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Il set in classe

Forme del cinema educativo in Class Enemy.
di Roy Menarini

In foto Igor Samobor in una scena del film Class Enemy.
Igor Samobor (66 anni) 18 settembre 1957, Ptuj (Slovenia) - Vergine. Interpreta Robert nel film di Rok Bicek Class Enemy.

domenica 12 ottobre 2014 - Approfondimenti

Il cinema scolastico rappresenta una delle tipologie che più differenziano l'approccio hollywoodiano da quello europeo. In America, la scuola fa parte di un processo infinito di definizione dell'identità nazionale, nel quale si formano microcosmi già fortemente segnati dalle pratiche sociali. Nei film che analizzano il coraggio dei docenti - da Il seme della violenza a Pensieri pericolosi - lo schema è semplice: un professore dentro una classe disagiata riesce a farsi rispettare dai propri allievi. Ma se l'obiettivo si sposta sui ragazzi, ecco che la high school diventa una prigione dove è difficile uscire dai ruoli - è lì del resto che nasce la figura culturale del nerd, oggi "la schiappa", fisicamente e culturalmente emarginata dall'all american boy, bianco, wasp, atletico e seducente.

Nel cinema europeo, fin dai tempi di Zero in condotta, e in un continente attraversato da correnti politiche e sociali ben più controverse e veementi di quelle statunitensi, la scuola è sempre stata la cartina di tornasole delle trasformazioni storiche. Tanto stereotipata la scuola americana (a rischio di trauma, certo, come in Elephant, ma guarda caso riconoscibile nelle sue caratteristiche di decennio in decennio), quanto imprevedibile quella continentale. Negli ultimi anni, da Essere e avere a La classe, da La schivata a Il rosso e il blu, sono parecchie le pellicole tornate a ragionare sull'argomento, in epoca di crisi economica, perdita di punti di riferimento certi (atomizzazione della famiglia, disgregazione ideologica, tramonto delle istituzioni religiose, revisione dei metodi di insegnamento). In alcuni casi - come L'onda - la scuola è ricettacolo di piccole rivoluzioni, talvolta liberatorie, talvolta oscurantiste.

Venendo a Class Enemy, il merito di Rok Bicek è quello di aver disseminato il film di dubbi più che di certezze. Grazie a un atteggiamento oggettivo, e ad astuti cambi di prospettiva, l'autore disloca una serie di punti di osservazione nei differenti personaggi: la classe, il nuovo docente di tedesco, i colleghi professori, le famiglie. Nessuno di questi "corpi" intermedi è granitico, anzi. Ciascuno sembra dapprima in grado di esprimersi unitariamente poi si sgretola in tante diverse sfumature e posizioni incerte. In questo caso, il suicidio di una ragazza, prima, e l'accusa di nazismo rivolta al docente, poi, rappresentano i nuclei simbolici, densi e dilanianti, intorno ai quali si posizionano tutti i personaggi.

La scuola non sembra più in grado di pensare se stessa, in un'epoca nella quale sembrano essere scomparsi (o delegati al privato) i famosi riti di passaggio. Il suicidio della compagna di scuola è uno di questi, ma nessuno - salvo forse il professore di tedesco - sembra avere gli strumenti per assorbirlo nella maniera adatta. Da una parte, la capacità critica del discente appare preziosa, dall'altra l'istituzione oscilla tra l'indifferenza e l'indulgenza. Dunque, Class Enemy parla di scuole slovene specifiche o piuttosto, universalmente, di forme sociali post-democratiche che ci stiamo ancora abituando a vivere?

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