Una storia che concentra tutte quelle indicazioni, visioni e temi che spesso il cinema sa trasmettere alla gente. Ora su TIMVISION.
Esiste una sorta di bagaglio linguistico che fa parte della memoria popolare, che viene dal cinema. “Francamente me ne infischio”, battuta di Clark Gable in Via col vento, “Nessuno è perfetto”, di J. E. Brown in A qualcuno piace caldo, fanno parte di quel bagaglio. E poi c’ “E.T. telefono casa” che forse andrebbe posto in cima a quell’antologia. Sembra una piccola frase, ingenua, e sentimentale, ma “dietro” c’è veramente tanto.
La storia dell’extraterrestre, abbandonato sulla terra, trovato dal bambino che lo accoglie e lo protegge, rappresenta indicazioni, visioni e temi che spesso il cinema sa trasmettere alla gente. Se poi c’è di mezzo Steven Spielberg, l’indicazione assume forza e diventa un abbrivio che farà parte della “memoria popolare” appunto, e diventa un modello buono, del quale si sente sempre il bisogno. “Modello buono”, se ci riferisce alla fantascienza, è un concetto quasi anomalo. Basta rifarsi ad alcuni grandi classici del genere, rimango all’era recente: Odissea nello spazio, Guerre stellari, Blade Runner, Alien, Matrix, La guerra dei mondi, il “contemporaneo Interstellar. Contenuti e pronunciamenti non erano mai rassicuranti, si tratta di minacce e invasioni che vengono da altri mondi.
C’è anche qualcosa di incoraggiante, come Incontri ravvicinati, sempre dovuto a Spielberg. E.T., è un simbolo buono e completo. Sente la lontananza dai suoi simili, ma si fida, e si integra col piccolo amico terrestre che lo protegge. Ma il suo intento, la sua speranza è quella di tornare a casa. E dunque quella famosa frase. Il film è in gran parte sentimentale, e sappiamo quanto la critica prevalente non ami quella debolezza. Tuttavia le critiche furono positive. Ma soprattutto E.T. rimane uno dei campioni di incasso di tutti i tempi. Una citazione per Carlo Rambaldi che ha costruito un extraterrestre, umano, amico di famiglia. Non era facile.