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La politica degli autori: Christian Petzold

Un regista dallo sguardo volutamente ambiguo e allusivo.
di Mauro Gervasini

In foto il regista Christian Petzold.
Christian Petzold (63 anni) 14 settembre 1960, Hilden (Germania) - Vergine. Regista del film La scelta di Barbara.

mercoledì 13 marzo 2013 - Approfondimenti

Tra gli anni '60 e '70 del secolo scorso la Germania era al centro dello scenario cinematografico. Registi come Rainer Werner Fassbinder, Edgar Reitz, Alexander Kluge, Margarethe von Trotta, l'ormai dimenticato ma all'epoca osannato come Kubrick (chiedere a Enrico Ghezzi) Hans-Jurgen Syberberg e naturalmente Wim Wenders e Werner Herzog animarono il cosiddetto Nuovo Cinema Tedesco. La cui sigla autoctona era JDF (Junger Deutscher Film) con tanto di manifesto (il Manifesto di Oberhausen) siglato appunto a Oberhausen sede del più antico festival di cortometraggi del mondo. Il cinema tedesco, ultimamente addirittura soppiantato da quello austriaco, ancora vive di rendita su quei nomi e quelle filmografie. Cosa è successo nel frattempo? Semplice: i maestri invecchiano, alcuni espatriano (prima Wenders e ora Herzog negli Stati Uniti) gli interessi si spostano. In particolare, dagli anni '80 la Germania ha pensato ad altro. Per esempio a diventare la più grande esportatrice di fiction televisiva europea. E sulla scia dell'Ispettore Derrick, c'è riuscita.

Ma il grande schermo, sostituito dal piccolo, ha pianto lacrime amare. Con qualche eccezione, per fortuna. Come Dennis Gansel (L'onda, 2008) che speriamo non sia stato un fuoco di paglia. E Christian Petzold, classe 1960, del quale esce in sala dal 14 marzo La scelta di Barbara, premiato nel 2012 a Berlino con l'Orso d'argento. Il film, magnificamente interpretato da Nina Hoss, racconta di una dottoressa di Berlino Est spedita al confino in una clinica sul Baltico dopo avere chiesto un visto per la parte occidentale della sua città, dove vive il fidanzato. Nella clinica, meta "punitiva", il famigerato servizio segreto comunista, la Stasi, chiede a un medico di tenere d'occhio la collega, ma la situazione si complica in senso melodrammatico e non solo, perché c'è pure di mezzo una vicenda di spionaggio. La scelta di Barbara, al di là della succinta sinossi, non è un film di genere. Non si interessa tanto al meccanismo narrativo e alla suspense quanto al mistero di una donna che deve ridisegnare la propria vita dall'oggi al domani, tenendo conto del controllo cui è costantemente sottoposta. E il mistero di Barbara è quello che il film non svela, perché la verità del personaggio e del suo agire resta un'incognita, senza alcuna catarsi liberatoria per lo spettatore.

Uno sguardo volutamente ambiguo quello di Petzold. Che determina in questo tutta la sua autorialità. Un tratto distintivo già riscontrabile nel suo precedente film, Jerichow, in concorso alla Mostra di Venezia nel 2008. Ancora Nina Hoss al centro di un triangolo passionale i cui altri due estremi sono Benno Fürmann, un reduce dall'Afghanistan congedato con disonore, e il marito della donna Hilmi Sözer, di origine turca. I primi due si innamorano dando inizio a una torbida "ronde" dove echeggiano il noir classico (Il postino suona sempre due volte) e soprattutto il melodramma alla Vincente Minnelli, esplicitamente citato dall'autore che parla di Jerichow come di un remake sui generis di Qualcuno verrà (1958). Anche in questo caso, però, lo stile di Petzold preferisce rimanere allusivo. A legare i tre protagonisti, ognuno a suo modo outsider (la donna è una ex galeotta) è sì la passione, ma della quale non si percepisce mai il calore. Anzi, casomai è il gelo di rapporti umani degradati a scatenare l'enfasi meccanica dei personaggi, vana reazione alla disconnessione sociale (e persino "storica" se si pensa a La scelta di Barbara, ambientato sul finire della DDR, in piena decadenza del regime).

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