Morire può essere il modo di ritrovare l'amante perduta, ma forse no. Dal genio di Gus Van Sant, un'opera dalle numerose metafore, della vita e della morte. Ora su TIMVISION.
Autore decisamente interessante Gus Van Sant, che ha firmato La foresta dei sogni. Possiede molti talenti, sa filmare, scrivere, comporre musica, il tutto legittimato dai riconoscimenti più alti. E presenta quelle che chiameremmo vocazioni primarie, verso il genio e... la morte.
Il genio: Will Hunting – genio ribelle è la storia di un fenomeno della matematica, l’attore era Matt Damon; Scoprendo Forrester si ispira alla vicenda di J.D Salinger, il grande scrittore americano che si nascose per sessant’anni nella sua tenuta Cornish nel New Hampshire. Van Sant lo fa diventare il tutor di uno scrittore sedicenne supertalentuoso. La morte. Alcune citazioni esemplari: Elephant evoca la strage compiuta da due studenti nel liceo di Colombine; Paranoid Park racconta del sedicenne Alex che uccide accidentalmente un poliziotto; ne L’amore che resta Enoch è un ragazzo oppresso da fantasmi e patologie, in bilico fra l’amore e la morte; Last Days racconta, con un altro nome, la morte del “grunge” Kurt Cobain, leader dei Nirvana.
La foresta dei sogni è un altro luogo della morte, ai piedi del monte Fuji, in Giappone. Così come il Golden Gate di San Francisco è un irresistibile richiamo per chi vuol togliersi la vita. Van Sant descrive quella foresta come un limbo da incubo, buia, umida e intricata, dove incroci un corso d’acqua sporco, un cartello che indica un approdo misterioso, e, qua e là, scheletri e cadaveri putrefatti. Il rito consiste nell’entrare in quella foresta, non trovarne più l’uscita e morire. Può succedere che quella permanenza porti a una maggiore consapevolezza, alla fine di una suggestione e a un pentimento, ma la foresta non è generosa e non è detto che ti lasci andar via.
Ci sono tante metafore della vita e della morte. La storia è quella di Arthur, che ha perso la moglie in un incidente ma non ha accettato quella prova terribile. Morire può essere il modo di ritrovarla. Ma forse no. Decisivo è l’incontro con un giapponese, altro aspirante per un motivo di disonore. I dolori a confronto danno un’indicazione: si può anche uscire da quel luogo di morte. Una menzione per Matthew McConawgay che, dopo aver esordito come una sorta di sosia di Paul Newman, ha saputo evolversi, ritoccare le sue fattezze di “troppo bello”, farsi apprezzare dai più importanti autori, da Spielberg a Scorsese a Nolan, e raggiungere l’Oscar come attore protagonista in Dallas Buyers Club.