book, come si addice a una storia di supereroi. Questa volta perciò è il film la fonte originale e l'invisibilità il soggetto, uno spunto affascinante per gli spettatori di ogni età.

Quanti anni ha invece il tuo 'ragazzo invisibile'?
Michele ha solo 13 anni e tutti i problemi che si hanno alla sua età: è vessato dai bulli di turno, è innamorato di una ragazzina che sembra non vederlo, ha difficoltà enormi in famiglia, addirittura problemi di identità. Ma poi una mattina scopre allo specchio di avere un dono, un potere, quello dell'invisibilità. Da sempre sono affascinato dai supereroi e dai loro superproblemi, dunque, quando mi si è presentata l'occasione, non potevo pensarne uno immune dagli affanni esistenziali.

Perché proprio l'invisibilità?
Ho scelto l'invisibilità perché è un superpotere psicologico, non voli, non spacchi, non hai la super forza, con l'invisibilità puoi solo scomparire, è un superpotere dell'anima. Tu sei presente ma gli altri non ti vedono. Io mi ricordo quando ero adolescente delle volte, delle tante volte, in cui mi sono sentito invisibile, avevo paura di non essere visto, di non essere notato, considerato. E a proposito di questo c'è una scena, una di quelle che mi piacciono di più nel film, in cui Valeria Golino, che interpreta la madre di Michele, sta parlando al telefono e il ragazzino è davanti a lei a mezzo metro, invisibile. Si aggiunga poi che il mio protagonista per diventare invisibile deve togliersi i vestiti, restare nudo, mettersi letteralmente a nudo. E allora lui è lì, completamente nudo a mezzo metro dalla madre e lei non lo vede. Succede qualche volta di non vedere i propri figli o al contrario che siano loro a non farsi vedere da noi.

I disegnatori degli anni Quaranta molto spesso sceglievano piccoli personaggi per le loro storie illustrate, un bambino, un cane, un gatto. Nelle loro strisce gli adulti non si vedevano mai, disegnavano e 'inquadravano' soltanto le loro gambe o le loro mani che afferravano il giornale, il cane, il gatto, il bambino. Puoi dirmi in che modo nel film gli adulti interagiscono col mondo dei più piccoli? La macchina da presa è ad altezza di bambino?
In Io non ho paura la macchina da presa era sempre all'altezza degli occhi del bambino, degli adulti inquadravo solo parti del corpo proprio come nelle strisce che lei ha citato, ne Il ragazzo invisibile invece gli adulti ci sono, si vedono a figura intera ma sono tutti doppi o per lo meno dicono di essere una cosa e poi ne sono un'altra. Se faccio scorrere nella mia mente i 'grandi' del film, non ce n'è uno che non sia diverso da come appare, da qui il disorientamento del protagonista. Da qui il disorientamento dei ragazzi. L'assenza dei padri e delle madri, il loro essere parziale per me è un tema importante per l'epoca in cui viviamo, è una delle tante sottotracce del film. Dell'evaporazione dei padri e dei figli che restano poi ha parlato con grande competenza Massimo Recalcati nei suoi libri. Penso in particolare a "Il complesso di Telemaco", Michele è in fondo come il figlio di Ulisse, figlio di un padre 'supereroe' e sempre troppo lontano, un padre che non c'è mai.

Modelli, citazioni, richiami si spingono indietro nel tempo, mi parla di Ulisse ma possiamo azzardare anche gli X-Men?
Assolutamente. Gli X-Men sono un riferimento pensato, anzi i miei sceneggiatori stanno scrivendo un sequel di questo film, un po' per divertimento, un po' perche ci piace pensare a questi ragazzini dotati di superpoteri e riuniti tutti insieme in un luogo. Non tutti i film di supereroi mi piacciono, anzi non sono proprio il mio genere preferito però ce ne sono alcuni, il primo Spider Man sicuramente e poi appunto gli X-Men, che hanno dentro delle cose molto interessanti, sono quelli che più degli altri fanno riferimento ai miti. L'Odissea per me è il primo romanzo fantasy della storia, potremmo davvero considerarlo il primo libro di supereroi, l'uomo ha sempre immaginato di incontrare qualcuno con un potere straordinario o addirittura di possederlo lui stesso. La prima saga di Spider Man, Guerre Stellari raccontano in fondo questa storia, la stessa storia, storie di padri, di madri, di figli, di poteri, di responsabilità. Nel mio film questa relazione acquista una dimensione quasi psicanalitica, ci sono addirittura due mamme, incarnate da una luna chiara e da una luna scura, l'altra parte della maternità, quella nascosta.

È lecito pensare anche a Spielberg o a De Sica, fosse solo per quella bicicletta...
Lecito anche se io credo che in fondo Spielberg quella bicicletta l'abbia 'rubata' a De Sica, perché in Miracolo a Milano le biciclette volano proprio come in E.T. - L'extra-terrestre. Anch'io in Io non ho paura ho immaginato il mio giovane protagonista seduto su una bicicletta che sembra quasi volare. La bicicletta come il treno è un mezzo decisamente cinematografico, che funziona davvero bene al sullo schermo.

Tornando ai prestiti e ai rimandi, il temporale, meglio l'idea che il temporale inneschi il poter dell'invisibilità te l'ha ispirata Misfits? La serie televisiva britannica (e fantastica) in cui un gruppo di adolescenti disadattati acquista i superpoteri dopo essere stato investito da un temporale...
Il temporale è una casualità ma in fondo ha senso. Il temporale è una scarica di energia elettrica e magnetica e quindi ci sta che il superpotere venga innescato attraverso una scossa, non ci avevo pensato ma mi piace e poi dopotutto in ogni film o fumetto del genere c'è sempre un elemento esterno scatenante. Da adesso potrei tenerne conto e valermi dell'osservazione. Io non ho visto la serie in questione ma è molto probabile che i miei giovani sceneggiatori la conoscano e che in qualche modo il temporale di Misfits 'incomba' anche sul film. Michele scoprirà il suo superpotere dopo un grande temporale, risvegliandosi all'indomani di un party di Halloween. Lui è convinto che l'invisibilità gli derivi da un costume comprato in un negozio cinese. Inizialmente si convince di essere un mostro, lo pensa e lo dice, teme di non poter più andare a scuola perché non è in grado di controllare quello che gli è capitato, appare e scompare suo malgrado, si lascia travolgere dal suo potere, ne abusa ma un po' alla volta impara a prenderne le misure, a gestirlo e a metterlo al servizio di qualcosa di veramente importante. E qui torniamo alla psicanalisi, il mio protagonista passa dal principio di piacere a quello di realtà, a quello dell'età adulta.

Dopo aver raccontato per anni un mondo di adulti che si rifiutano di crescere, vittime di una sindrome da Peter Pan che li induce a rimandare il più possibile le responsabilità e gli impegni della vita adulta, di recente lei racconta storie di formazione in cui è la realtà stessa, e spesso con grande ferocia, a imporre ai ragazzini di diventare grandi anzitempo...
Vero, da qualche tempo il mio cinema ha virato. Io non ho figli e molto probabilmente ne sto allevando uno cinematografico. Non sono genitore ma ho dei nipoti, che ho seguito e osservato durante la loro crescita. Intuisco bene quanto la vita possa essere complessa per un ragazzino, vedo la loro rabbia, il loro spaesamento. Non è un caso che il superpotere del mio protagonista sia proprio l'invisibilità. È un potere dell'anima prima che del corpo. Tutti, prima o poi, almeno una volta, abbiamo desiderato di esserlo o abbiamo avuto paura di esserlo. Oggi più di ieri i ragazzi sono alla ricerca della propria identità, della propria definizione e conoscersi come individuo e riconoscersi diverso dall'altro è davvero una cosa difficilissima. In Educazione siberiana c'era un discorso simile ma forse più legato alla condizione e all'identità del proprio gruppo etnico. Indubbiamente è Io non ho paura il film più vicino a Il ragazzo invisibile. Riguardo ai miei Peter Pan di ieri credo che solo Diego (Abatantuono) resista al principio di realtà, lui è un eterno fanciullo, Fabrizio (Bentivoglio) invece ha avuto dei figli e forse l'esperienza della genitorialità ha contribuito a traghettarlo più rapidamente verso l'età adulta. Fabrizio è cambiato e i suoi personaggi dicono anche di questo cambiamento. Io sono convinto che il ruolo interpretato da un attore finisca sempre per corrispondere alla persona che lo interpreta, a dire qualcosa di quella persona.

Il ragazzo invisibile è un prodotto nuovo nel panorama italiano, che tipo di accoglienza si aspetta dallo spettatore?
Come verrà accolto il film dal pubblico è una grande scommessa. Indigo è stata molto coraggiosa, l'idea di questo film poi è di Nicola Giuliano e io ho aderito con grande entusiasmo al progetto. Mi piacciono le sfide, mi piace osare. Io spero di cuore che il film abbia successo perché al di là della soddisfazione personale, vorrebbe dire che finalmente in Italia qualcosa si muove e si muove in una direzione nuova, diversa. Il mio poi è un film per tutti, grandi e piccini, spero che ciascuno di loro possa trovarci qualcosa, tanto divertimento ma anche qualche spunto di riflessione.

È una C la lettera incisa sul costume del tuo giovane supereroe?
Sì, è una C, una lettera dell'alfabeto cirillico che si pronuncia come una esse. Anche in questo film tornano la Siberia e la Russia. In una sequenza comunque il ragazzo chiederà il significato di quella lettera che verrà perciò esplicitato. Non le rovino la sorpresa...

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