Ora su TIMVISION la seconda stagione di una delle serie tv più pungenti del panorama americano, capace di feroci critiche e in grado di leggere la realtà con acume.
Ci sono sigle – i cosiddetti opening credits, i crediti di testa – che mettono subito le cose in chiaro. Si prenda la seconda stagione di The Good Fight, da oggi disponibile in esclusiva su TIMVISION. Sulle note baroccheggianti di David Buckley assistiamo alla distruzione degli status symbol della vita e della carriera di Diane Lockhart: scoppiano le bottiglie e i calici di vino; saltano in aria i corposi libri di legge; quattro costosissime borse diventano brandelli; eleganti vasi dai fiori delicati si frantumano in mille pezzi al pari di computer, telefoni e lampade dallo splendido design; dei televisori, che trasmettono le immagini di Donald Trump e Vladimir Putin, esplodono fragorosamente.
Notare e riconoscere i diversi simbolismi in questi opening credits non è un mero esercizio tecnico per appassionati. Gli showrunner, i coniugi Robert e Michelle King, ci stanno avvertendo: è in atto una guerra, cadono uno dopo l’altro i nostri punti di riferimento, non esistono più le confort zone, si deve dire addio a vezzi e piaceri, la democrazia è in pericolo. Lo testimoniano le diciture degli episodi, che rimandano ai giorni di prigionia, ai giorni in ostaggio di un presidente come Trump alla Casa Bianca. Lo testimoniano le tematiche affrontate in ogni puntata: gli scandali sessuali del #MeToo, la questione razziale, il cybercrimine, le richieste di impeachment.
Diane, interpretata superbamente da Christine Baranski, mostra inequivocabili segni di stanchezza. Sempre in trincea, sempre alle prese con un lavoro che non ammette cedimenti o titubanze, deve confrontarsi con avvocati agguerriti e ambiziosi, con clienti sprezzanti, con giudici che gestiscono la legge anche per i loro tornaconti personali. Lo stress per lei aumenta quando Chicago è funestata da un picco di omicidi. Tra questi spicca l’assassinio di un legale, colpevole di non aver agito al meglio per evitare un aumento di pena a un suo assistito.
In tutto questo marasma – c’è sempre la politica, con la sua deriva antidemocratica, in primo piano – si dipanano nuove linee narrative. Nello studio Reddick, Boseman & Kolstad arriva Liz Reddick-Lawrence (Audra McDonald), avvocatessa dal carattere forte nonché ex moglie di Adrian (Delroy Lindo). Con Diane saranno scintille. Maia (Rose Leslie) deve gestire le pressioni tanto in campo lavorativo quanto in quello familiare dopo lo scandalo che ha coinvolto suo padre. Nel frattempo Adrian diventa un opinionista molto seguito dopo una sua ottima apparizione televisiva.
Già rinnovata per una terza stagione, The Good Fight continua ad essere una delle serie tv più pungenti del panorama americano. Con una critica che non si riduce mai al semplice piagnisteo autoreferenziale, riesce a leggere la realtà con acume. Usa l’ironia, usa l’indignazione, usa la sottigliezza per mostrare le tante troppe contraddizioni della società a stelle e strisce. In parallelo evidenzia la sconfitta di una upper class dai valori liberali che non riesce più a essere incisiva politicamente e culturalmente.